(in Marija Gimbutas, Vent’anni di studi sulla Dea, Atti del Convegno alla Casa Internazionale delle donne di Roma, 9-10 Maggio 2014, pp. 22-55)
L’archeologa lituana-americana Marija Gimbutas è conosciuta come una delle donne più significative del XX secolo. Nata e cresciuta in Lituania, ha utilizzato la sua formazione classica in linguistica e archeologia per definire l’etnogenesi delle popolazioni proto-indo-europee e delle loro lingue. Ha concepito una nuova disciplina, l’“archeomitologia”, che permettesse di studiare le credenze, i rituali e i simboli delle prime società agricole dell’Europa Antica, che ha chiamato “la Civiltà della Dea”. La sua ricerca multidisciplinare ha ampliato i confini del suo campo di studi e tutto il lavoro della sua vita l’ha portata a tracciare una nuova storia delle origini dello sviluppo culturale europeo. Questa presentazione descrive, nel contesto della sua vita straordinaria, l’evoluzione delle scoperte essenziali fatte da Marija Gimbutas, le sue principali teorie e l’eredità pionieristica che ha lasciato.
Marija Birute Alseikaitè[1] era nata il 23 gennaio 1921 a Vilnius, l’antica capitale della Lituania, in una famiglia di studiosi, medici e rivoluzionari, erede di una complessa corrente di tradizioni culturali, intellettuali e spirituali ancora in risonanza con le antiche radici baltiche. I genitori di Marija, Veronika Janulaitytè Alseikienè e Danielius Alseika,ambedue medici, erano molto impegnati nella conservazione delle ricche tradizioni popolari della Lituania, minacciate di distruzione a causa del succedersi di invasioni straniere. Facevano parte dell’intelligentsia lituana che si era sviluppata tra le famiglie di agricoltori del XIX secolo, durante gli oltre cent’anni di dominazione zarista.
L’istruzione in lingua lituana era vietata ed essere trovati in possesso di letteratura lituana era un grave crimine. Cionondimeno, i membri della famiglia diventarono “corrieri dei libri”, rischiando pesanti punizioni per importare e diffondere libri in lituano[2]. Durante il XIX secolo e l’inizio del XX, l’istruzione e la crescita intellettuale erano coltivate e considerate essenziali per la liberazione sia personale che nazionale. La madre di Marija (oftalmologa) e la loro amata zia Julija (dentista) furono due delle prime donne europee a conseguire il dottorato in medicina all’inizio del XX secolo.
Nel 1918 la Lituania dichiarò la sua indipendenza dalla Russia. Il medico e studioso del folclore Dr. Jonas Basanavicius, il nonno adottivo di Marija, fu il primo a firmare la Dichiarazione di Indipendenza. Le sue importanti collezioni di folclore lituano sono rimaste un classico fino ad oggi, e la sua figura di studioso e la sua presenza personale ebbero una profonda influenza sullo sviluppo di Marija.
Subito dopo la dichiarazione d’indipendenza, il territorio di Vilnius venne occupato dalla Polonia. Poiché il padre di Marija era il leader del movimento di resistenza lituano, oltre ad essere uno storico e l’editore di un giornale d’informazione e cultura, la loro casa era un centro di attività sia politiche che culturali. La madre di Marija era considerata una professionista miracolosa che ridava la vista alle persone realizzando le prime operazioni alla cataratta. Anche lei era impegnata nel sostegno per la conservazione delle arti folcloristiche lituane.
Quando Marija fu pronta per accedere all’istruzione formale, fu inserita in una scuola liberale, organizzata da sua madre, ispirata alle idee pioneristiche di Maria Montessori, medico ed educatrice italiana. Questa scuola stimolò il naturale amore per l’apprendimento della bambina, le sue capacità creative, il suo senso di responsabilità e di autonomia. Marija ricevette anche insegnamenti privati di musica e di lingue e fu sempre nutrita dal sostegno di una famiglia allargata. L’intensa vitalità di un ambiente culturalmente molto avanzato stimolò in lei un forte interesse per la libertà politica ed estetica, per le mete intellettuali e un’originalità senza cedimenti.
“Fin dall’inizio, da bambina, potei godere di una totale libertà. Eravamo libere di creare le nostre individualità, anche se il lavoro per la nazione e l’istruzione venivano sempre al primo posto”. [3]
La Lituania fu l’ultimo paese europeo a essere cristianizzato e le conoscenze tradizionali che Marija assorbì da bambina erano ricche di simbolismi antichi.
“Ho sempre sentito parlare delle Fate, che filavano il filo della vita umana, e della strega baltica Ragana…”.[4] Marija risalì nel passato fino agli antichi Baltici che, nel III millennio Prima dell’Era Comune (P.E.C.), presentavano una mescolanza molto vitale di caratteristiche culturali sia indo-europee che proprie dell’Europa Antica.[5]
Il folclore baltico riflette non soltanto il pantheon indo-europeo degli dèi del cielo, ma anche un legame molto precedente con la Terra e i suoi misteriosi cicli. Nella sua monografia del 1963, I Baltici, menziona ciò che aveva scritto nel I secolo P.E.C. uno storico romano, Tacito, degli “Aisti”, (una popolazione baltica), che coltivavano con pazienza la terra, veneravano la Dea Madre e indossavano delle maschere per proteggersi.[6]
Secondo il Vescovo di Paderborn, all’inizio del XIII secolo:
“… essi onorano le ninfe delle foreste, le dee delle foreste, gli spiriti delle montagne, delle pianure, delle acque, gli spiriti dei campi e quelli delle foreste. E si aspettano un’assistenza divina dalle foreste vergini, in cui venerano sorgenti e alberi, alture e colline, pietre verticali e montagne inclinate – tutto ciò che si presume possa dare all’umanità forza e potere”. [7]
Una descrizione nel Chronicon Prussiae del 1326 afferma che le tribù baltiche:
“adorano tutto il mondo delle creature invece di Dio, e in particolare il sole, la luna, le stelle, il tuono, gli uccelli, perfino gli animali a quattro zampe, comprese le rane … Hanno anche luoghi consacrati, campi e acque sacri”.[8]
Dalla tendenza ad antropomorfizzare gli aspetti della natura scaturisce un senso personale e comunitario di relazione con questi poteri, espressi da un’ampia gamma di divinità. Ad esempio, Saulé, la Grande Dea del Sole, che guida nei cieli il suo carro fiammeggiante, era celebrata al solstizi d’estate e di inverno. Inoltre, “la vita contadina era continuamente regolata da preghiere rivolte a Saulé all’alba e al tramonto, poiché tutti i lavori dei campi dipendevano completamente dai doni del sole”. [9]
La Terra era onorata come Zemyna, la Grande Madre (da zeme, “terra”), venerata fin dai tempi dell’Europa Antica. La Terra veniva baciata ogni mattina e ogni sera, e offerte le erano portate in segno di gratitudine per la vita.[10]
Durante i primi decenni del XX secolo, il vecchio tessuto religioso della cultura dei villaggi venne lacerato ma non distrutto. La leggera vernice del Cristianesimo non aveva fatto scomparire la percezione popolare di un intero cosmo che era vivo in quanto connesso allo Spirito. Nelle campagne, le persone continuavano le loro vita secondo le modalità tradizionali.
