La Dea degli Ebrei, di Raphael Patai

Lessi questo libro una ventina di anni fa e ne fui profondamente colpita. Scoprire la presenza della Dea nel cuore del Tempio di Gerusalemme e come presenza soffusa dentro tutto il monoteismo ebraico non lascia indifferenti.

E scritto da un uomo! Un uomo speciale evidentemente, che non a caso ritrovai come autore insieme a Robert Graves di un altro prezioso libro intitolato I Miti Ebraici, apparso alcuni anni dopo la ricerca sui Miti Greci, in cui è esplorato il patrimonio mitologico rintracciabile nel Libro della Genesi e che per molti versi è del tutto ricollegabile alle più antiche tradizioni greche, mesopotamiche, persiane ed egiziane.

Un testo, questa Dea degli ebrei, che ha richiesto una pazienza infinita prima di poter essere reso disponibile in italiano, come lo è da questa estate.

Per sottolinearne l’unicità e la preziosità dei contenuti, abbiamo scelto di presentarlo alle lettrici e ai lettori italiani attraverso l’introduzione che ne scrisse Merlin Stone, già nota in Italia per il suo Quando Dio era una donna (2011), ma a sua volta scritto negli anni Settanta: uscì infatti nel 1976, in Inghilterra, presso la casa editrice femminista indipendente Virago Press, con il titolo The Paradise Papers (Le carte del Paradiso) e negli Stati Uniti nel 1978. Il sottotitolo del libro di Stone spiega che ci troviamo per la prima volta davanti a una “storia della soppressione dei riti femminili”.

L’introduzione di Stone a Patai si trova nella terza edizione, quella ampliata del 1990.
La Dea Ebraica era uscita nel 1967, ponendosi all’attenzione come un testo decisamente apripista, anche rispetto alla ricerca avviata dal Movimento per la Spiritualità delle Donne, sviluppatosi tra Stati Uniti e Gran Bretagna tra gli anni Settanta e Novanta.
La cornice entro cui vanno collocati i testi di Patai e di Stone comprende The First Sex di Elizabeth Gould Davis, uscito nel 1971, seguito dall’antologia Womanspirit Rising.
A Feminist reader (Il risorgere della spiritualità delle donne. Un compendio femminista), curato da Carol P. Christ e Judith Plaskow, nel 1979, un’antologia che riunisce le migliori teste pensanti del movimento delle donne statunitense in campo teologico, e arriva fino a Unspoken Worlds. Women Religious Lives in Non-Western Cultures (I mondi mai detti: La vita religiosa delle donne nelle culture non occidentali), suo equivalente antropologico, curato da Nancy A. Falk e Rita M. Gross, nel 1980. E ricordiamo anche che tra il 1968 e il 1980 Marija Gimbutas stava conducendo le sue campagne di scavi archeologici in Europa e pubblicando i suoi primi studi sull’Età del Bronzo: nel 1974 pubblica The Gods and Goddesses of Old Europe. 7000 to 3500 B.C.: Myths, Legends and Cult Images (Le Dee e gli Dei dell’Antica Europa, 2016), mentre per The Language of the Goddess (Il Linguaggio della Dea, 1997) bisognerà aspettare il 1989.

Godetevi le parole di Stone e la sua ricostruzione di quel periodo in cui, come scrive,
“dopo qualche esitazione iniziale, anche i bastioni della religione sono stati messi sotto il microscopio femminista”.
Luciana Percovich

PREFAZIONE di MERLIN STONE
alla terza edizione ampliata (1990) di LA DEA DEGLI EBREI
di RAPHAEL PATAI

È un onore e un piacere scrivere questa prefazione al lavoro di uno degli studiosi più impegnati ed eruditi del nostro tempo. Nel corso degli anni, Raphael Patai ha realizzato un impressionante corpus di opere, apprezzate sia dagli addetti ai lavori che dal pubblico comune e, mettendo a confronto letteratura religiosa, storia, archeologia, mitologia e folclore ha raggiunto nuove ed entusiasmanti interpretazioni di materiali che prima erano dispersi e spesso fraintesi. Con la pubblicazione di La Dea degli Ebrei, apre diverse importanti aree di ricerca e riflessione. Pubblicato per la prima volta nel 1967, questo libro fondamentale individua i tratti delle antiche figure della Dea nella Canaan pre-israelita, descrive il loro perdurare tra il popolo ebraico nel periodo biblico e mostra quanto siano intessute nel pensiero e nella pratica giudaica. E, ancora più importante, crea una cornice di senso complessiva in cui collocare e comprendere tutte le prove pertinenti.

