Il mistero del corpo femminile

Un altro mondo

Come tante opere create dalle donne, la nascita del Centro di Foggia è stato il frutto della natura misterica del corpo femminile. Bastò l’incontro fortuito di due donne a far nascere l’idea di un luogo in cui fare ricerca, un’idea attorno a cui cominciarono a girare molte donne che entravano per uscirne poco dopo sostituite dall’ingresso di nuove donne. Fu come una selezione naturale operata dai corpi che condensò il cerchio magico, il grembo della ricerca, donne custodi del mistero femminile. Non sapevamo cosa cercare, ma c’era come una stella cometa a indicarci la via. Erano i primi anni ‘80 e il Centro divenne un luogo fondato sull’inviolabilità del corpo femminile e sulla sua sacralità. Fu per noi la nascita di un altro ordine di mondo.

L’incontro con Luce Irigaray.

L’incontro con Luce Irigaray avvenne strada facendo attraverso due dei suoi testi, Passioni elementari e Amante marina, usciti proprio in quegli anni. Trovammo nella sua scrittura una risonanza profonda e nelle sue immagini un’autentica rivelazione di senso. Iniziò da lì la nostra rivoluzione simbolica.

Ricordo ancora la prima pagina di Passioni Elementari, le prime frasi.

Dovemmo cambiare il modo di leggere per accordarci col respiro del suo pensiero. Ogni volta che metteva punto ci fermavamo a respirare il senso che s’incarnava in quella parola, in quella frase. Non sapevamo leggerla e fummo iniziate alla sua scrittura da una ricercatrice del gruppo.

Tu mi dai una bocca bianca. Aperta, la mia bocca bianca, come gli angeli nelle cattedrali. Mi hai tagliato la lingua. Mi resta il canto. Non posso dire niente che non sia cantare.

Cantare per te. Ma questo per te non è un dativo. Né questo canto un dono. Non ricevuto da te, non prodotto da me, né per te, questo canto: il mio amore con te. Mescolati. Si sprigiona da me. Nube.

Ma tu non lo senti. Tante parole ci separano. Separano dal canto. Come potrebbe raggiungerti questa effusione bianca? La forza del candore resta impercettibile. Lutto della lingua, questo bianco non si ascolta.

(Passioni Elementari – Luce Irigaray)

E fu così che imparammo a cogliere il senso più profondo del corpo femminile, la sua essenza … il mio canto … ad accedere alla sua visione … Nube … e ci trovammo a contemplarne lo spirito, la sua verginità … La forza del candore … un candore che Luce Irigaray incarnò vestendosi di bianco in ogni apparizione pubblica del tempo.

Entrammo attraverso questa via nel pensiero della differenza, procedendo a piedi nudi e a capo chino, e vedemmo i nostri corpi distendersi nell’incarnazione simbolica del mistero femminile … fu questo per noi l’inizio della rivoluzione simbolica.

Avevamo trovato … le parole per dirlo, per dare senso all’esperienza più intima e profonda. Molti dei nostri scritti di quegli anni riguardano il corpo femminile e il suo mistero.

DONNE DIVINE

Nell’86 esce un libro intitolato Melusina – Mito e leggenda di una donna serpente che raccoglie molte ricercatrici intorno al mistero del corpo femminile: Barina, Chirassi Colombo, Fuser, Giacobbe Borelli, Infelise Fronza, Irigaray, Kindi, Mangiarotti, Manuli, Paques, Pereira, Picher, Quette, Vegetti Finzi, von der Luhe.

Luce Irigaray vi partecipa con “Donne Divine”, una riflessione profonda sul divenire femminile e sul suo rimanere incompiuto fra natura e cultura, umano e divino.

Da tempo, come abbiamo visto, Irigaray è alla ricerca di senso rispetto alla natura femminile ma è a partire dallo studio di Melusina, la donna serpente, che irrompe nel suo pensiero il senso divino del corpo femminile. Questa irruzione dilatò il suo orizzonte simbolico e la spinse a curare personalmente l’edizione di un numero speciale di INCHIESTA dedicato al divino femminile, chiamando al tavolo di lavoro donne e uomini.

Ma seguiamo il suo discorso sul mistero del corpo femminile partendo dall’inizio di “Donne Divine”.

Scrivendo Amante marina, Passioni elementari, L’oubli de l’air (la dimenticanza dell’aria), pensavo di fare uno studio dei nostri rapporti con gli elementi: l’acqua, la terra, il fuoco, l’aria. Volevo ritornare a questa materia naturale che costituisce il nostro corpo, il suolo della nostra vita, del nostro ambiente, la carne delle nostre passioni. Obbedivo a un’intuizione. Profonda. Necessaria. Oscura anche se in essa hanno parte altri pensieri.