Marija ricorda che:
“Le donne anziane usavano il falcetto e cantavano mentre lavoravano. I canti erano molto autentici, molto antichi. In quel momento mi innamorai di ciò che è antico, perché rappresentava una maniera profonda di comunicare e di sentirsi in sintonia con la Terra. Ne fui completamente catturata. Questo fu l’inizio del mio interesse per il folclore”.[11]
L’equilibrio tra i poteri maschili e femminili espressi nei materiali folcloristici del Baltico aveva una sua corrispondenza nelle vite quotidiane delle persone:
“Il patriarcato indo-europeo in questi luoghi è stato diluito da elementi come la matrilinearità, la matrilocalità, la matricentralità dell’Europa Antica”.[12]
“Ufficialmente il sistema patriarcale è dominante, ma in realtà esiste ancora un’eredità proveniente dall’Europa Antica in cui la donna è al centro. In alcune aree il sistema matrilineare esiste realmente, come nella mia famiglia. Non ho mai visto che i figli fossero più importanti.”[13]
Spinta dall’urgenza di raccogliere le conoscenze folcloriche delle donne dei villaggi, Marija partecipò a delle spedizioni etnografiche nelle zone più lontane delle Lituania. Al momento in cui fuggì dal paese, nel 1944, aveva raccolto centinaia di canzoni popolari e di storie che sono ora conservate nell’archivio del folclore dell’Università di Vilnius.
Dopo aver superato con lode la maturità della scuola superiore nel 1938, Marija si iscrisse a Filologia all’università Vytautas Magnus di Kaunas. Voleva capire perché la lingua lituana, una delle lingue indo-europee più conservatrici, avesse così tante somiglianze con il sanscrito.
“La questione delle origini – degli Indo-Europei, dei Baltici – costituiva per me una forte motivazione a quell’epoca e così decisi di studiare archeologia per ottenere delle risposte, ma era chiaro che sarei stata una pioniera del campo”.
Si trasferì all’Università di Vilnius, dove il suo percorso accademico comprendeva non soltanto una forte base linguistica, ma anche archeologia e poi letteratura, etnologia e storia della cultura. Questa impostazione multidisciplinare sarebbe continuata per tutta la sua vita professionale.
Marija aveva 18 anni quando iniziò la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1940, quando i Russi occuparono la Lituania per la prima volta, le università furono prese dagli stalinisti, i libri furono bruciati e membri della loro famiglia allargata, professori e amici vennero messi in prigione, uccisi o deportati in Siberia. Seguirono gli orrori dell’occupazione tedesca. La popolazione ebrea fu decimata, e i Lituani scoperti a nascondere degli Ebrei (come stava facendo la sua famiglia) furono massacrati. Durante questa situazione drammatica, Marija sposò il suo fidanzato, Jurgis Gimbutas. Riuscì a laurearsi in archeologia con filologia e folclore come materie complementari all’Università di Vilnius nel 1942 e poi rimase incinta.
Durante l’anno successivo, pur vivendo con la bimba appena nata sotto la pressione di una brutale occupazione, Marija pubblicò undici articoli sui Baltici e sui riti funebri preistorici in Lituania.
“Fu questo a tenermi in vita, ricordava, avevo qualcosa come una doppia vita. Ero felice nel fare il mio lavoro; e questo era il mio motivo di esistere. La vita mi scuoteva come fossi una piantina, ma la mia vita continuava ad andare in una direzione precisa”.[14]
Marija ampliò la sua tesi di laurea e presentò la dissertazione su “I riti funerari della Lituania preistorica” per il suo dottorato nel 1944, ma era troppo tardi. I suoi professori avevano subito delle persecuzioni e l’università era stata chiusa dai nazisti. Più tardi, sempre nello stesso anno, mentre il fronte sovietico stava avanzando verso la Lituania per la seconda volta, Marija e Jurgis fuggirono con la loro figlioletta verso l’Austria insieme a migliaia di altri rifugiati.
Malgrado la situazione di guerra, continuò a lavorare senza sosta alla sua dissertazione, traducendola in tedesco. Quando arrivò la pace nel 1945, si iscrisse all’Università di Tubinga (nella zona di occupazione francese). Completò il suo dottorato in archeologia nel 1946, dedicando particolare attenzione all’etnologia e alla storia della religione. La sua dissertazione, Die Bestattund in Litauen in der vorgeschichtlichen Zeit (Le sepolture in Lituania nella preistoria), fu pubblicata lo stesso anno a Tubinga. La loro seconda figlia nacque l’anno successivo e nel 1949 la famiglia Gimbutas emigrò negli Stati Uniti.
Subito dopo il suo arrivo negli Stati Uniti come rifugiata, Marija si presentò alla Harward University a Boston. Date le sue eccellenti credenziali e la conoscenza di molte delle principali lingue dei paesi dell’occidente e dell’oriente dell’Europa, venne invitata a fare traduzioni, a svolgere ricerche presso il Museo Peabody di Harward e a scrivere sulla preistoria europea. Anche se il suo lavoro non era retribuito, “la mia determinazione era talmente forte che cominciai immediatamente le ricerche”, ricordava. Jurgis trovò un eccellente posto come ingegnere e poté così mantenere la famiglia. Dal 1954 Marija cominciò a ricevere dei fondi e delle borse di studio che contribuirono a sostenere la sua attività. Sempre nel 1954 era nata la loro terza figlia, Rasa Julija e nel 1955 la professoressa Marija Gimbutas fu formalmente nominata ricercatrice presso il Peabody Museum.
