Il Cosmo Gemellare degli Indiani d’America
Barbara Alice Mann
ed. Le Civette di Venexia
Paula Gunn Allen cui Barbara dedica il libro e racconta della sua morte è forse la più nota autrice indiana.
A Paula Gunn Allen
Ringraziamenti
L’idea di questo libro è nata da una serie di conversazioni protrattesi cronologicamente (e geo-graficamente!) tra me e Paula Gunn Allen, lei in California e io in Ohio. Ci siamo incontrate per la prima volta nel 1999, quando visitò come relatrice l’Università di Toledo, in Ohio, dove avevo da poco iniziato a insegnare. All’epoca le mostrai il manoscritto del mio libro, Iroquoian Women: The Gantowisas (2000), che di lì a poco sarebbe stato pubblicato. Mi disse di essere rimasta “sbalordita” dalla sua qualità, tanto che acconsentì immediatamente a scrivere la premessa, nonostante io a quel tempo fossi quasi sconosciuta come studiosa e lei dovesse ancora leggere l’intero testo. E questo, ovviamente, è un modo fantastico di dare inizio a una relazione accademica!
Da allora abbiamo mantenuto un’amichevole corrispondenza via e-mail, cosicché, all’inizio del 2005, quando ho iniziato a redigere Daughters of Mother Earth (2006), mi sono rivolta a lei perché contribuisse con la stesura di un capitolo. Durante la nostra collaborazione abbiamo avuto modo di esaminare, anche dettagliatamente, arrivando persino a delineare e dividerci gli obiettivi di ricerca, l’idea di un libro a quattro mani sulla “spiritualità” che avrebbe dovuto sbrogliare una documentazione storica molto distorta, deformata e danneggiata da generazioni e generazioni d’interferenza governativa e missionaria nelle culture indiane. Secondo il piano originario, io avrei dovuto concentrarmi sulle tradizioni dei territori boschivi orientali, mentre Gunn Allen si sarebbe occupata di raccogliere le tradizioni delle regioni a ovest del Mississippi. Avevo già lavorato un po’ sulla cornice teorica di quella che avrebbe dovuto essere la mia parte del progetto, pubblicata poi nel capitolo 4 di Native Americans, Archaeologists, and the Mounds (2003), così come Gunn Allen mi aveva detto di aver anche lei intrapreso delle ricerche e lavorato ad alcuni argomenti per la sua parte dell’opera.
Purtroppo, nell’autunno del 2005, mentre discutevamo della nostra idea, le fu diagnosticato un cancro ai polmoni. Nell’ottobre del 2006, proprio quando il cancro stava per essere dichiarato curato con successo, Gunn Allen rimase vittima di un terribile incendio che le distrusse completamente la casa. I frutti dello studio di una vita intera andarono persi tra le fiamme, incluso il materiale che aveva già preparato per la nostra comune impresa. Cosa ancor peggiore, essendo ancora alle prese con il cancro ai polmoni, venne ricoverata in stato di coma con diverse lesioni riportate nella fuga dall’incendio, tra cui un doloroso polso rotto che per un certo tempo le impedì di digitare sulla tastiera e persino di tenere in mano ciò che doveva leggere. Mi disse che, per lei, andare avanti dopo tutto questo era una prospettiva sconvolgente. Ovviamente le circostanze ritardarono il tutto, ma l’interesse intellettuale a scrivere un libro sulla “spiritualità” insieme era ancora vivo in lei. Così, nel 2007 sembrò che potessimo rimetterci in carreggiata, ma solo per poco. Il cancro tornò, e lei se ne andò il 29 maggio 2008.
