Simboli di vita e di morte a cura di Luciana Percovich

Per presentare questo nuovo libro della collana Le Civette Saggi – Venexia penso che sia illuminante conoscere un po’ più da vicino l’autrice, Dorothy Cameron, il cui nome è citato alcune volte da Marija Gimbutas … e nient’altro.

Fu Joan Marler che anni fa mi regalò i suoi due saggi, sintetici ma potenti, e da quando li lessi mi misi in attesa dell’occasione di proporli a Chiara Orlandini. C’è voluto qualche anno perché venisse il suo momento ma oggi finalmente il libro, nella mia traduzione, è pronto nella sua copertina bianca, rossa e nera. Il caso ha anche voluto che Simboli di Vita e di Morte segua Donne Invisibili della preistoria, ambedue scritti da donne australiane!

Forse per rendere ancora più evidente la comunanza di pensieri ed emozioni nella ricerca delle nostre radici e di civiltà non violente, nonché la “piccolezza” del nostro pianeta in cui i ghiacci si sciolgono e il fuoco divampa, continente dopo continente, come risultato della miope morsa della violenta globalizzazione patriarcale?

Il libro parla di Catal Huyuk e di un sito finora sconosciuto, Ghassul. È un viaggio tra i simboli della vita e della morte attraverso lo sguardo delle nostre antenate e antenati di 8000 anni fa. Forse ha un messaggio per questo momento della storia in cui la Nera Signora percorre il pianeta con la sua falce feroce.

Dall’introduzione al libro scritta da Joan Marler, che ha conosciuto e frequentato Dorothy anche dopo la morte di Marija, ecco di seguito ampi stralci del ricordo che ha lasciato in lei.

Ricordando Dorothy (1917-2002)

di Joan Marler

Dorothy Lober Cameron, artista poeta e scrittrice, ha dedicato la sua vita intensa e appassionata a esplorare in profondità i significati spirituali dell’immaginario simbolico del Neolitico.

La sua cara amica Glenda Cloughly da Canberra, città capitale dell’Australia, sottolinea la “capacità immaginativa, creativa di Dorothy che emergeva ogni volta che qualcosa accendeva la sua intelligenza speciale e la sua grazia” e come la sua arte e la sua poesia esprimano “immagini dell’antica Terra generosa e le forme femminili, generatrici di possibilità e speranza. Nella sua poesia ritroviamo la celebrazione della vita, quella che fu minoica, australiana, universale.”

Dorothy era nata nel New South Wales il 15 settembre 1917. Nella prima metà del 1919, quando non aveva ancora compiuto due anni, l’epidemia di influenza portata dai soldati che tornavano a casa dal fronte colpì la sua comunità e la piccola Dorothy, dagli occhi scintillanti e piena di spirito gioioso, fu colpita dal virus letale. Riuscì a sopravvivere ma restò con solo una metà del polmone sinistro funzionante e assai poca forza vitale. Nel forzato isolamento dai suoi coetanei fu così costretta a sviluppare un suo ricco mondo interiore.

……

Avendo riconosciuto il suo talento artistico, l’insegnante d’arte la incoraggiò a esprimere la sua immaginazione accumulata e trattenuta negli anni di solitudine. Quando era ormai vicina al diploma, diversi insegnanti che apprezzavano la sua brillantezza la incoraggiarono a iscriversi all’università, ma i suoi genitori rifiutarono questa possibilità accampando ragioni di salute che non le avrebbero permesso di seguire gli insegnamenti. Fu pochi giorni dopo essersi diplomata alla Meriden, che per caso Dorothy sentì un medico del luogo che diceva ai suoi genitori che non avrebbe mai avuto una vita normale. Rimase come paralizzata per lo shock, poi si girò e uscì in strada.

“Feci il giro dell’edificio una volta, due volte, tre volte … E tutti i miei sogni di viaggiare nel mondo? … I luoghi mai visti e chissà quali avventure? … Mi fermai e tuffai il viso nel profumo inebriante di una pianta di gelsomino che pendeva da un muro in tutta la sua lussureggiante fioritura. ‘Glielo farò vedere io’, sussurrai a quei piccoli fiori profumati. E con questo mi voltai e tornai a casa: ero un’altra persona, che aveva fatto un’inversione a U nella sua vita, a 17 anni.”

Adesso Dorothy aveva un progetto segreto ed era determinata a trovare un lavoro che le permettesse di mettere da parte il denaro sufficiente per attraversare l’oceano e entrare nel mondo più grande. La Seconda guerra mondiale interruppe i suoi piani, fino al 1945 quando riuscì finalmente a salpare da Sidney su una nave diretta a Londra.

Da lì proseguì per Parigi dove i suoi abitanti non si erano ancora ripresi dal trauma recente dell’occupazione tedesca. Trovò lavoro come segretaria della delegazione australiana alla conferenza che doveva liquidare l’UNRRA che aveva operato durante la guerra … poi fu assunta come Conference Officer nell’ufficio del Direttore Generale dell’Unesco …

Finalmente ebbero inizio sotto l’egida dell’Unesco le conferenze in giro per il mondo, cominciando da Città del Messico. Poi, mentre si recava a Beirut, le rimase impresso il viaggio attraverso le foreste di cedri del Libano piegati sotto il peso della neve prima che la strada inforcasse la direzione a sud verso il deserto.