The Prehistory of Eastern Europe (La preistoria dell’Europa Orientale), pubblicata ad Harward nel 1956, sintetizzava l’intero stato delle ricerche archeologiche su Mesolitico, Neolitico e Età del rame nell’area del Baltico e della Russia fino al Caucaso. Questa monografia, che utilizzava fonti primarie in una molteplicità di lingue, dal XIX secolo fino al 1955, rese per la prima volta questo materiale ampiamente utilizzabile. Prima della comparsa di questo libro, era impossibile per i ricercatori occidentali avere accesso a qualcosa di più che ai dati frammentari sulla preistoria dell’Europa Orientale, a causa delle barriere politiche e linguistiche.
Nel 1956 presentò una relazione a carattere storico all’International Council of Ethnological Sciences della Università della Pennsylvania, in cui introduceva la sua ipotesi Kurgan. Questo testo, pubblicato nel 1960[15], collocava la terra di origine delle popolazioni che parlavano il proto-indo-europeo nella regione a nord del Mar nero e delle montagne del Caucaso, e attribuiva le drammatiche trasformazioni avvenute nelle società del Neolitico nell’Europa Orientale all’apparizione di pastori guerrieri provenienti da oriente.[16]
La sua ipotesi Kurgan (più tardi conosciuta come la Teoria dei Kurgan) diventò uno dei più importanti contributi al “problema degli Indo-Europei”, e continuò a rivederla a a svilupparla durante i tre decenni successivi.
Ancient Symbolism in Lithuanian Folk Art (Antico Simbolismo dell’arte folclorica in Lituania) fu pubblicato nel 1958 dall’American Folclore Society of Philadelphia. Questo testo, con abbondanti illustrazioni sul ricco corpo del simbolismo preistorico, è il risultato del suo lavoro di campo in Lituania e della consultazione, quando era una rifugiata, delle biblioteche universitarie di Vienna, Innsbruck, Heidelburg, Tubinga e Munich. Elaborati raggi di sole, lune, stelle, spirali, croci, cerchi e altri disegni geometrici su pali di legno, diffusi ovunque nel paesaggio e poi immagini di animali, piante e forme serpentine incise sulle case dei villaggi o su utensili di legno esprimevano l’immaginario celeste degli Indo-Europei in interazione dinamica col simbolismo basato sulla terra.[17]
Marija scrive:
“I simboli dell’arte folcloristica e i suoi predecessori, l’arte preistorica di un’epoca agricola erano elementi facenti parte di un sistema ben ordinato, non spontaneo, non legato all’ispirazione”.[18]
Questa intuizione influì in seguito su tutta la sua successiva interpretazione del simbolismo nelle società neolitiche dell’Europa Antica. Comprese che le credenze fortemente sentite da una popolazione – i loro concetti sacri relativi alla rete interconnessa della vita e alla propria collocazione al suo interno – erano la fonte di questo antico simbolismo.
“Durante l’era cristiana, i contadini adottarono nuovi simboli ma senza dimenticare quelli vecchi, che furono assorbiti nei secoli più recenti, esprimendo lo spirito di un popolo che stava disegnando il suo elisir vitale sulla base di radici fortemente attaccate al suolo … costruite sui residui di fondamenta preistoriche.”[19]
Nella sua visione, l’arte popolare e il folclore – conservati nella cultura dei villaggi – costituiscono fonti autorevoli per la ricostruzione della religione pre-cristiana. In altre parole, i simboli dell’arte popolare lituana erano fedeli espressioni di antichi concetti religiosi di vibrante unità di tutta la vita.
Durante tutta la sua vita, Marija Gimbutas si è dedicata alla conservazione dell’eredità lituana. Ha svolto un ruolo guida nell’avanzamento degli studi baltici, contribuendo a un gran numero di pubblicazioni lituane, ed è stata una dei pochi studiosi occidentali ad aver tenuto lezioni pubbliche in Lituania durante il periodo sovietico. Nel 1960 prese parte a un convegno di Orientalistica a Mosca per poter incontrare sua madre per la prima volta dopo il 1944.
Nel 1969 poté partecipare a un programma di scambio con l’URSS attraverso l’American Academy of Sciences, e ritornò in Lituania con una borsa di studio Fulbright nel 1981. Durante queste sue rare visite incoraggiò studenti e professori lituani ad apprezzare la ricchezza della loro eredità. I suoi libri però furono vietati dal KGB, e quindi divenne a sua volta un “corriere dei libri” per introdurre nascostamente alcune delle sue pubblicazioni.[20] Il ricercatore lituano Vytautas Kubilius ricorda:
“Con quale passione abbiamo fatto circolare il suo libro Ancient Symbolism in Lithuanian Folk Art, traducendolo di nascosto, mettendoci a cercare le radici ancora esistenti con una nuova fiducia negli sviluppi culturali della nostra nazione! Arte, musica e letteratura stavano gradualmente scomparendo a causa dell’ideologia sovietica. Dal lavoro di Marjia Gimbutas arrivammo a capire che la nostra arte popolare conservava un simbolismo vecchio di migliaia di anni … L’espressione poetica della terra come fonte della vitalità di una nazione, così forte nella poesia lituana e in quella dell’esodo, proveniva da questa tradizione: la terra come madre di tutte le varietà della vita.”[21]
Marija Gimbutas completò I Baltici (1963) mentre era ricercatrice residente aggregata al Center for Advanced Studies in the Behavioral Sciences della Stanford University in California.
“In certi momenti, qui, riesco a visualizzare le colline e le montagne coperte da verdi querce come se le vedessi dal castello sulla collina di Gediminas a Vilnius, la mia città natale nel cuore delle terre baltiche, dalla quale sono separata da quasi venti anni.
Le dune di sabbia della California, a Carmel, mi ricordano le sabbie bianche e pulite di Palanga, dove raccoglievo grandi quantità di ambra; e i tramonti sul Pacifico, il pacifico tramontare del sole proprio come spariva nel mar Baltico verso occidente, là dove i miei lontani antenati pensavano fosse l’albero cosmico, l’asse del mondo, che sostiene l’arco del cielo.”[22]
I Baltici, un libro ben distribuito e tradotto in numerose lingue europee, è la prima monografia che analizza l’evoluzione delle tribù baltiche durante tutto il periodo preistorico. Valorizza le loro origini, la cultura, la lingua, la mitologia e la religione, e inoltre documenta la scomparsa degli antichi Prussiani ad opera dei Cavalieri Teutonici, lo sviluppo dello stato lituano e la sua resistenza organizzata contro le continue crociate militari cristiane.[23]
Molti dei dati archeologici di questo lavoro provengono dagli scavi condotti tra le due guerre mondiali nella Prussia Orientale, in Lituania e in Lettonia.[24]
Importanti dati e illustrazioni di questo libro erano stati coraggiosamente spediti dai suoi colleghi lituani, lettoni, polacchi e russi che stavano dietro la Cortina di Ferro.[25] Con cautela, riuscì a riallacciare questi contatti durante quel periodo di dure restrizioni dovute alla Guerra Fredda.
