Nel paese delle Donne – Francesca Rosati Freeman

Il testo che ripubblichiamo qui, dandole il benvenuta in Autrici di Civiltà, è di Francesca Rosati Freeman, ed è stato scritto nel 2012, durante la lavorazione del video Nu Guo, Nel Nome della Madre, che sta girando in questi giorni in Italia.
GRAZIE FRANCESCA!
GRAZIE a tutta la comunità moso e alle/ai loro rappresentanti che in questi anni hanno avuto la pazienza di affrontare un lunghissimo viaggio, sistemazioni spesso arrangiate, e sanno ascoltare le nostre domande tumultuose, che a loro spesso risultano quasi incomprensibili!

Sono di ritorno dal paese dei Moso dove sono stata quasi due mesi a cercare di realizzare un progetto che accarezzavo ormai da due anni: un documentario il più completo possibile sulla loro cultura.

In realtà in questi ultimi sette anni la mia principale attività è stata orientata verso lo studio e la ricerca di valori altri che per finire hanno marcato la mia stessa vita. Il modo in cui sono stata attirata dalla società dei Moso, il mio primo piccolo documentario amatoriale del 2006, il mio primo libro “Benvenuti nel paese delle donne”, le molteplici presentazioni cui sono stata chiamata a fare, i bellissimi incontri e le carissime amicizie che ho tessuto in questi ultimi anni, mi facevano pensare a qualcosa voluta da un altro qualcosa che non riuscivo a controllare. Mi lasciavo semplicemente trasportare dalla corrente e cercavo di approfittare di tutta questa grazia che mi pioveva addosso. Le persone più care però mi dicevano che era la mia passione per questo soggetto e tutti gli sforzi per farlo conoscere che meritavano di essere ricompensati.

Il mio ultimo progetto-documentario invece è stato di difficile realizzazione. L’insufficienza di mezzi finanziari a mia disposizione mi ha fatto scegliere delle persone che potevano autofinanziarsi, ma non tutti si sono rivelati all’altezza della situazione, prima fra tutti io stessa che non ho saputo gestire il gruppo da me stessa formato, le riunioni per chiarire i malintesi non erano altro che atti d’accusa contro di me. Scopro che una persona in particolare era venuta solamente per la sua carriera professionale, ma cercava di distruggere tutto quello che si voleva creare, provocando con le sue critiche distruttive un clima di negatività e facendo annegare nel suo oceano anche gli altri. Il mio atteggiamento di fronte a questa deriva è stato quello di difendere il mio progetto contro tutto e contro tutti. Non mi è stato possibile salvare capra e cavoli anche se lo desideravo con tutto il mio cuore e per l’amore di portare a termine il mio progetto. Ma una sola persona mi ha sostenuto fino all’ultimo a varie riprese e grazie alla nostra collaborazione, insieme, abbiamo portato a termine il progetto e a questa persona dico: Grazie con la G maiuscola.

Non sempre il progetto è stato intralciato dalla negatività delle relazioni fra i componenti dell’équipe, ma avvenimenti non dipendenti da noi hanno provato il sabotaggio. Prima la tempesta del 20 giugno che ha scoperchiato i tetti di alcune case, compresi quelli della guest house dove alloggiavo. Il 23 giugno un terremoto di magnitudo 5,7 ha provocato il crollo di molte case nei villaggi a pochi km da Luoshui, il villaggio dove abitavo. Con Ake e suo fratello sono andata a distribuire sacchi di farina, recipienti di olio di girasole e pacchi di té alle famiglie danneggiate, esperienza piena di emozioni che mi ha marcato per sempre. L’umanità e la solidarietà a cui ho assistito in quei giorni è commovente … e mentre scrivo ho ancora il magone …

