Dal femminismo al femminile – Valentina Baglioni

Sant'Anna Metterza Scultura lignea - Chiesa di Sant'Anna - Chieti

con la pubblicazione di questo scritto di Valentina Baglioni proviamo ad aprire un dialogo su femminismo (parola che per molte donne della mia generazione, e sicuramente per me, condensa il senso della nostra ricerca esistenziale e politica) e femminile (parola che, sempre per noi, ha spesso condensato tutto ciò che rifiutavamo e mettevamo in discussione, in quanto sinonimo di gabbia entro cui restare chiuse, maschera da indossare forzatamente, bugia sulla nostra identità sessuata tutta da esplorare).

consapevoli che il tema può essere urticante, sarà necessario, se ci vogliamo provare, ascoltare e parlare con pacatezza, continuando a lavorare su di sè specchiandosi nell’altra, come si fa nei Cerchi. e in particolare nei Cerchi delle Crone dove ci si interroga, tra generazioni diverse, anche su quanto sia passato alle donne nate dopo di noi e sui meccanismi che ci hanno reciprocamente ingannate e divise ancora.
Luciana Percovich

di Valentina Baglioni

Le premesse. Se c’è una cosa che ho sempre adorato sono le premesse, nei libri, nei convegni, negli incontri, nei cerchi, nella vita in generale.
Da qui, quindi, partirò.
Mi chiamo Valentina e sono un’ostetrica trentenne, madre di una bellissima bambina, Anna.
E lei è la mia premessa, colei che ad oggi mi spinge come mai fino ad ora ad interessarmi alle mie radici, le più vicine e le più lontane.
Riconosco di essere sempre stata affascinata da tutto ciò che ha a che fare con le tematiche del femminismo e del femminile, un po’ per passione un po’ per lavoro.
Ormai due anni fa ho avuto il piacere di conoscere Luciana Percovich che, prima attraverso i suoi scritti, poi di persona, mi ha aiutata a vedere parti di me per cui difficilmente trovavo un nome in quanto appartenenti ad un vissuto di donna più collettivo che individuale, scolpito nel mio Dna e nella memoria delle mie cellule.
A quel primo incontro ne sono seguiti altri ed ogni volta ho avuto la possibilità di aggiungere pezzi al puzzle, di placare quella rabbia più o meno consapevole che mi portavo dietro e di sperimentare il legame con altre donne, tutte più grandi di me.
Delle Crone.

Sono tre i punti fondamentali ai quali sono arrivata in questi anni e che mi spingono a scrivere questa riflessione.
Il primo è il desiderio di ringraziare tutte le donne che ci hanno preceduto poiché ci hanno regalato, lottando ognuna con i propri strumenti e mezzi, un mondo dove abbiamo possibilità di decidere e scegliere.
Il secondo è legato alla sensazione importante di trovarci in un momento cruciale di passaggio generazionale e se questo da una parte crea in me il timore forte che tutto ciò che è stato raggiunto e riscoperto fin qui dalle donne vada perso o dimenticato nei ritmi di una società digital, dall’altra mi consente di pormi delle domande fondamentali.
Che cosa è per me il femminismo?
Come sento che mi è stato tramandato?
Cosa sento di voler tramandare?
Cosa rappresenta per le giovani di oggi?

Non nego il fatto che sia difficile trovare uno spazio nella cerchia più ristretta di amicizie per affrontare tematiche che riguardino la storia del femminile, ma questa difficoltà rappresenta uno stimolo in quanto mi spinge verso una grande sfida, ovvero quella di cambiare linguaggio e quindi non parlare più di femminile o maschile per dividere, e poter smettere di circoscrivere l’argomento donna al femminismo. Donna infatti non è una parola per le donne, ma è una parola per tutti, come uomo, come pane e come tutte le parole che arricchiscono il nostro vocabolario e la nostra vita.
Occorre cominciare a parlare sempre più di integrazione poiché la nostra generazione è profondamente impregnata di potere maschile, difficile da sradicare.
Come scrive in un articolo Michela Murgia, riferendosi al suo libro L’inferno è una buona memoria, “i maschi essendo al potere non hanno bisogno di comprendere le donne, le donne da sottomesse dovevano invece imparare il linguaggio del potere». Ma non è questo il modo che conduce ad un incontro fatto di reciproco arricchimento.