Benché non avesse ancora coniato il termine “archeo-mitologia”, scriveva che l’esperienza fatta nella ricerca sulla preistoria dei Baltici le aveva insegnato “l’importanza del lavoro interdisciplinare, cioè il combinare insieme linguistica, mitologia, archeologia e le analisi storiche”.[26]
Come abbiamo detto, nella sua trattazione sulla religione baltica Marija sottolineava le relazioni sacre con il mondo del vivente, con le sue dee e gli spiriti femminili, nonché la venerazione del pantheon indo-europeo degli dèi del cielo. Nei lavori successivi, mostrò di essere la prima studiosa capace di distinguere gli elementi propri dell’Europa Antica dagli aspetti mitologici e linguistici indo-europei, mescolati senza fondersi nell’eredità baltica.
Marija Gimbutas ha evidenziato le distinzioni tra le tradizioni baltiche e slave, che vengono spesso confuse date che sono ambedue linguisticamente indo-europee.
Nella sua successiva monografia, The Slavs (1971), discute le origini “proto-slave”, le migrazioni, la struttura sociale e la religione degli Slavi utilizzando prove archeologiche, linguistiche, mitologiche e storiche. Scrive:
“La sfida del tentativo di vagliare l’enorme quantità di scritti in varie lingue slave e con posizioni diverse sul problema della terra d’origine degli Slavi è stata come un lungo viaggio in una giungla”.[27]
La lunga esistenza degli Slavi viene ricostruita dagli inizi fino allo sviluppo dell’Impero Moravo del IX e X secolo dell’Era Comune (E.C.) e alla fondazione di Kievan e di altri stati slavi.[28] Anche questo lavoro fu reso possibile dalla ricchezza di informazioni e illustrazioni fornite dai suoi colleghi in Bulgaria, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Romania, Ucraina, Russia e Yugoslavia.[29] È facile dimenticare quanto sia stato difficile accedere a questi dati durante la Guerra Fredda.
Nel 1963 Marija Gimbutas accettò la posizione di professore di Archeologia Europea all’Università della California, a Los Angeles, dove era descritta come “una persona che anche allora stava rivoluzionando lo studio dell’archeologia dell’Europa Orientale… [mettendo insieme] archeologia, linguistica, filologia e lo studio delle antichità culturali non materiali”.[30]
Per quasi tre decenni, la professoressa Gimbutas contribuì in modo molto dinamico alla creazione di nuovi programmi accademici, ispirò le carriere da ricercatori dei suoi studenti, sempre continuando a catalogare scritti, conferenze e ricerche in corso.
Mentre era all’inizio di questi multiformi progetti, completò il suo possente volume, Bronze Age Cultures in Central and Eastern Europe(Culture dell’Età del Bronzo nell’Europa Centrale e Orientale), che comprende 681 pagine di testo, seguite da 95 pagine di immagini, pubblicato all’Aja nel 1965.
Nell’Introduzione, scrive:
“Siamo in un periodo di ‘corsa all’oro’ delle scoperte. La spontaneità della ricerca e l’accelerata accumulazione di materiali archeologici privi di valutazione segnalano come analisi e sintesi restino sempre in ritardo rispetto agli scavi”.[31]
Sfortunatamente, questi rapporti di scavi utilizzavano tecniche di datazione basate unicamente su analisi stratigrafiche e comparative. Invece di attendere anni per veder apparire un numero sufficiente di datazioni al radiocarbonio, Marija Gimbutas sintetizzò e valutò dati grezzi provenienti da circa quindici paesi con lo scopo di rendere subito accessibili ai ricercatori occidentali informazioni sulle scoperte relative all’Età del Bronzo in questa amplissima regione, fino a quel momento rimasti praticamente inaccessibili.
La mancanza di dati al radiocarbonio danneggiò il suo libro sull’Età del Bronzo, come pure i due testi sui Baltici e sugli Slavi, nonché altre pubblicazioni che si basavano su vecchie cronologie.
Non appena furono disponibili i dati basati sul carbonio 14 e sulla dendrocronologia (la scienza basata sull’analisi della successione degli anni nei tronchi di albero e negli oggetti di legno), revisionò le sue prime affermazioni relative al fatto che le incursioni dei Kurgan nell’Europa Centrale fossero iniziate nel II millennio P.E.C. Questa importantissima correzione, pubblicata nel 1970, colloca l’apparizione dei pastori delle steppe in Europa durante il V, IV e III Millennio P.E.C.[32] Ora era in grado di riconoscere che le società neolitiche dell’Europa sud-orientale avevano raggiunto un alto livello di sviluppo culturale continuativo molto prima di quanto si sapeva in precedenza, cioè tra il 6500 – 3500 circa P.E.C.
Marija Gimbutas era veramente stanca di scrivere sull’Età del Bronzo, con i suoi capi tribù, le sue guerre e le tante armi. Rivolse gradualmente la sua attenzione ai materiali neolitici più antichi, che esprimevano un’estetica completamente differente. Aveva ammirato l’abbondanza di oggetti rituali e aveva visto migliaia di statuette neolitiche nei depositi non aperti al pubblico dei musei dell’Europa Orientale, purtroppo separate dai rispettivi contesti, praticamente ignorate e “non comprese”.[33] Anche se esistevano le relazioni degli scavi, non c’era nulla nella letteratura che spiegasse cosa aveva sotto agli occhi.
“Arrivai al punto in cui dovevo capire cosa stava succedendo in Europa prima dell’arrivo degli Indo-Europei”.[34]
La Civiltà della Dea.
Come rispettabile professoressa di archeologia europea all’UCLA, Marija Gimbutas ricevette vari fondi dalla National Science Foundation, dallo Smithsonian Institute e da altre fonti di finanziamento per condurre una serie di nuovi scavi. Tra il 1967 e il 1980, diresse cinque importanti scavi nelle culture neolitiche e calcolitiche di siti in Bosnia (parte della ex-Yugoslavia), Macedonia greca, Macedonia yugoslava, Grecia e Italia sud-orientale (Scaloria, grotta santuario in Puglia). Queste prime società agricole erano considerate comunità stabili e durature nel tempo, che avevano prodotto case ben costruite, eleganti sculture e ceramiche d’arte, e con persistenti tradizioni religiose. I suoi scavi, che furono realizzati quasi ogni estate durante tredici anni, in collaborazione con colleghi internazionali, furono, per Marija, un sogno diventato realtà.
