Ragazze elettriche – Enza Di Lizia

a cura di Enza Di Lizia, giugno 2018

Naomi Alderman – Ragazze elettriche
Nottetempo, 2017

Naomi Alderman è una giovane scrittrice londinese (nonché autrice di videogames) che definisce questo suo lavoro “un romanzo storico”, precisazione che ha immediatamente attirato la mia attenzione appena preso il libro in mano.

Attenzione che si è trasformata in curiosità subito dopo: perché l’autrice ha voluto dare al lettore questa precisazione? Perché quello che viene narrato nel corso del romanzo può avere fondamenta storiche (e ben documentate). D’altra parte, come sostiene l’autrice stessa nei ringraziamenti finali, il senso del suo romanzo potrebbe essere trasmesso anche solo attraverso le due illustrazioni (a pagina 287 e 286): si tratta di riproduzioni di reperti archeologici dell’antica città di Mehenjo-Daro (nella valle dell’Indo), di cui sappiamo molto poco ma che sembra essere stata una società completamente egualitaria secondo modalità davvero interessanti. Anche se gli archeologici, nel caso di questi reperti, le hanno denominato Re Sacerdote e Danzatrice.

Ho voluto partire dalla parte finale dei ringraziamenti ma adesso torno all’incipit del romanzo, nel quale possiamo catturare la sua essenza:

Tutto ruota attorno al POTERE (ed è infatti  THE POWER il titolo originale del libro) e mi piace riportare integralmente le prime due pagine del romanzo:

La forma del potere è sempre la stessa: è la forma di un albero. Dalle radici fino alla cima, un tronco centrale che si ramifica e ramifica all’infinito, aprendosi in dita sempre più sottili, protese in avanti. La forma del potere è il disegno di una cosa viva che tende verso l’esterno, e manda i suoi sottili filamenti un po’ oltre, e ancora un po’ più oltre.

E’ la forma dei fiumi che vanno all’oceano – i rivoli d’acqua ai rigagnoli, i rigagnoli ai ruscelli, i ruscelli ai torrenti, la forza grandiosa che si accumula e prorompe, che diventa sempre più maestosa fino a gettarsi nell’immensa potenza marina. E’ la forma tracciata da un fulmine quando si scaglia dal cielo sulla terra. Lo squarcio ramificato del cielo si riproduce uguale sul corpo e sulla terra. Questo stesso disegno caratteristico fiorisce in un blocco di resina acrilica quando viene attraversato dall’elettricità. Noi inviamo la corrente elettrica lungo ordinati percorsi di circuiti e interruttori, ma la forma che l’elettricità vuole assumere è quella di un’entità vivente, una felce, un ramo spoglio. Il punto d’innesto al centro, la potenza proiettata verso l’esterno.

Quella stessa forma cresce dentro di noi, nei nostri alberi interni di nervi e di vasi sanguigni. Il tronco cerebrale, i percorsi che si ramificano all’infinito. I segnali trasmessi dalle estremità delle dita alla spina dorsale e al cervello. Noi siamo elettrici. La potenza viaggia dentro noi come fa in natura. Figli miei, qui non è accaduto nulla che non fosse conforme alla legge naturale.

Il potere viaggia allo stesso modo tra le persone; così deve essere. Gli individui formano villaggi, i villaggi diventano paesi, i paesi si inchinano alle città, le città agli stati. Gli ordini viaggiano dal centro alle propaggini. I risultati viaggiano dalle propaggini al centro. La comunicazione è costante. Gli oceani non possono sopravvivere senza i rivoli d’acqua, né i robusti tronchi degli alberi senza i germogli, né il sovrano cervello senza le terminazioni nervose. Come in alto, così in basso. Come ai confini, così nel nucleo centrale. Ne consegue che la natura e l’uso del potere umano possono cambiare in due modi. Il primo è quando un ordine viene emesso dal palazzo, un comando rivolto al popolo che impone: “così sia”. Ma l’altro, il più certo, il più inesorabile, si ha quando quelle migliaia di migliaia di punti luminosi inviano ciascuno un nuovo messaggio. Quando il popolo cambia, il palazzo non può opporsi.

Come è scritto: “Lei accoglie il fulmine nell’incavo della mano. Gli ordina di colpire”.

(Dal libro di Eva, 13-17)

Queste parole possono certamente inquietare: ed è proprio un senso di inquietudine che si prova nel corso della lettura mentre la mente prova solo ad immaginare cosa si potrebbe scatenare in una donna se solo con quella torsione (sperimentata in primis dalle donne più giovani) che avviene nel corpo potesse uscire quella scarica elettrica capace di distruggere, ferire, annichilire, annientare. Che mondo sarebbe un mondo governato da donne capaci di questo potere? In fondo, “il cambiamento è una trascurabile deviazione dalla norma”…

Leggendo sembra quasi di riuscire a vedere i volti di quegli uomini “toccati” da quelle scariche elettriche che escono dai corpi di quelle donne: travolti dalla paura, MA “la paura è importante quanto l’ardore e il dolore fisico ha la stessa potenza del desiderio”.

Perché “c’è una parte di noi che resta fedele alle verità ataviche: o sei il cacciatore o sei la preda. Sii consapevole di ciò che sei. E agisci di conseguenza. La tua vita dipende da questo”.

La storia segue le tracce di 4 personaggi: la potentissima Roxy, figlia di un boss del crimine, Allie, ragazza abusata che si reinventa capo di una nuova chiesa che adora un Dio Madre, Margot, politica americana in ascesa con una figlia problematica che le trasmette il potere; e, unico maschio, Tunde, reporter nigeriano che testimonia le vicende di questa strana mutazione genetica, al quale viene più volte raccomandata nel corso della storia la rilevante NECESSITA’ DI DOCUMENTARE TUTTO.

Pur replicando la modalità maschile nell’esercizio del potere, ci sono sporadici momenti in cui emerge una modalità femminile: quando si parla di maternità, ad esempio. “La madre forte che culla il suo bambino: quello è l’amore e quella è la verità”, oppure “ecco cosa significa essere una buona madre: riuscire ogni tanto a vedere ciò di cui i figli hanno bisogno anche meglio di loro”.

E infine, frasi che straziano e lasciano l’amaro in bocca: “C’è un rumore che è diverso dal dolore. L’afflizione geme, urla, lancia un suono verso il cielo come un bambino che invoca la madre. Quel tipo di lamento contiene una speranza. Confida sul fatto che le cose possano essere raddrizzate, o che un aiuto possa arrivare. Ma esiste un suono diverso. I neonati lasciati soli per troppo tempo non piangono nemmeno. Diventano molto tranquilli e silenziosi. Sanno che non arriverà nessuno”.

Enza Di Lizia, giugno 2018