Cosa intendo per integrazione?
Integrazione non è un concetto estraneo a noi, ma è in noi e dal momento in cui lo interiorizziamo, diventa naturale portarlo all’esterno innescando un cambiamento che getta le basi per una nuova relazione tra le persone.
È un cambio di paradigma, che fa sì che all’interno dei gruppi o cerchi non ci si focalizzi sulla differenza o sulla contrapposizione tra il potere fin qui espresso dal mondo del maschile (patriarcato) e l’energia del femminile ritrovata come movimento di rinascita, ma si ponga al centro la loro complementarietà; e da lì inizia un percorso nuovo che tenga presente da “dove arriva” e dove vuole arrivare.
La nostra generazione se da una parte è più o meno consapevole di essersi ritrovata in un mondo in cui molte battaglie sociali erano state fatte, dall’altra deve fare i conti con la disillusione che le contraddizioni di quella stessa generazione che ha fatto le battaglie si porta dietro in maniera fin troppo evidente. Ricordiamo infatti come gli anni ottanta, seguenti al famoso ’68, hanno portato a un allontanamento dai valori profondi verso una rincorsa al consumismo.
E ancora oggi ci troviamo di fronte a un momento storico che si distingue per mancanza di modelli e di ideali socialmente riconosciuti che, se da una parte sembra lasciare libertà di espressione, dall’altra può essere estremamente destabilizzante e addirittura pericoloso per coloro che non ne hanno consapevolezza.

Parità poi non è livellamento: donne e uomini non sono uguali, c’è un confine sottile ma essenziale: essere pari non è essere uguali, è poter essere diversi senza rinchiudersi o essere rinchiusi in una definizione. Affinché si possa essere diversi e pari, c’è bisogno che i diritti vengano riconosciuti e accanto ai diritti le qualità di entrambi i generi.
Dunque se si parla di donna non si parla per forza di femminismo, sono due cose distinte. Circoscrivere l’argomento femminile al femminismo è ancora un modo di rinchiuderlo e renderlo innocuo, togliendogli credibilità e rendendolo insignificante.
Parlare di integrazione e di riconoscimento reciproco può dunque arricchire il nostro linguaggio di parole nuove che si muovono in un campo neutro e neutrale e non sarà solo il linguaggio ad esserne arricchito.

Un po’ quello che fa il corpo calloso tra i nostri due emisferi. Connette, integra e permette lo scambio.

Nel Treccani lo troviamo così descritto:
“Spessa lamina interposta tra i due emisferi cerebrali, costituita da fasci di fibre mieliniche che collegano tra loro aree corrispondenti nei due emisferi. Il c. c. è una commissura della neocorteccia, presente solo nei mammiferi placentati e particolarmente sviluppata nei primati; è situato trasversalmente nella scissura interemisferica e unisce i due emisferi nella porzione centro-inferiore della faccia mediale. Le sue dimensioni superano quelle di tutti gli altri tratti fibrosi nel cervello: nell’uomo contiene circa 200 milioni di fibre, la maggioranza delle quali è di piccolo diametro (circa 2 μ). Connessioni callosali. Tutte le regioni della neocorteccia ricevono ed emettono fibre callose; il c. c. permette l’unificazione dell’informazione elaborata in maniera diversa da ciascun emisfero, realizzando la complementarità tra le due metà della corteccia cerebrale. Le fibre callose costituiscono delle connessioni fra aree corticali correlate a funzioni periferiche motorie e sensitivo-sensoriali. La fisiologia dimostra che attraverso il c. c. vengono elaborate informazioni visive, uditive e tattili e che esso interviene nel coordinamento dei movimenti e nel linguaggio.”

