Streghe e pagane. Le donne nella religione popolare europea – Monica di Bernardo

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Streghe e pagane. Le donne nella religione popolare europea

di Max Dashu, Venexia Edizioni, 2018

L’autrice del libro Streghe e Pagane ricostruisce un periodo storico che va dal 700 al 1100 evidenziando il passaggio dalla cultura pagana al cristianesimo e mette in evidenza come il clero abbia operato un rimodellamento della cultura popolare sulla base della propria visione del mondo.

Per farlo, utilizza un interessante approccio etnologico e storiografico che si basa sulla ricerca di tracce di religioni e filosofie popolari all’interno di fonti archeologiche, documentazioni scritte ed iconografiche per ricostruire le tracce lasciate dalle donne nel passaggio dal paganesimo alla cristianizzazione. La scelta è quindi quella di intrecciare temi storici e spirituali, questi ultimi non accettati dalla storiografia accademica, con lo scopo di ampliare lo sguardo e di provare a ricostruire la storia sociale e culturale della Vecchia Europa prima della sua completa cristianizzazione.

Parliamo quindi di un’epoca controversa e di un argomento che lo è altrettanto, quello della caccia alle streghe, e che ha dato vita ad una pluralità di percorsi storiografici ed interpretativi

Max Dashu mette in atto un cambiamento di punto di vista essenziale: intende infatti mettere in discussione non solo le fonti utilizzate di solito in ambito storiografico ma anche la cronologia, affermando che la persecuzione nei confronti delle donne sagge e sapienti comincia già nel corso dell’alto Medioevo attraverso la cancellazione della religione tribale europea e la progressiva demonizzazione delle donne e dei loro poteri di: divinazione, guarigione, conoscenza delle erbe, documentati con precisione nel testo attraverso riferimenti soprattutto alla lingua, perché secondo l’autrice la linguistica svela i modi di pensare delle vecchie filosofie spirituali native che sono state sottoposte ad un processo di vera e propria colonizzazione. La donna sapiente, infatti, poi definita strega, presenta gli attributi principali della Dea del Neolitico, tuttavia la cultura a cui faceva riferimento è stata distrutta e la sua memoria cancellata. Il potere politico (ad esempio le leggi longobarde) e quello religioso hanno collaborato alla repressione coalizzandosi per cancellare la memoria storica, sociale e culturale del mondo pagano.

Il testo approfondisce i diversi temi attraverso dei filoni tematici che riportano le testimonianze raccolte dall’autrice nel corso delle sue ricerche e che spaziano dalla linguistica all’archeologia ma che utilizzano anche testimonianze scritte come il libri penitenziali. Infatti è importante sottolineare che gli unici documenti scritti che abbiamo su questo argomento sono opera di testimoni ostili, si tratta infatti di fonti ecclesiastiche che hanno come fine quello di annientare e distruggere quel che resta del mondo pagano. Nel far questo però hanno lasciato traccia delle cerimonie e di quegli stessi riti che intendevano proibire e che altrimenti non ci sarebbe stato possibile conoscere.

Lo stesso è avvenuto per quel che riguarda le donne sapienti e la loro cultura tramandata oralmente. Il testo documenta ad esempio le pratiche legate all’uso del fuso e della rocca per la filatura, strumenti tradizionalmente utilizzati dalle donne e ritrovati spesso nelle sepolture ma attribuendo loro un significato del tutto diverso: spiegando come il lavoro della tessitura fosse associato al potere spirituale e come la donna tessitrice svolgesse in realtà le stesse funzioni della strega: guarigione, divinazione, magie d’amore e creazione di amuleti. L’arte della filatura e della tessitura era quindi l’arte delle pratiche magiche che le donne continueranno ad esercitare per molti secoli ancora nonostante i tentativi di repressione documentati dai libri penitenziali; anche il simbolismo della filatura si è conservato nelle usanze popolari per tutto il corso della caccia alle streghe.

Altro filone interessante toccato dal libro è quello del termine witchcraft che l’autrice ricollega al culto per le dee filatrici che continuarono ad essere presenti nella cultura medioevale nonostante i continui tentativi di repressione. La dea invocata dalle filatrici viene spesso identificata con Minerva, naturalmente a causa dell’interpretatio romana a cui vengono sottoposti tutti i termini pagani.

La cultura occidentale ha ereditato infatti una concezione demonizzata della strega dimenticando completamente le pratiche connesse a questa figura di donna sapiente, per questo una parte del testo è dedicata ai nomi della strega intesa come “donna che sa”. L’autrice introduce un ampio excursus che va dai termini: pythonissa per indicare il ruolo di profetessa capace di vedere il futuro a sortilega (che legge la sorte, indovina; termine che ancora si conserva nel francese sorciere); incantatrix (che invoca attraverso il canto); e altri che hanno a che fare con la medicina e la guarigione come herbaria; fattucchiera “colei che fa”; masca “donna mascherata” ma anche che ha il potere della metamorfosi (a questo allude anche il termine strix donna-vampiro-uccello rapace); il tedesco Hexe (donna selvaggia); witch (colei che intreccia i fili); lo spagnolo bruja (pagana) e magara o majara (termine che si ritrova in alcuni dialetti del sud Italia e che indica in origine chi lavora alla tela e poi la strega).

