Nessuna come lei. Katherine Mansfield e Virginia Woolf. Storia di un’amicizia – Sara De Simone

Sara De Simone
Nessuna come lei. Katherine Mansfield e Virginia Woolf. Storia di un’amicizia
Vicenza, Neri Pozza, 2023, pp. 431, € 22,00.

Virginia Woolf e Katherine Mansfield sono state definite in passato “amiche-rivali”, in base al consolidato pregiudizio per cui le donne non riescono ad essere amiche tra di loro, ma la rivalità fu piuttosto uno spirito sanamente competitivo in campo letterario nella loro amicizia, che si basava su profonde affinità. Come scrive De Simone, entrambe avevano sperimentato la malattia, mentale nel primo caso, fisica nel secondo, e con la malattia i limiti e la profondissima misoginia della medicina, che pretendeva di curare le donne con talento artistico impedendo loro di provare emozioni, creare e, in conclusione, di vivere, riducendole alla pura sopravvivenza fisica.

Almeno Katherine conobbe un medico diverso, il dottor Victor Sorapure, che seppe trovare il nesso tra i suoi vari malesseri e intuirne l’origine psichica, ma non aveva gli strumenti all’altezza delle sue intuizioni. Entrambe avevano perso un fratello molto amato, Virginia a causa di una malattia, Katherine della prima guerra mondiale. A proposito della guerra, entrambe avevano avuto la stessa reazione di disgusto osservando le manifestazioni popolari frenetiche e prive di gioia per la sua fine. Mi piace ricordare qui che dall’altra parte dell’oceano, per l’esattezza negli Stati Uniti, una ragazza giapponese di diciannove anni, Chūjō Yuri, che diventò poi famosa come scrittrice con il nome di Miyamoto Yuriko, fece una descrizione molto simile di queste scene nel suo primo romanzo, Nobuko. La sua protagonista osserva che nessuno è sereno, come si dovrebbe essere in un’occasione del genere, ma che tutti sono in preda ad un’eccitazione selvaggia. “Bramavano solo un’eccitazione che rivoluzionasse la loro vita di tutti i giorni”, indipendentemente dal motivo.

Ma torniamo alle nostre scrittrici: ho lasciato per ultima la loro principale affinità, che era la passione per la letteratura e la concezione che ne avevano. Indipendentemente l’una dall’altra, arrivavano alle stesse idee. La prima volta fu nel 1910, sei anni prima di conoscersi, quando andarono ad una mostra di pittori impressionisti e post-impressionisti che fece scandalo, ma fece capire ad entrambe che l’arte doveva cambiare per esprimere “quel fremito, quella scossa, quel bagliore che esprime e rivela il cuore delle cose, la loro vita”. Quando poi si incontrarono e fecero amicizia, ritrovare in Katherine i suoi stessi pensieri provocava a Virginia “una stranissima sensazione di eco”, come scrisse nel suo diario. Il primo risultato concreto di quest’affinità fu la pubblicazione del racconto di Katherine Preludio da parte della Hogarth Press, la casa editrice fondata da Virginia e da suo marito.

In seguito ognuna seguì con la massima attenzione le opere dell’altra, ma non sempre i loro giudizi furono positivi: a Virginia non piacque Beatitudine (citato dall’autrice col suo titolo originale, Bliss), uno dei racconti più belli di Katherine (forse perché si era vista descritta nella rivale in amore del protagonista, ipotizza De Simone), e Katherine scrisse una recensione sfavorevole del suo romanzo Notte e giorno perché lo trovò indifferente allo sconvolgimento prodotto nella psiche collettiva dalla prima guerra mondiale. Ma anche le incomprensioni e i disaccordi fanno parte delle amicizie, e questa durò fino alla morte di Katherine, stroncata dalla tubercolosi nel 1923 ad appena trentacinque anni.

Fu lei la parte più attiva del loro rapporto: era lei a prendere contatto con Virginia e ad invitarla, e quando non si faceva sentire per molto tempo anche se si trovava a Londra Virginia temeva di essere stata dimenticata, senza tener conto, nella sua ansia, della lotta di Katherine con la malattia. Stare insieme significava trascorrere “ore impagabili” non solo per la loro affinità di idee, ma anche per la solidarietà che le sosteneva in un ambiente culturale dominato dagli uomini e nel gruppo di Bloomsbury, molto più misogino e schiavo dei pregiudizi di quanto sembrasse. Questo l’aveva sperimentato soprattutto Katherine, quando era stata accolta con entusiasmo, ma come una fonte di divertimento, quasi un pagliaccio, e poi si era trovata oggetto di pettegolezzi davvero squallidi. Virginia continuò a pensare a lei, a ricordarla quando scriveva un nuovo libro, a sognarla, anche dopo la sua morte.

In conclusione, vale davvero la pena leggere questo libro, non solo per la sua capacità di inserire in una prospettiva di genere il rapporto tra due grandi scrittrici, ma per la vivezza con cui ce le restituisce attraverso il ricorso alle loro stesse parole e per la bellezza dello stile, che risente senza dubbio della loro amorosa frequentazione.

Irene Starace