La sua trattazione è ricca di materiali e citazioni specifiche che puntano non solo all’aspetto femminile di Dio, ma alla presenza e alle immagini distinte di figure di dea all’interno del giudaismo. Si comincia dalle principali raffigurazioni della dea in Canaan, come Asherah, Anath e Astarte, venerate prima e durante il periodo biblico. Seguendo lo svolgimento della storia, Patai passa poi a esaminare le immagini divine femminili nella letteratura talmudica, cabalistica e in altra letteratura ebraica, che persistono in epoche in cui la percezione comune del Dio ebraico era esclusivamente maschile. Raccogliendo una moltitudine di piccole prove da numerosi testi, unisce i tanti frammenti in un insieme significativo e, con l’abilità dei migliori maestri e dentro a una visione ampia e comprensiva, ci permette di osservare l’inserimento accurato di ciascuno dei pezzi del puzzle al suo posto, fino a ricostruire il quadro nella sua interezza. E in questa edizione aggiornata di La Dea degli Ebrei, include preziosi materiali aggiuntivi che arricchiscono ulteriormente la struttura originale. Con sguardo acuto e commenti articolati, ci aiuta a comprendere i nuovi materiali così come il sotteso discorso in divenire sugli elementi politeistici all’interno di un sistema monoteista.

Nell’edizione originale era già presente una grande quantità di informazioni sulle varie immagini femminili divine della letteratura ebraica, come Hokhma [Saggezza], Shekhina, Matronit e la Sposa e Regina del Sabbath, con un’impressionante quantità di rappresentazioni precise di ciascuna di esse. Ma come per ogni studioso vero, la pubblicazione del libro non ha fermato la sua ricerca. L’immagine della Shekhina lo ha guidato oltre nello studio di alcuni dei materiali più affascinanti su questo tema, il ruolo della Shekhina nel giudaismo degli ultimi secoli. La sua ricostruzione originale di una narrazione complessiva della Shekhina, insieme alla documentazione e all’analisi della lotta per far comprendere il suo ruolo in un culto monoteistico, testimonia un dibattito teologico vivace raramente raggiunto altrove.

Il fatto che le più antiche credenze religiose rivelino come centrale il culto di divinità femminili, e che queste figure femminili divine, apparentemente soppresse e dimenticate, siano tuttavia filtrate nella Bibbia, nel Talmud, nella Cabala e in altra letteratura ebraica ha recentemente raccolto una grande quantità di attenzione e interesse, più di quanto ci si aspetterebbe normalmente da un tema di natura accademica. Gran parte di questo interesse è il risultato della nascita del movimento femminista negli ultimi due decenni. L’esplosione popolare del movimento femminista alla fine del 1968, e la sua rapida crescita negli anni successivi hanno sollevato molte domande sullo status e sul ruolo delle donne nella società. Le relazioni e le istituzioni sociali sono state interrogate alla luce del posto riservato alle donne e, dopo qualche esitazione iniziale, anche i bastioni della religione sono stati messi sotto il microscopio femminista. Da quel momento in poi, molte donne hanno messo in discussione e confrontato l’impatto delle varie religioni sulla condizione delle donne.

In questi ultimi due decenni le donne hanno osservato i vari sistemi religiosi esistenti dal punto di vista femminista, partendo da diversi posizionamenti nella società e quindi da diverse prospettive. Molte hanno esaminato una religione specifica in quanto devote di quella religione, per non buttare via il bambino con l’acqua sporca. Ne sono risultate revisioni e riforme, alcune donne sono state ordinate sacerdoti, rabbini e ministri. Altre, come le suore cattoliche, hanno cercato di cambiare le regole della Chiesa sulle donne per consentire loro di essere ordinate sacerdoti. Le liturgie e i libri di preghiere di quasi tutte le fedi occidentali sono stati messi in discussione e molte sono state le correzioni per includere sia il femminile che il maschile nei riferimenti alla divinità e alla congregazione.

Quando ho iniziato il mio libro Quando Dio era una donna nel 1969, la mia intenzione era semplicemente quella di rendere le persone consapevoli dell’antico culto di Dio come donna, come Dea, Creatrice del Cielo e della Terra, come la dea Nammu in Sumer, per sfatare l’idea che fosse un piano naturale o divino che gli uomini governassero sulle donne, come affermato in Gen. 3:16.
Per me era importante dimostrare che il culto della Dea esisteva molto prima della stesura delle Scritture Ebraiche [l’Antico Testamento], ritenute sacre sia dagli ebrei che dai cristiani, e che la riverenza della Dea aveva influenzato la condizione delle donne in molti modi positivi. Dalla pubblicazione di quel libro nel 1976, l’interesse per un recupero nella contemporaneità della storia della Dea, così come l’attuazione qui e ora di rituali celebrativi della Dea cominciarono a dar forma a quello che oggi viene chiamato Movimento della Spiritualità femminile. Oggi sono migliaia le donne che si volgono al recupero della dea in tutte le aree di lavoro e di studio; figure e immagini di dee sono emerse nella pittura, nella scultura, a teatro, nei romanzi, nella poesia, nella musica, nella danza e nei film. Vengono continuamente scritti e pubblicati nuovi libri, articoli e tesi accademiche che trattano la rivalorizzazione di aspetti specifici della storia della Dea. L’insegnamento della storia, della storia dell’arte, della sociologia, della psicologia, della filosofia, dell’antropologia, della teologia e, naturalmente, dei women’s studies, è stato influenzato da questo corpo sempre crescente di conoscenze sull’antico culto della Dea. E gruppi di donne in tutto il mondo, negli Stati Uniti come in Canada, Europa e altre parti del mondo si sono incontrati per creare e celebrare rituali durante i solstizi, gli equinozi, con la luna nuova o piena e in altri momenti di celebrazione dei passaggi della vita.