Dunque, fino dalla scrittura di Passioni elementari e di Amante marina a muovere la ricerca simbolica della Irigaray è un’intuizione profonda, oscura, misterica …

Ma leggendo Melusina, rileggendo La sirenetta e altre fiabe, scopro alcune cause della forza che mi ha portato a meditare sulla nostra relazione con il mare, l’aria, la terra, il fuoco. Comprendo che questo rapporto, non essendo stato decifrato, è rimasto favole e mostri (precisamente, nel senso etimologico del termine), rivelando e nascondendo qualcosa della nostra identità. Delle nostre difficoltà a situarci nei confronti di noi stesse, e tra noi. Qualcosa dei drammi e degli incantesimi che ci prendono, ci catturano, ci legano e ci separano.

Melusina è una figura femminile inquietante, dotata di poteri soprannaturali, una fata sirena con un corpo per metà umano e per metà animale, che vive ai margini della società e nel regno della natura. Un giorno incontra nella foresta un fuggiasco di nobile stirpe e se ne innamora. Decide di sposarlo e per farlo, su suggerimento di sua madre, lo vincola a un segreto: una volta alla settimana lei si ritirerà nella sua stanza e lui non dovrà mai aprire quella porta. Il vincolo è sacro e dalla loro unione nasce una splendida famiglia e un regno in cui le genti vivono in perfetta armonia.

L’incantesimo si spezza quando il principe, insospettito dal fratello, guarda nella sua stanza e la scopre immersa nelle acque con un corpo di sirena. Lei scomparirà all’istante accompagnata da potenti urla di dolore e riapparirà la notte solo come nutrice dei suoi figli.

Melusina è una storia d’amore, nelle sue dimensioni private e pubbliche, un’epoca del nostro immaginario ancora e sempre attuale. Le passioni hanno a che fare con il fuoco e il ghiaccio, la luce e la notte, l’acqua e l’immersione, la terra e la scoperta o la perdita del suolo, la respirazione con ciò che ha di più profondo, di più segretamente vivo. Le nostre passioni conoscono e ci fanno conoscere la metamorfosi in fenomeni acquatici, celesti, solari o vulcanici, illuminati o notturni, palpitanti o assonnati …

 

Ancora una volta sono le passioni a operare la metamorfosi del corpo femminile.

Interrogando il mistero dell’immagine e di ciò che vi si nasconde, si tratta forse di interrogare gli stati di trasmutazione, di trasfigurazione, che vi si esprimono, che possono trovarvi figura senza esprimere la totalità di un segreto natale, nativo. (…) Ma il segreto che nascondono simili incarnazioni parziali, mostruosamente composite, della donna, e dell’uomo d’altronde, sono tappe di un divenire che non bisognerebbe vedere, non svelare né nella sua nudità fisica per la sposa né nella sua stirpe per l’uomo. Le cui nozze non avrebbero mai un totale compimento.

 

Lo sguardo della Irigaray si concentra qui sull’aspetto misterico del corpo femminile e sulla necessità di fermarsi a contemplarlo, senza violarlo.

Questi matrimoni obbligatori per salvare l’uno o l’altra/l’uno e l’altra, nel destino del corpo o in quello genealogico, nella forma vivente o nel nome, questi matrimoni restano sempre condizionali. Assolvono un compito simbolico e sociale, non c’è dubbio. Procreano figli, costruiscono castelli, coltivano la terra, edificano città. Tuttavia l’amore vi resta infelice. Né carne, né spirito, né corpo, né nome (nomi) vi si alleano, né si rigenerano o generano, né si espandono. Melusina e i miti appartenenti allo stesso filone (in particolare quelli del Cavaliere del cigno) ci raccontano, in maniera velata, questa peripezia del corpo femminile, e di quella simbolica dell’uomo, ancora separati nel loro compimento delle nozze.

 

La Irigary individua qui, nel mancato compimento delle nozze sacre, un punto di caduta nell’incontro fra i sessi.

Melusina è proprio una storia di rapporto con la madre, e con la madre natura, con il suo inserimento sociale. Questo mito (come quello della Sirenetta) raffigura un passaggio tra vita intrauterina e vita aerea. Vita posta, ancora una volta, in ambigue relazioni con una società di coppie procreatrici, indubbiamente, ma difficilmente amorose. Forse perché noi siamo ancora mezzo-pesci, mezzo-uccelli. Non ancora donne. Nate donne (né uomini, d’altronde). Non ancora umane e divine. Che fa tutt’uno. E che fa sì, inoltre, che non ci siano o siano pochissime le coppie feconde altro che in senso strettamente carnale. Di qui i dilemmi su ciò che è in gioco nella maternità, nella paternità, ancora e sempre paralizzate in doveri che non sono l’essenziale del nostro destino: generare il divino in noi e tra noi.

 

L’essenziale del nostro destino: generare il divino in noi e tra noi. Sulla questione tornerà in pubblicazioni successive come Amo a te.