Le monografie risultate da questi scavi, da lei edite o coeditate, comprendono: Obre, Neolithic Sites in Bosnia (1974, Obre, siti Neolitici in Bosnia), Neolithic Macedonia as Reflected by Excavations at Anza, Southeast Yugoslavia (1976, La Macedonia Neolitica dai risultati degli scavi di Anza, Yugoslavia sud orientale), Excavations at Sitagroi: A Prehistoric Village in Northeast Greece (1986, Scavi a Sitagroi: un villaggio preistorico nella Grecia nordorientale), e Achilleion: A Neolithic Settlement in Thessaly, Greece, 6400-5600 BC (1989, Achilleion: un insediamento Neolitico nella Tessaglia, Grecia, 6400 – 5600 P.E.C.).
Come direttore di progetto di questi scavi, poté determinare le ipotesi di ricerca che guidavano le indagini. E fu in grado, quindi, di raccogliere accuratamente quanti più dati possibili sulle statuette, sugli “oggetti di culto” e sui loro contesti, che introdussero un focus completamente nuovo nelle indagini archeologiche tradizionali.
Mentre gli scavi a Obre, in Bosnia, (1967-1968) resero possibile definire la genesi e la cronologia della cultura Butmir, materiali come le statuette erano relativamente scarsi. Invece a Sitagroi (1968-1969) furono trovate quasi duecentocinquanta statuette che, scrisse Marija, “possono essere considerate un nucleo consistente e attendibile per lo studio di concetti religiosi … delle relative culture … [le cui statuette] non sono mai state pienamente descritte o analizzate”.[35]
Il ricco insieme di sculture antropomorfe e zoomorfe proveniente da Sitagroi, con maschere, costumi e simboli incisi, sfortunatamente però era stato trovato tra frammenti di abitazioni e non in specifici contesti. La più grande soddisfazione di Marija, invece, venne dalle duecento statuette della cultura Sesklo dissepolte nel sito di Achilleion in Tessaglia Orientale (1973-1975), che furono trovate in contesti chiaramente identificabili e confermarono in grande misura le sue interpretazioni. Nella relazione finale degli scavi, scrive: “Lo scavo sistematico, l’attento esame di promettenti agglomerati di terra e l’accurata schedatura dei contesti archeologici ci permettono di disporre di una collezione di statuette senza eguali tra i siti neolitici in Grecia. Per la prima volta, la tecnica della fabbricazione delle statuette è stata ricostruita con notevole dettaglio”.[36]
Nel 1973, Marija Gimbutas presentò il concetto di “Europa Antica”, cioè la presenza di una vera civiltà che precedeva l’apparizione degli Indo-europei, nel primo numero del Journal of Indo-European Studies[37] che aveva co-fondato e che dirigeva.
Questo concetto chiave venne poi ulteriormente sviluppato in The Gods and Goddesses of Old Europe 7000-3500 BC. Myths, Legends and Cult Images (1974). Il primo libro sull’immaginario del Neolitico fu dunque scritto tra il 1973 e il 1974, durante i periodi di scavi ad Achilleion, mentre ricopriva l’incarico di ricercatrice del Netherlands Institute for Advanced Study in the Humanities and Social Sciences (Istituto Olandese per Studi Avanzati in Umanità e Scienze Sociali).
Marija in seguito commentò:
“Gods and Goddesses era il risultato di buoni anni di riflessione e fu scritto in tre mesi, un periodo troppo breve. Fu una nascita prematura”.[38]
Questo lavoro mostra la prima collezione di sculture e oggetti rituali neolitici e calcolitici provenienti dall’Europa sud-orientale pubblicata in lingua inglese.[39] Per riuscire a mettere insieme un adeguato gruppo di immagini per questo libro, Marija assunse un fotografo e lo guidò in Grecia e nei Balcani per fare foto originali dei manufatti originali nei musei di tutta l’area.
Quando il libro apparve, si aprì una finestra completamente nuova sulla ricchezza del simbolismo delle sculture nelle prime società agricole dell’Europa. I risultati di datazioni calibrate al radiocarbonio rivelarono l’autentica antichità e la longevità di queste prime società di produttori agricoli, che Marija presenta attraverso i loro contesti culturali, regionali e cronologici. Uno degli obiettivi che si poneva con questo libro era quello di presentare “le manifestazioni spirituali dell’Europa Antica”, espresse con metafore visive attraverso l’arte della scultura, degli ideogrammi e dei simboli resi con grandi diversità stilistiche.[40]
Nel testo sono passate in rassegna sia le immagini schematiche che quelle realistiche, i costumi rituali, le maschere, i modelli di piccoli templi, gli strumenti rituali e le immagini cosmologiche divise in varie categorie.[41] I processi da lei adottati per studiare le sculture nei termini dei loro specifici temi di riferimento e delle loro funzioni sono totalmente originali.
“All’inizio non riuscivo a vedere nulla. Nessun testo scritto poteva aiutarmi. Dovevo costruirmi la mia strada personale, pezzo a pezzo… Mi resi conto che alcune statuette erano alate, altre avevano teste di animali, alcune avevano delle decorazioni speciali, alcune erano nude, altre erano vestite. Verso la fine degli anni ‘60 riuscivo a distinguere alcune tipologie, che ho delineato in Gods and Goddesses.”[42]
Questo volume ebbe una nuova edizione nel 1982, in versione aggiornata con una nuova prefazione dell’autrice. Nel 1974 l’editore si era rifiutato di permettere che le Dee fossero prime nel titolo, considerandolo “improprio”.[43] Marija insistette che mettere le Dee per prime nel titolo era giustificato dal fatto che gran parte delle immagini antropomorfe individuabili nell’Europa Antica sono femminili. Nella nuova edizione il titolo divenne The Goddesses and Gods of Old Europe 6500-3500 BC. Myths and Cult Images.
La scoperta ad Achilleion di duecento sculture nei loro contesti ben documentati ebbe una grande influenza sul libro successivo, Il linguaggio della Dea, pubblicato nel 1989.