La cosa interessante che è stata recentemente scoperta è che tutto il nostro cervello, compreso il corpo calloso, è pieno di recettori per gli estrogeni, gli ormoni per eccellenza del femminile.
Questo significa che la sua attività è modulata da questi ormoni comunemente conosciuti per la loro azione “acquosa” e proliferativa e che di conseguenza la connessione tra cervello destro e sinistro viene “amplificata” dalla loro presenza.
Una lettura simbolica, e non solo, ci consente di comprendere che i meccanismi biologici, anatomici e fisiologici che entrano in azione per far comunicare il nostro corpo, per mettere in connessione la nostra parte femminile con la nostra parte maschile e la nostra parte legata al logos con la nostra parte creativa, abbiano necessità non solo di un ponte che connette (il corpo calloso), ma che questo sia attivato dagli estrogeni!
Non è forse questo aspetto significativo per il momento storico che stiamo vivendo?

Per collegare un mondo sempre più scollegato c’è bisogno del femminile, sano, integrato, sia nelle donne che negli uomini.
Torniamo ad evocare un’immagine, comune ma che mai passerà di moda, il ciclo della luna.
Possiamo immaginare come dopo un lungo periodo in cui la luna è stata nella sua fase calante e invisibile – con tutto ciò che ha significato soprattutto per le donne – oggi siamo sempre più vicine a ritrovare la luna piena, e tutti i movimenti di donne (e non solo) che si stanno muovendo in tutti i continenti lo dimostrano. Nonostante la società social ci metta continuamente in guardia passando solo notizie di cronaca nera e imminenti disastri (impossibile non ammettere che ci sono e non provarne quotidianamente dolore, ma non per questo devono essere ulteriore mezzo di strumentalizzazione), le donne si stanno risvegliando, ma soprattutto riunendo, riconoscendosi tra loro.
E qui noi che siamo la generazione di passaggio, come amo definirmi e definirci, abbiamo un ruolo fondamentale, passare, inteso appunto come fare un passo, affinché ci possa essere un periodo fisiologico di luce e di pienezza, in grado di riportare anche il maschile ad una dignità che sembra aver perso.
Dobbiamo essere il corpo calloso ed estrogenico di cui la società ha bisogno.
Se in questo momento ci guardiamo attorno, ciò che vediamo probabilmente è l’opposto. Ma non è forse la notte più scura che precede lo spuntare della luce del giorno?
È in questo che dobbiamo credere.

Ed è questo il terzo punto che mi spinge a scrivere.
Adesso è il momento per impegnarsi affinché non vada perso dalla nostra memoria ciò che l’umanità si è guadagnata fin dai tempi lontani; dall’Ottocento la cultura femminile ha ripreso a parlare di diritti delle donne, di schiavitù, di classi disagiate. Ora bisogna coltivare la fiducia, la qualità del nostro femminile, ma anche del nostro maschile e soprattutto di quel maschile rimasto nascosto dietro alle paure che frenano il cambiamento. In questo i cerchi di donne sono fondamentali, sono microcosmi attraverso i quali nutrire il macro-sistema.

Il nutrimento allora deve far si che non esista più un mondo che consente di rappresentare il femminile nella pubblicità di una cucina, di un rossetto o chissà cos’altro, fatto questo apparentemente innocuo, ma che contribuisce, come purtroppo altre mille cose, a giustificare il “delitto passionale”. Siamo tutti/e colpevoli, se fingiamo che uccidere c’entri con l’amore.
L’amore è armonia e non ha bisogno di alcuno che domini su un altro/a, ma di qualcuno che riconosca l’altro/a nella sua bellezza e sé stesso/a nella propria, per iniziare un percorso che ha come punto di arrivo il completarsi in un’essenza che non nega le due parti, mai.


Bibliografia e sitografia

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2926254/?fbclid=IwAR0x2l2yjGAYCqoUi3I-U-_rfMmxwEdnSklDRugaN2JZKTYedoyS_XYUtFs

Louann Brizendine, Il cervello delle donne, BUR 2011.
Demetra George, I misteri della luna oscura, Venexia 2016
Adrienne Rich, Nato di donna, Garzanti 1977
Michela Murgia, L’inferno è una buona memoria, Marsilio 2018

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