Guardando indietro, mi rendo conto che se avessi saputo della Dea degli Ebrei durante gli anni delle mie ricerche per Quando Dio era una donna, mi sarei risparmiata una grande quantità di tempo e fatica. Ma fu solo nel 1978, quando stavo finendo il mio secondo libro, Ancient Mirrors of Womanhood, che l’ho scoperto. L’edizione tascabile Avon/Discus di La Dea degli Ebrei era uscita nell’agosto di quell’anno. Alla prima lettura rimasi profondamente colpita non solo dalla ricerca scrupolosa e scrupolosamente dettagliata che Patai aveva fatto molti anni prima, sapendo dal mio lavoro cosa ciò comporta, ma anche dal suo coraggio nel presentare la sua tesi sulla continuazione della venerazione della Dea all’interno del giudaismo. Ho trovato il libro un tesoro di raffinata erudizione, nonché un esempio ispiratore di onestà intellettuale nell’affermare ciò che altri avrebbero preferito non discutere o addirittura vedere.

Né Patai aveva considerato cosa potesse significare Ritrovare la Dea per le donne. Nel suo capitolo sulla Matronit, aveva suggerito che l’esistenza della Dea potesse essersi manifestata come una risposta naturale a un bisogno fondamentale e alla percezione della femminilità da parte del “maschio della specie”. Ma questi ultimi anni ci hanno mostrato che sono state soprattutto le donne a volere e a dover immaginare la divinità come femminile. Non posso dire che gli uomini non si siano interessati al recente recupero della dea, specialmente dove l’interesse per la dea si allinea con la sacralità della natura e la dea diventa quasi un simbolo ecologico. Ma a giudicare dal numero sorprendente di donne attualmente coinvolte nel grande movimento di spiritualità femminile in rapida espansione, sono soprattutto loro che hanno risposto al Risveglio della Dea e le principali responsabili della sua diffusione, incorporando questa rivendicazione in molte aree diverse della cultura e delle celebrazioni spirituali. E questo mi porta a menzionare una previsione fatta da Patai nel 1967, prima dell’emergere del movimento delle donne.

Alla fine della sua introduzione, chiede: “La dea ebraica è morta, o sta semplicemente dormendo, per risvegliarsi presto?” E continua dicendo che “dovesse rinascere, possiamo aspettarci che ciò avvenga solo nella Terra d’Israele.” The Civilization of the Goddess: The World of Old Europe

The Civilization of the Goddess: The World of Old Europe

Dobbiamo ricordare che queste frasi sono state scritte diversi anni prima dell’inizio del movimento femminista e ancora di più prima della nascita del movimento della spiritualità delle donne. E, come ben capiscono le persone dotate di saggezza, gli eventi che ci aspettiamo che accadano accadono spesso, ma nei modi meno attesi. Quindi è interessante notare, circa 22 anni dopo la domanda posta da Patai, che la dea ebraica effettivamente rivive, ma forse nel modo più inaspettato. Questo risveglio è il risultato diretto del movimento della spiritualità delle donne, che a sua volta è cresciuto all’interno del movimento femminista negli Stati Uniti. Ciò nonostante, gran parte della rinascita della Dea ebraica si basa sulle informazioni contenute nelle opere di Patai.