Come viene affermato nell’Introduzione, “Scopo di questo libro è presentare una ‘sceneggiatura’ iconografata della religione della Grande Dea dell’Europa Antica, consistente in segni, simboli e immagini di Divinità”.[44]
Le statuette trovate ad Achilleion sono ora classificate in termini di morfologia e stile, individuando venti categorie di statuette associate a sette diverse divinità: la Dea Uccello, la Dea Serpente, la Dea Gravida, la Dea che protegge la Nascita, la Dea Rana, la “Nutrice” (una figura che tiene in braccio un neonato) e la Divinità maschile (una figura seduta con assenza di caratteristiche femminili).[45]
La tipologia di queste statuette viene descritta ne Il linguaggio della Dea, ciascuna associata al suo specifico contesto. Ad esempio, la Dea Gravida e la Dea della Nascita erano state trovate dove venivano immagazzinati i cereali, trasformati in farina o cotti per fare il pane. Ciò forniva le chiavi del mosaico, poiché sottolineava le intime associazioni delle donne con le attività di raccolta, con la produzione di cibi, come datrici di vita e i loro legami con i cereali selvatici o coltivati. Temi ulteriormente riflessi nella miriade di immagini originate in un’ampia gamma di periodi e di culture, come nel caso dei forni per il pane in forma di ventre di donna incinta[46], di vulve che assomigliano a semi e boccioli o che sono accostate a delle piante, e uteri che germogliano vegetazione.[47]
La realtà della Terra fertile che fa nascere tutte le vite continua a essere presente nelle metafore visive dell’utero fertile come fonte dei cereali. Ad esempio, un contenitore per conservare i cereali che ha la forma di un corpo di donna molto decorato, datato intorno al 5000 P.E.C., venne trovato nella collina di Toptepe vicino al Mar di Marmara. Era vicino a un altare circondato da offerte di cereali.[48]
Nel 2000 P.E.C., l’utero della Dea come fonte di cereali si trova anche tra i Sumeri. Su una tavoletta cuneiforme, la Dea Inanna parla:
“Davanti al mio signore Domuzi
Ho generato le piante nel mio utero
E ho posto le piante davanti a lui
Ho messo i cereali davanti a lui
Ho generato i cereali davanti a lui
Ho generato i cereali nel mio utero.”[49)
Anche se il lavoro di Marija era sempre stato interdisciplinare, Il linguaggio della Dea introduce formalmente il concetto di archeomitologia, che amplia i confini dell’archeologia descrittiva utilizzando la mitologia comparativa, le fonti storiche originarie, la linguistica, il folclore e l’etnologia storica.[50]
Le esperienze dirette di Marija con il tessuto vivente della cultura popolare della Lituania esaltavano la sua percezione del fatto che il simbolismo dell’Europa Antica funzionava come parte di “un sistema ideologico coesivo e persistente”.[51] Inoltre, la sopravvivenza di questi primi agricoltori dipendeva dal loro coltivare una relazione sensibile e armonica con i cicli del mondo naturale. Le culture del Neolitico e del Calcolitico nell’Europa sud-orientale non solo sopravvivevano ma prosperavano, creando società sostenibili che durarono molte centinaia di anni.
Al centro della loro sostenibilità stava la vita rituale e la trasmissione delle conoscenze ancestrali che guidavano le comunità; al centro della vita rituale stava la profusione di immagini femminili. Nella visione di Marija, quest’ampia gamma di immagini femminili esprimeva concetti metaforici essenziali relativi alla fonte sacra e alla ciclica continuità della vita, che lei chiamava Dea.
“Dea” non si riferisce a una versione femminile del Dio monoteistico trascendente. Ne Il linguaggio della Dea (1989), Marija definisce la “Dea”, in tutte le sue mani-festazioni, come “un simbolo dell’unità di tutta la vita nella Natura … da qui la percezione olistica e mito-poietica della sacralità e del mistero di tutte le cose sulla Terra”.[52] Comprese che questa Dea cosmogonica – che è Una e Molte – è in definitiva l’intero mondo naturale, prolifico e fertile, con i continui cicli della vita che vengono in essere, maturano, muoiono e si rigenerano. Questo ampio spettro di poteri è reso in termini di metafore visive, con uno spiegamento di immagini antropomorfe, zoomorfe e fortemente stilizzate, molte delle quali sono incise in modo elaborato con dei segni.
L’opus magnum di Marija Gimbutas, La civiltà della Dea (1991), fu pubblicato come un volume che accompagnava Il linguaggio della Dea. Mentre Il linguaggio si concentra sul simbolismo iconografico delle società dell’Europa Antica, La civiltà è una vivace selezione illustrata del lavoro di tutta la sua vita, che presenta i modi di abitare, la cultura materiale, la struttura sociale, la religione e i “segni” sacri delle prime società agricole dell’Europa dal VII al III millennio P.E.C.
Queste società dalla lunga vita, pacifiche e mature sono caratterizzate da un gran numero di villaggi connessi tra loro da una rete di percorsi commerciali, dalla profusione di eleganti ceramiche secondo stili regionali ben distinti, e da una fioritura di oggetti rituali e di sculture antropomorfe e zoomorfe che indicano una continuativa dedizione ad attività rituali all’interno della realtà domestica.
Nella visione di Marija, i simboli dell’Europa Antica, i riti funebri e le pratiche rituali domestiche esprimono una cosmologia sacra che riflette la centralità delle attività delle donne nel quadro di un sistema matristico e matrilineare.
Rifiutava di usare il termine “matriarcale”, che è normalmente legato a società dominate dalle donne nello stesso modo in cui gli uomini dominano le donne nel patriarcato. Marija scrive:
“I riti funebri e le modalità degli insediamenti riflettono una struttura matrilineare, mentre la distribuzione delle ricchezze nelle tombe parla di un egualitarismo economico.”[53]
Il capitolo finale de La civiltà della Dea presenta i principali elementi della teoria dei Kurgan di Marija Gimbutas. Descrive il collasso delle società dell’Europa Antica come risultato di una progressiva “collisione” e amalgamazione tra due sistemi culturali e ideologici diametralmente opposti. Questo lavoro dimostra che il patriarcato non è nato in Europa come naturale “evoluzione” da un’originale struttura egualitaria e che la dominazione maschile non è una caratteristica dominante nelle società preistoriche.