Io, da parte mia, non ho mai accantonato l’idea. Nel 2008 e nel 2009, mentre stavo preparando “A Failure to Communicate”, il mio capitolo per l’antologia Re-membering Jamestown (2010), ho iniziato a pensare seriamente a come portare a termine da sola il libro sulla “spiritualità,” e il risultato è ciò che chi legge ora si trova davanti. Questo testo contiene alcuni dei punti fermi che io e Gunn Allen abbiamo stabilito nel corso degli anni, incluso, ad esempio, un netto rifiuto a pubblicare dettagli sulle “cerimonie” o su una qualsivoglia conoscenza da “capanna di medicina” che non fosse già presente nella sfera pubblica. Inoltre, il libro attinge alle tradizioni dell’intera Isola della Tartaruga (l’America del Nord), non solo di una o due regioni o popolazioni.
Nello specifico, tuttavia, per quanto concerne i contenuti il libro si schiera dalla mia parte, soprattutto sull’eventuale legittimità del cristianesimo come tradizione indiana. La mia posizione, risolutamente mantenuta, è sempre stata “nessuna,” lei invece sosteneva che dopo quattrocento anni d’interazione reciproca, la religione cristiana era divenuta, almeno in parte, “tradizionale” per gli indiani. Lei accettava anche il concetto di Dio, cosa che io non ho mai fatto. Non siamo riuscite a risolvere questa diatriba prima che la morte interrompesse il dibattito. Ciononostante, ho sempre creduto che quando c’è rispetto reciproco, come c’era tra noi, essere in disaccordo stimolasse una profondità di pensiero che non sarebbe stato possibile raggiungere altrimenti. Gunn Allen mi spingeva ad articolare le mie teorie in modo chiaro e comprovato, tanto che il mio debito nei suoi confronti è inciso in ogni pagina di questo libro.
Vorrei ringraziare anche Sherwin D. Little dell’American Classical League dell’Università di Miami a Oxford, Ohio. I lettori e le lettrici di oggi potrebbero non rendersene conto, ma persino alla metà del ventesimo secolo molte tradizioni indiane erano considerate troppo pericolosamente audaci per essere trascritte in inglese. La soluzione alternativa (per impedire ai censori di perdere il lume della ragione e alle Vergini di Ferro di avere un mancamento) prevedeva che il ricercatore occidentale scrivesse la tradizione in latino.
Ora, il latino non è mai stato il mio forte, quindi l’apporto di Sherwin Little su alcuni punti grammaticali per me ostici in diversi testi è stato davvero apprezzato. Ero abbastanza certa di aver colto il senso generale della narrazione, ma alcuni ostacoli nella grammatica continuavano a confondermi. Mi assumo comunque la piena responsabilità per ogni errore dovuto a una difficoltà di comprensione dei testi latini.
Lasciatemi anche ringraziare Charlene Akers, Direttrice esecutiva della Rice County Historical Society di Lyons, Kansas, per avermi permesso di riprodurre la foto della magnifica calcografia del serpente del Kansas del compianto Walter Ellis, e per il suo aiuto nel reperirne una scansione utilizzabile. Ringrazio anche Stephanie Summerhays del Smithsonian Institution Scholarly Press per il contributo significativo nell’ottenere delle scansioni dei complessi schemi del Great Serpent Mound e del tumulo dei Marching Bears dalle incisioni originali della mappatura del 1848 dello Smithsonian di questi importanti siti archeologici e, soprattutto, per avermi dato il permesso ufficiale di riprodurle.
Infine, vorrei ringraziare tutte le splendide persone dell’Isola della Tartaruga per aver conservato e tramandato le antiche tradizioni delle loro terre, spesso a dispetto della forte opposizione dei coloni. Dopotutto, da un metro sottoterra in giù, l’Isola della Tartaruga è fatta di antenate e di antenati.
Per approfondire vi segnaliamo l’incontro online organizzato da l’associazione Le ali del brujo nel quale Luciana Percovich parlando di SPIRITI DEL SANGUE, SPIRITI DEL RESPIRO ci racconta la cultura degli Indiani d’America, cercando di allontanare la visione distorta che conosciamo, come risultato della colonizzazione occidentale.