“Una ‘Dea’ che corrisponde all’universo in dinamico movimento è una ‘Dea’ che contiene e mantiene in equilibrio tutto ciò che esiste: inclusi femminile, maschile e tutto ciò che ci sta in mezzo.”
Faccio spesso questa affermazione e che sia tramite i post della mia pagina Facebook “Dea Oltre il Dualismo” oppure in conferenza, non di rado si solleva in risposta l’idea che la Grande Madre sia solamente una rappresentazione alternativa dell’”essere androgino”.
Ma tra le due immagini c’è in realtà una sostanziale differenza, come differente è l’impatto sulla dimensione di senso che ciascuna può produrre.
La “Dea” proviene da un’intelligenza che non esito a definire “analogica”.
Per comprendere cosa significhi dobbiamo fare lo sforzo di osservare tramite gli occhi delle nostre antenate e dei nostri antenati, attenti e precisi conoscitori del mondo fisico e delle sue leggi. A loro non era certo sfuggito che vi è un’unica realtà fisica in grado di contenere tutti i generi, senza distinzioni e discriminazioni: un ventre gravido.
Un ventre che porta alla vita tramite il passaggio dei corpi (tutti i corpi) per quella soglia che è la stessa “yoni” che ora spaventa e indigna (si vedano le recenti reazioni allo spot di nota marca assorbenti). Lo stesso ventre che senza distinzioni ri-accoglie tutte e tutti dopo la morte, quando il varco è percorso in direzione opposta, per poi trasformare e portare a nuova vita.
Per concepire, capire e condividere una sacralità che si fa “ventre gravido che tutto contiene e tutto mantiene in equilibrio” servono almeno due presupposti: il considerare il corpo e la materia come sacri essi stessi, anzi, nemmeno porsi il problema di separare sacro da profano; e l’avere un’alta considerazione dell’esperienza dei corpi femminili, i quali sperimentano concretamente “l’essere una” ed “essere molti” nello stesso tempo. Una contraddizione logica solo apparente: inconcepibile per la mente ma vera per il corpo.
Inoltre, l’iconografia del corpo femminile gravido aggiunge a tutto questo il potente significato di unità e correlazione con il Tutto.
Perché madre e figli nel ventre sono una cosa sola: vi è unione tra figli/e e madre ed unione di figlie e figli tra di loro. Ma al contempo lei non è loro e loro non sono lei. È questo “l’essere in principio di non-separazione”, una qualità chiave della relazione tra umanità e Dea.
Nell’accezione appena descritta, potremmo vedere questo ventre che tutto contiene come una sorta di principio terzo, riequilibratore e trasformatore. Un principio terzo che allo stesso tempo è Uno con le sue parti e che porta echi di un simbolo trinitario che oggi ci giunge in modo totalmente differente anche nel genere, ormai completamente maschile.
L’essere androgino, invece, non è frutto di uno sguardo analogico. Ma proviene da un esercizio di pensiero, da un’astrazione.
Verosimilmente, un tentativo di rispondere al bisogno di quella consapevolezza di unità che si è perduta con lo smembramento della Dea. Ma Lei era perfettamente in grado di essere essa stessa “coincidentia oppositorum”, somma e risoluzione degli (apparenti) opposti, prima che la logica duale oppositiva la riducesse alla mera polarità femminile creando anche la contrapposizione con la polarità maschile.
L’essere androgino si inserisce in questa cornice, dalla comparsa del “pensiero delle separazioni”, del quale è frutto.
Sono molte le considerazioni che si possono avanzare sulla rappresentazione dell’essere androgino, soprattutto in relazione ad aspetti identitari, psicologici, sociali ma che rimanderei ad altra sede. Piuttosto desidero porre l’accento sulla differente genesi e differente realtà di riferimento delle due immagini, riportando in auge un simbolismo dimenticato.
La raffigurazione di quest’essere, che si intenda secondo il mito di Aristofane (palle con 4 braccia, 4 gambe, 2 sessi, 2 volti che guardano in direzioni opposte) o secondo altre tradizioni (ad esempio Adamo ed Eva creati come un essere composto di due metà), manca di quel principio “terzo”, contenitore ed equilibratore, movimento e trasformazione perpetua, che invece è tipico dell’immagine di una Grande Madre cosmica.
L’androgino compare come “2” o più precisamente un 1+1 che fa sempre 1, altre volte come “1/2 e 1/2” che insieme diventano 1.
Almeno in occidente, questa idea astratta diviene possibile una volta smantellati i presupposti citati nella prima parte di questo scritto: separando il sacro dal mondo e dai corpi, ponendo le donne in una posizione culturalmente inferiore (parliamo sempre della Grecia ellenica), sancendo il primato del logos che diverrà poi caratteristica anche della cosmogonia di dio padre.
E infatti, dio come padre si mostra come un essere che crea dal pensiero e con il verbo, tagliando di netto la possibile sacralità del corpo, facendo a meno del cancello tra i mondi, spedendo nell’oblio il ventre che trasforma, dissolvendo nella trascendenza il “principio di non-separazione” (interessante come il mito di Aristofane sottolinei e confermi una separazione tra umanità e dei), demonizzando la dimensione ciclica che nella Dea è invece motore dell’universo.
Parallelamente, oggi si tenta di attribuire a dio padre la capacità di contenere entrambi i generi, quasi che lui stesso diventasse la coincidentia oppositorum, in un tentativo di assorbire un simbolismo precedente che però contrasta con il messaggio che rimanda la sua stessa immagine. Perché non si potrà mai negare la natura “inclusiva” di un ventre cosmico che tutto contiene, ma come si può dire lo stesso davanti a un uomo, anziano e barbuto, iconografia di dio padre ancora ben presente nell’immaginario collettivo?
Infatti, la presunta neutralità di dio si costruisce su concetti mentali, interpretazioni, sfide teologiche. Ma “alla pancia” arriva, potente, la sua immagine maschile. Ci si possono costruire congetture ed appassionare in esercizi di pensiero che però non riusciranno mai a intaccare la forza della sua iconografia e l’impatto che questa ha sulla produzione di realtà.
Tant’è che anche la trinità diventa totalmente maschile: dio chiamato “padre”, che manda il figlio incarnato in corpo di uomo, e per quanto riguarda il genere dello Spirito Santo ci sono in corso varie diatribe, ma nelle scritture compare con pronomi maschili e, cito, “questa è la lingua che dio ha voluto”.
Ironico come la resistenza verso una Grande Madre venga dall’attribuirle il pacchetto del dio monoteista (o del padre degli dèi politeista ma già patriarcale) a ruoli invertiti.
Curioso come si rifiuti il simbolismo di una “signora cosmica” perché si teme possa diventare come “dio” o che possa discriminare come nelle religioni a “lui” attribuite … ma si insista sulla presunta neutralità di un dio che neutro non è e che nasce con l’intento di separare (il cielo dalla terra, la parola dal corpo, lo spirito dalla materia, il sacro dal profano …).
Sfugge ai più che quella “Dea” non potrebbe essere più lontana da tutto ciò e anzi: paradigma dalla portata ancora oggi rivoluzionaria, avrebbe ancora molto da offrire.
di Laura Ghianda
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