Anche in un’epoca molto più tarda, quando ormai la caccia alle streghe si è diffusa in tutta Europa, ancora i processi documentano quelle stesse pratiche che le donne sagge utilizzavano in epoca pagana, ad esempio l’usanza di mettere un pezzo di stoffa su una persona o una animale per benedirli, un metodo di guarigione pagano che ricorda molto da vicino le pratiche di alcune donne accusate di stregoneria. Ad esempio nel processo alla strega Matteuccia Francisci risalente al 1428 (il primo processo in cui si utilizza il termine strix) parlando dell’operato dell’imputata si dice svolga l’attività di guaritrice ricorrendo a dei carmina accompagnati da gesti e che per operare i suoi incantesimi utilizzi un oggetto appartenente alla vittima di un maleficio (cintura o mantello) e lo misuri con la spanna. Anche monna Gostanza, condannata nel 1594 a San Miniato, ammette di conoscere “moltissime sorte di mali con il misurare et vedere li panni et li misuro et con la grazia di Dio n’ho guariti moltissimi”. Lo stesso per quel che riguarda la ligatura o il confezionare amuleti, brevi, fili e nodi per portare salute e protezione secondo un uso sciamanico dei nodi la cui origine risale anche questa alla cultura pagana. Ad esempio la fattucchiera Matteuccia prescrive come incantesimo contro i mariti troppo aggressivi che maltrattano le mogli di circondare un’immagine di cera con un filo filato da una fanciulla vergine. Oppure si potrebbe far riferimento alla pratica di riti presso i crocevia o alla comunicazione spirituale con le antenate e gli antenati defunti, ad esempio gli spiriti a cui fa riferimento Benvenuta Benincasa condannata a Modena nel 1370 o i riti che riguardano la Signora del Buon Gioco o il corteo di Diana. Sono davvero molti gli esempi di testi che si potrebbero citare e che documentano molti secoli più tardi l’utilizzo di tecniche di guarigione, rituali, pratiche che si sono conservate per secoli. E anzi spesso è proprio di questo che le donne sono accusate: di trasmettere la loro conoscenza! E’ il caso ad esempio di Gabrina degli Abeti, mulier malefica condannata a Reggio Emilia nel 1375 proprio in quanto donna esperta che insegna alle altre donne l’arte degli incantesimi.

Quanto detto suggerisce un’importante riflessione cioè quanto sia importante lavorare su un’interpretazione dei processi in questa nuova prospettiva d’indagine proposta dall’autrice, cercando le tracce degli spazi di potere reale che le donne sagge da secoli esercitavano all’i
nterno delle loro comunità riallacciandosi alle tradizioni più antiche, alle memorie pagane che non si era riusciti ad estirpare e che erano sopravvissute e si trasmettevano oralmente, come una cultura parallela, tra le donne.

Naturalmente analizzando le fonti a disposizione senza dimenticare quel che ha ben documentato C. Ginzburg parlando dei Benandanti e cioè di come possa avvenire l’assimilazione di un culto antico che viene reinterpretato secondo gli stereotipi inquisitoriali bollando come stregoneria le pratiche legate ad antichi culti pagani.

Infatti, come sottolinea l’autrice, “le interpretazioni distorte della stregoneria continuano a dominare l’analisi moderna del fenomeno, le donne sagge del passato sono estrapolate dal contesto storico di riferimento che continua ad essere definito da un pregiudizio culturale fortemente radicato, formatosi nel corso di una lunga storia di persecuzioni”. Questa affermazione può essere considerata un po’ il manifesto programmatico dell’intero percorso di ricerca di Max Dashu e un punto di partenza per un percorso di studi che abbia come obiettivo la restituzione di una memoria storica adeguata alle donne condannate per stregoneria.

Monica di Bernardo 


Nota sull’autrice

Max Dashu ha fondato nel 1970 i “Suppressed Histories Archivies” e da allora ha cominciato a raccogliere una documentazione ricca e articolata che comprende: documenti scritti, iconografici e testimonianze archeologiche che riguardano la storia delle donne. L’autrice intende realizzare un progetto che ha il titolo di Secret History of the Witches e di cui il testo Streghe e pagane costituisce il settimo di sedici volumi.

Brevi cenni bibliografici

  • Cardini F., Gostanza, la strega di San Miniato, Laterza
  • Corsi D. Non lasciar vivere la malefica, Firenze University Press
  • Federici S. Calibano e la strega, Mimesis
  • Di Bernardo M. Il caso di Matteuccia. Riflessioni
  • Ginzburg C., I benandanti, Einaudi
  • Ginzburg C. Storia notturna, Adelphi