Per completare questo triste quadro mi è capitato anche un incidente finendo al pronto soccorso con cinque punti di sutura in testa. A questo punto sarei potuta ritornare a casa anticipando il mio ritorno, confesso che ne avevo tanta voglia, e invece sono rimasta. La mia tenacia e la mia determinazione a portare a compimento il progetto è stata al di sopra di tutto. Ma quello che maggiormente mi ha dato la forza di resistere a tutte queste avversità sono state le donne Moso, è stata la loro calorosità, la loro affettuosità, la loro disponibilità, la loro sorellanza a sostenermi nei momenti più difficili, a farmi sentire parte della loro famiglia, con loro sono andata a lavorare il campo di patate, sono andata a raccogliere le piante che servivano da concime, con loro condividevo i pasti, sono sempre loro che mi hanno curato il mal di pancia con una pianta amarissima che vanno a raccogliere nelle montagne vicine e che riducono in polvere… Infine la sera dopo cena andavo assieme a loro a ballare fra donne nel cortile della casa di una di esse e quando è cominciato il ritiro spirituale hanno permesso che dormissi assieme a loro nelle loro capanne di legno con al centro un focolare scavato al suolo, sull’isola Liwubi, ritiro al quale hanno partecipato 25 dabu e in cui a giorni alterni bisognava osservare il silenzio e il digiuno.

I rituali avevano tutti luogo nel tempio in cima alla collina ed erano condotti dai lama che recitavano i sutra al suono di campanelli, tamburi e cimbali. I rituali cominciavano alle sei del mattino, evitando così i turisti che purtroppo invadono l’isola tutti i giorni. Tutte mi invitavano a mangiare nelle loro capanne e io le aiutavo poi a lavare le scodelle con l’acqua che proveniva da un tubo di plastica fatto arrivare da non so dove. All’infuori delle giornate dove si osservava il digiuno e il silenzio e fuori dal tempio, le dabu mostravano il loro buon umore, la loro allegria e la loro voglia di stare in compagnia a raccontarsi le loro storie. Ogni mattina all’alba passava qualcuno a portarci burro fresco liquido e riso allo yogourt. Per il resto si arrostivano patate al fuoco e si bollivano delle verdure con riso.

Dopo i giorni del digiuno la mattina arrivavano le giovani, le figlie delle dabu a portare da mangiare per le loro madri. Qui la gioia si triplicava. Si dormiva su delle stuoie di paglia dove ho visto saltare delle pulci e dove non ho chiuso occhio a causa delle zanzare nonostante le dabu si fossero date un gran da fare per fissare delle zanzariere. L’elettricità generata da un generatore comune faceva accendere le lampade la mattina dalle 5 alle 6 e la sera dalle 21 alle 22 e questo per 6 giorni consecutivi.

L’ultimo giorno una grande festa è stata preparata al villaggio. In un angolo i lama con i loro sutra e gli strumenti musicali, in un altro una grande cesta dove la gente del villaggio versava cereali e cibo di ogni sorta e nel campo adiacente tutte le dabu che si adoperavano a fare dei mucchi di aghi di pino e rami per bruciarli poi in segno di purificazione. Questo è stato il mio ultimo giorno nella terra dei Moso.

Prima di lasciare l’Europa avevo chiesto ad alcune persone cosa si aspettassero da questo documentario, ho cercato di accontentare tutti quanti trattando i vari aspetti che fanno della cultura moso una cultura di pace, dalla spiritualità ai miti e leggende, dall’educazione all’economia, dal turismo al cambiamento etc etc. ma quello che mi premeva di più era mostrare l’assenza della violenza in un paese dove le donne sono le protagoniste familiari e sociali.

Le riprese adesso sono finite, ci saranno delle belle immagini, delle belle persone e dei commenti interessanti, ma aspetto di fare trascrivere tutte le interviste dal cinese all’italiano come ho sempre fatto per non perdere una sola parola. Gli interpreti sono stati tutti/e molto bravi, ma spesso purtroppo capita che interpretano secondo parametri personali. Mi fido di più della traduzione scritta e fatta da traduttori professionali così come ho fatto prima di cominciare a scrivere il mio libro sulla cultura moso. Il lavoro di editing delle immagini e del montaggio sarà affidato anch’esso a dei professionisti, ma in mia presenza. Vi metterò al corrente quando il lavoro sarà ultimato. Adesso mi preparo per la nascita della mia prima nipotina e per il matrimonio di mio figlio oltre che per un seminario e un’altra presentazione del mio libro sui Moso il mese di ottobre prossimo. Ringrazio tutte le amiche e amici che mi hanno sostenuto a distanza in questo momento particolarmente difficile.
Francesca Rosati Freeman

le foto sono di Daniela Di Bartolo che ringraziamo