Le popolazioni kurgan,[54] che svilupparono strategie di aggressione territoriale nell’ambiente ostile delle steppe circumpontiche, importarono le loro ben diverse tendenze culturali in Europa attraverso una serie di incursioni che si svolsero durante un periodo di circa duemila anni tra il 4500 e il 2500 P.E.C. Una volta che le società dell’Europa Antica furono destabilizzate e disseminate di elementi di origine kurgan, si diffusero cambiamenti sociali, ideologici, economici e materiali, indotti attraverso dinamiche interne ed esterne, che ebbero come risultato l’assunzione di posizioni di forza da parte delle tendenze patriarcali e militari.
Definendo l’Europa Antica come la base fondativa della civiltà europea e considerando l’inizio del patriarcato in Europa come contemporaneo alla indo-europeizzazione del continente, la teoria dei Kurgan di Marija Gimbutas sfida la dottrina della dominanza universale dei maschi che finora funzionato come la storia delle origini della civiltà occidentale.[55]
Marija Gimbutas ha riconosciuto che era impossibile comprendere l’intero significato dello sviluppo culturale dell’Europa senza capire le profonde implicazioni della trasformazione culturale avvenuta tra i sistemi culturali dell’Europa Antica e di quello indo-europeo. Già nel 1979, cioè con notevole anticipo, aveva organizzato la prima conferenza internazionale interdisciplinare sul tema “La trasformazione delle culture europea e anatolica, 4500-2500 P.E.C”, tenutasi a Dubrovnik, ex-Yugoslavia. E questa fu la prima di tre conferenze organizzate per stimolare nuove ricerche sui radicali spostamenti della struttura economica, religiosa e sociale che ebbero luogo tra il V e il III millennio P.E.C. La seconda conferenza fu organizzata a Dublino, in Irlanda, nel 1989, e la terza si svolse a Vilnius, in Lituania, proprio pochi mesi dopo la sua morte. Gli atti vennero pubblicati sul Journal of Indo-European Studies.[56]
Marija Gimbutas è stata una pioniera, che “ha determinato l’agenda” delle ricerche sulla religione nel Neolitico, sulla civiltà e la struttura sociale dell’Europa Antica e sulla indo-europeizzazione del continente. Ernestine Elster, prima sua allieva e poi collaboratrice, scrive:
“Marija Gimbutas è stata un’innovatrice e una studiosa che ha aperto nuovi percorsi di ricerca; la quantità di idee importanti che ha introdotto ha creato la spinta e l’agenda per più intense ricerche su queste idee e la pubblicazione di volumi fondamentali”.[57]
Sono più di 20 i volumi pubblicati da Gimbutas e 350 gli articoli sulle sue ricerche.
Durante gli ultimi anni della sua vita, anche mentre era gravemente ammalata, ha continuato a lavorare sulle future pubblicazioni. Il suo ultimo libro in inglese, Le Dee viventi (1999), che apparve cinque anni dopo la sua morte, fu completato ed edito dalla sua antica allieva e collega nella ricerca indo-europea, Miriam Robbins Dexter. Questo libro sintetizza gli elementi chiave delle ricerche archeomitologiche della Gimbutas sulle religioni pre-patriarcali. Comprende anche una grande quantità di analisi sul folclore e la mitologia, che indicano la continuità delle tendenze religiose dell’Europa Antica fino ai più tardi periodi culturali, specie quelli relativi ai Minoici a Creta, ai Greci, agli Etruschi, ai Baschi, ai Celti, alla religione dei Germani e alla religione dei Baltici.
Nella sua Postfazione, Miriam Dexter commenta:
“Marija Gimbutas conclude così il suo ultimo libro, con le dee, gli dèi, e gli spiriti dei Baltici … Durante tutta la sua vita, il suo paese nativo, il suo folclore, la sua lingua e le sue tradizioni sono rimasti fondamentali nel suo cuore”.[58]
La sapienza di Marija Gimbutas fornisce niente di meno che una nuova storia delle origini della civiltà europea. Le società neolitiche dell’Europa Antica ebbero una lunga esistenza, furono in primo luogo pacifiche, mature ed ugualitarie.
“L’assenza di armi da guerra e di colline fortificate per più di due millenni, dal 6500 fino al 4500 P.E.C., permette di dedurre l’assenza di aggressioni territoriali”.[59]
“Io contesto la tesi che la civiltà si associ esclusivamente a società guerriere androcratiche. Il principio su cui si fonda ogni civiltà si trova al livello della sua creatività artistica, nei suoi progressi estetici, nella produzione di valori non materiali e nella garanzia della libertà individuale che rendono significativa e piacevole la vita di tutti i cittadini, nel quadro di un equilibrio di potere equamente diviso tra i sessi. Il Neolitico europeo non è stato un periodo ‘prima della civiltà’… È stato invece una vera e propria civiltà nella migliore accezione del termine.”[60]
Marija ci ricorda che comprendere tutto questo ha il potenziale di incidere sulla nostra visione del passato nonché sulla nostra percezione delle potenzialità per il presente e per il futuro.
In La civiltà della Dea scrive:
“La memoria collettiva umana va rimessa a fuoco. Questa necessità diventa sempre più impellente mentre prendiamo man mano coscienza del fatto che il cammino del ‘progresso’ sta soffocando le condizioni stesse di vita sulla Terra”.[61]
Marija Gimbutas è passata nel mondo degli Antenati/e il 2 febbraio 1994. Le sue ceneri sono state messe in un’urna a forma di civetta, simbolo di rigenerazione. Dopo due giorni di cerimonie il 7 e 8 maggio 1994 a Vilnius e a Kaunas, è stata sepolta nel cimitero di Petrasiunai a Kaunas, accanto a sua madre, la dottoressa Veronika Janulaityte Alseikiene. Ovunque rispettata e riverita per i suoi contributi alla conservazione dell’eredità della Lituania, Marija Gimbutas è stata onorata come un’eroina nazionale. La strada che porta al cimitero oggi porta il suo nome. Circa tremila persone hanno partecipato al suo funerale, e di queste faceva parte Algirdas Brazauskas, Presidente della Repubblica.
Un suo caro collega, il medico antropologo prof. Gintautas Cesnys, pronunciò queste parole:
“Oggi lei è ritornata e fa parte di noi: una piccola tomba di sabbia sulla riva del fiume Nemunas, pile di libri e il potente frusciare dei venti della Dea sulle antiche terre dei Baltici e di tutta l’Europa”.[62]
Un messaggio dagli Antenati/e.