Quando dio era una donna edizione 1976
Quando dio era una donna edizione 1976

Insieme alle numerose figure di dee per le quali le donne contemporanee hanno mostrato un interesse speciale, figure come la sumera Inanna, l’accadica Ishtar, le greche Gaia, Demetra e Artemide, la messicana Coatlicue, le africane Yemaya e Oshun, le celtiche Cerridwen e Rhiannon, la Tara tibetana, la Pele hawaiana, anche l’immagine della Shekhina è nuovamente risorta per essere riconosciuta e venerata. Ha iniziato a risvegliarsi mentre ne scriveva Patai e ora lo è completamente grazie alle femministe ebree. Come ho già detto, molte donne sono rimaste all’interno della loro religione familiare, lavorando per apportare cambiamenti dall’interno nei sistemi religiosi orientati al maschile. Così Rabbi Lynn Gottlieb e Rabbi Leah Novick hanno parlato e scritto sull’importanza della Shekhina. Drorah Setel ha scritto ed eseguito canzoni sulla Shekhina. Irene Javors ha formato un gruppo di donne ebree per studiare il significato della Shekhina nelle loro vite. Javors spiega che molte donne sentivano che l’immagine della Shekhina era stata formulata principalmente da uomini in passato e che, per il futuro, sentivano il bisogno di immaginarla e definirla da una prospettiva femminile.

Anche tra le molte donne che hanno rifiutato la propria religione di nascita e sono in qualche modo coinvolte nella spiritualità femminile e nel recupero della Dea, possiamo osservare che la scelta di un’immagine specifica o preferita spesso riflette l’eredità etnica di una donna. Oshun e Yemaya sono spesso di grande interesse per le donne afroamericane, le donne di origine celtica sono attratte dalle leggende su Cerridwen. Non è difficile capire perché le donne cresciute nella fede ebraica, e che potrebbero ancora identificarsi culturalmente come ebree anche se non praticanti, siano attratte dall’immagine della Shekhina. Tuttavia, come la Shekhina esiste all’interno del giudaismo monoteista e gli indù parlano di Parvati, Kali, Uma, Durga e Lakshmi come aspetti della Devi, la Dea è oggi una divinità singola per molte donne che adottano un approccio monoteistico e considerano le numerose figure di dee storiche come aspetti della Dea.

Uno dei concetti più interessanti emersi all’interno del movimento della spiritualità femminile è l’idea o la convinzione che la dea sia immanente, cioè dentro di noi e dentro a ogni forma di vita, in contrasto con l’idea di una divinità trascendente che si trova al di sopra di noi. Nel considerare le descrizioni di Patai della Shekhina come un aspetto di Dio – o di una Dea – che dimora sulla terra, non possiamo fare a meno di osservare la vicinanza di questi concetti. Il punto in cui queste idee possono differire è negli sforzi compiuti per far sì che la Shekhina si riunisca a Dio solo in cielo, come spiegato in dettagli affascinanti nei nuovi materiali forniti da Patai. Ma io sospetto che la maggior parte delle donne coinvolte nella spiritualità femminile oggi preferirebbero che la Dea rimanesse con noi. E preferirebbero di gran lunga che Dio venisse qui sulla terra per unirsi alla Dea. Mi asterrò da ulteriori analogie con le famiglie monoparentali o con i padri emotivamente distanti, salvo menzionare che vengono sempre in mente quando si ragiona in termini mitici.

Nonostante queste differenze, la ricchezza di informazioni, la presentazione e l’analisi cristallina delle prove in La Dea Ebraica richiedono che il libro venga letto da chiunque sia interessata/o alla storia delle religioni, alla teologia o al ritorno della Dea. L’autore ci ha regalato un classico sul tema della presenza continua di figure femminili divine all’interno dell’ebraismo, offrendoci una visione del giudaismo a lungo non vista. Ma anche al di là del suo ambito, ci introduce a correnti di pensiero preziose che possono essere utili per lo studio delle religioni in generale. Durante i miei anni di ricerca, ho scoperto una straordinaria diversità nella percezione, nelle narrazioni, nell’immaginario e nel simbolismo della divinità sia nelle culture antiche che in quelle viventi. Una diversità che porta a interrogarci sul perché divino o sacro siano (stati) percepiti così, in forme specifiche in tempi e luoghi specifici. In La Dea degli Ebrei, che copre uno spettro cronologico molto vasto e una geografia ampia, Patai riesce non solo a presentare un insieme di ricerche sulla Dea all’interno dell’ebraismo ma, cosa forse ancora più importante, ci permette di acquisire altre informazioni su quale sia il processo del dibattito, della trasformazione e dello sviluppo di molte, se non di tutte, le immagini e le credenze religiose.

Ho trovato per la prima volta questo libro in un’edizione aggiornata pubblicata undici anni dopo quella iniziale; questa nuova edizione ampliata, ora in fase di pubblicazione dopo circa altri undici anni, spero che raggiungerà un pubblico ancora più vasto. Mi aspetto che chi leggerà rimarrà sorpresa/o, emozionata/o e illuminata/o come lo sono stata io dal prezioso contributo di Raphael Patai verso la comprensione più profonda del rapporto tra umanità e divinità così come si rivela in La Dea degli Ebrei.

Merlin Stone

La Dea degli Ebrei, di Raphael Patai, Venexia 2023.