Poco tempo dopo la morte di Marija, nel 1994, ho fatto un sogno molto reale, nel quale Marija mi diceva di essere ormai nel mondo degli Antenati/e. Mi ha parlato con voce forte, dicendomi: “Tu devi ricordarci”. Mi svegliai con la precisa sensazione che questo sogno non era diretto solo a me.[63]
Marija Gimbutas ci ricorda che la linea evolutiva umana, e la nostra stessa sopravvivenza, sono inseparabili dalla vita della nostra Madre, la Terra, e che i nostri antenati più antichi vivevano questa stessa realtà. Noi tutti siamo degli avi in divenire, inevitabilmente ci muoviamo verso il mondo degli antenati. In questo prezioso momento – in cui abbiamo il privilegio di essere vivi – dobbiamo avere il coraggio di usare i nostri poteri, di ricordarci i nostri più antichi diritti alla vita al fine di modellare responsabilità, saggezza e volontà per le giovani generazioni e per quelli che devono ancora arrivare.
Bibliografia
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Note
[1] In Lituania, le lettere finali dell’ultimo nome indicano il genere e le relazioni familiari: ad esempio, Alseika (cognome maschile del marito, padre, figlio), Alseikienè (moglie di Alseika), e Alseikaitè (figlia di Alseika). Dopo il matrimonio di Marija con Jurgis Gimbutas, il suo cognome divenne Gimbutienè (modificato nella forma maschile “Gimbutas” per l’immigrazione negli Stati Uniti).
[2] È interessante notare che il primo periodico lituano a essere distribuito in Lituania fu l’Ausra, (L’alba), una pubblicazione culturale e nazionalista edita all’inizio dal Dr. Jonas Basanavicius nel 1883. Per ulteriori informazioni, vedi la voce relativa in Book Carriers(Corrieri dei libri) in Encyclopedia Lituanica I-VI, Boston 1970-1978: http://www.spaudos.lt/knygnesiai/knygnesys.en.htm.
[3] Gimbutas citata in Marler 1997, 8-9.
[4] Tutte le citazioni di Gimbutas, quando non indicato diversamente, sono tratte dalle interviste fatte da Joan Marler tra il 1987 e il 1993.
[5] Marija Gimbutas è stata la prima ricercatrice a distinguere negli strati culturali e mitologici delle tradizioni popolari Baltiche gli elementi Indo-Europei e quelli della precedente civiltà dell’Europa Antica (pre-Indo Europei).
[6] Gimbutas 1963, 25
[7] Ibid., 192
[8] Ibid., 179
[9] Ibid., 201
[10] Ibid.
[11] Gimbutas citata in Marler 1997, 9.
[12] Gimbutas 1991, 349.
[13] Gimbutas, citata in Marler 1997, 9.
[14] Gimbutas citata in Marler 1977, 11
[15] Gimbutas 1960, 540-552. La datazione al radiocarbonio non era ancora disponibile quando il testo venne pubblicato. Questo tipo di datazione rivelò successivamente che le datazioni erano più vecchie di almeno due millenni rispetto a quelle da lei usate.
[16] Marija denominò questi pastori nomadi “Kurgan” usando il termine che indicava le loro tombe a tumulo.
[17] Marija non aveva ancora coniato il termine “Europa Antica” per indicare la prima fase del Neolitico caratterizzata da una cultura agricola e precedente la indo-europeizzazione del continente.
[18] Gimbutas 1958, 5
[19] Ibid., 3
[20] Marler 1997, 14
[21] Ibid.
[22] Ibid., 15. Questo brano è tratto da un discorso tenuto da Vytautas Kubilius l’11 giugno 1993, alla Vytaiutas Magnus University di Kaunas, in onore di Marija Gimbutas in occasione del conferimento del titolo di Dottore Onorario. Traduzione di Indre Antanaitis.
[23] Gimbutas 1963, 11
[24] Ibid., 19.
[25] Ibid., 18.
[26] Ibid., 11.
[27] Gimbutas 1997, xvii
[28] Gimbutas 1971, 12
[29] Ibid., 16
[30] Ibid., 13
[31] Prof. Jaan Puhvel citato in Marler 1997, 13.
[32] Gimbutas 1965, 1
[33] Gimbutas 1970, 155-197
[34] Commenti di Marija Gimbutas a Joan Marler, maggio 1988
[35] Gli scavi di Sitagroi erano congiuntamente pianificati e co-diretti da Marija Gimbutas e da Colin Renfrew. Ambedue erano ansiosi di raccogliere quanti più buoni esemplari archeologici per le analisi al radiocarbonio. Il loro enorme successo consistette in “una rivalutazione della cronologia dei Greci e dei Balcani rispetto a Troia e all’antico Vicino Oriente, e causò una piccola rivoluzione fatta di eccitamento, controversie e nuove affermazioni”. (Elster 2007, 96).
[36] Gimbutas e altri 1989, 171.
[37] Gimbutas 1973, 1-20.
[38] Marija Gimbutas citata in Marler 1997, 16.
[39] Gimbutas 1974b.
[40] Ibid., 13. Gimbutas scrive: “L’immaginario mitico dell’era preistorica ci dice molto sull’umanità, sulle sue concezioni della struttura del cosmo ….” (Op.cit.)
[41] Ibid., 37-234.
[42] Gimbutas citata in Marler 1997, 16.
[43] Comunicazione personale con Marija Gimbutas.
[44] Gimbutas 2008, xv.
[45] Ibidem
[46] Gimbutas 1989, 148.
[47] Ibid., 99-103.
[48] Gimbutas 1999, 78-79. Secondo lo scavatore Mehmet Ozdogan, la presenza di cereali è stata accertata all’interno del contenitore antropomorfo (comunicazione personale).
[49] Wolkstein and Kramer 1983, 40
[50] Gimbutas 1989. Xviii
[51] Ibid., xv.
[52] Ibid., 321
[53] Gimbutas 1991, 324.
[54] Marija coniò il termine Kurgan come etichetta per tutti i pastori nomadi delle steppe del Ponto, nella regione a nord dei mari Caspio e Nero, che si ipotizzava parlassero una lingua proto-indo-europea e che avessero addomesticato i cavalli durante il V millennio P.E.C.
[55] Marler 2005, 10.
[56] Cfr. ad esempio, Gimbutas 1980, vol.8, numeri 1-2 e 2-4, per la prima conferenza internazionale di Dubrovnik.
[57] Elster 2007, 108.
[58] Gimbutas 1999, 215.
[59] Gimbutas 1991, 331.
[60] Ibid., viii.
[61] Ibid., viii.
[62] Cesnys 1997, 29.
[63] Marler 1997, 5.
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