“Luccicava sotto il calore e sotto un sole abbagliante comparvero le rovine di Baalbeck, immense e enigmatiche nel silenzio … Mi sedetti su una delle colonne cadute e sentii che in qualche modo si era chiuso un cerchio.”

Dopo quattro anni di viaggi con base a Parigi che la portarono in molti posti diversi, Dorothy tornò in Australia a trovò un impiego all’Australian National University di Canberra. Seguì un corso di Preistoria che le aprì molte domande piene di misteri che continuavano a essere eluse. A Canberra incontrò e sposò Roy e nel giro di cinque anni mise al mondo tre figli sani. Non appena furono in età scolare, Dorothy iniziò di nuovo a dipingere con grande entusiasmo e fece numerose mostre che ottennero un buon successo.

Nel 1973 Roy ottenne un posto come diplomatico a Parigi, dove anche lei tornò con gioia insieme a marito e figli. Dopo una mostra personale sulla Rive Gauche, Dorothy venne a sapere che il direttore di uno scavo in Giordania, il professor Basil Hennessy della Sidney University, cercava per la campagna di scavi estivi un’artista che sapesse disegnare i reperti archeologici scoperti in un sito vicino al Mar Morto. Nel 1977 presentò la sua domanda e fu ingaggiata per studiare e documentare i dipinti parietali datati al V millennio a. C. di Teleilat Ghassul.

Dorothy si sentiva nel suo elemento nel paesaggio desertico in cui i dipinti erano stati riportati alla luce dalla sabbia e che recavano strani simboli che nessuno riusciva a comprendere.

“Ne fui completamente affascinata. Da quel momento in poi, la mia vita fu catturata dal desiderio di comprendere, se ne fossi stata capace, che cosa nel passato aveva prodotto simili immagini e quale potesse essere il loro possibile significato.”

……

I reperti del Neolitico che Dorothy studiò in infiniti musei d’Europa e in Anatolia sembravano contenere un linguaggio nascosto, il cui significato continuava a sfuggirle e a intrigarla. Mentre era in viaggio verso la Giordania per riesaminare gli scavi, si fermò ad Atene al Museo Archeologico prima di volare a Tel Aviv per visitare il nuovo Israeli Museum. Da lì poi proseguì per Ankara per avere un confronto tra i dipinti di Ghassul e i frammenti dei dipinti parietali scoperti a Catal Huyuk. Mentre l’accompagnavano nel seminterrato del museo di Ankara, Dorothy di colpo notò una collezione di bucrani provenienti dagli scavi di Catal Huyuk:

“Rimasi di stucco nel vedere una fila degli ora famosi bucrani, tutti con gigantesche corna naturali, che erano stati trovati in grande abbondanza nei templi. Facevano venire i brividi quelle enormi teste di toro ricoperte di creta. Non erano proprio teste di animali, nessuna aveva né gli occhi né le orecchie. Mentre restavo ferma a guardarli, come ipnotizzata da quelle strane teste quasi a forma di pera, provai un senso di numinoso … ero convinta che portassero un messaggio, che fossero dei simboli. Ma di che cosa?”

Qualche tempo dopo, dopo aver visto un’illustrazione di un utero con le tube di Falloppio, ecco l’improvvisa illuminazione:

“Sembrava esattamente l’immagine simbolica centrale intorno a cui ruotavano tutte le altre su cui avevo riflettuto a lungo. Insieme, in quel contesto, formavano un sistema decisivo e coerente di generazione.”

……….

Un po’ alla volta Dorothy cominciò a riconoscere il sistema coerente di simboli che si dipanava lungo migliaia di anni dalle grotte del Paleolitico Superiore fino alla fine del Periodo minoico a Creta. La base di questa lunga durata andava cercata nella motivazione che la sosteneva: quelle rappresentazioni simboliche erano la manifestazione del primo impulso religioso umano e ponevano l’eterna domanda sulla natura dell’essere, le domande senza tempo sulla vita e la morte che è alla fine la sorgente di tutte le religioni.

Mentre Dorothy scriveva i suoi saggi del 1981 (Simboli di vita e di morte a Catal Huyuk e I dipinti parietali di Ghassul), scoprì The Gods and Goddesses of Old Europe (1974) di Marija Gimbutas Scrisse immediatamente a Gimbutas per esprimerle gratitudine per aver trovato nel suo libro conferme a molte delle sue intuizioni. Finalmente si incontrarono a Los Angeles nel 1985 e cominciò così un’intensa amicizia di ispirazione reciproca. Marija Gimbutas fu molto stimolata dall’interpretazione data da Dorothy del bucranio – la testa di toro con le grandi corna ricurve – come simbolo degli organi riproduttivi femminili e per entrambe quella immagine diventò una chiave per comprendere l’uso di altre metafore di generazione. L’interpretazione di Dorothy è citata e discussa in Il Linguaggio della Dea (1989), in La Civiltà della Dea (1991) e in Le Dee Viventi (1999) in cui Dorothy è riconosciuta come fonte di questa intuizione.

Nell’articolo intitolato “The Symbolism of the Ancestors” (1998), Dorothy scrive:

“Il potere del simbolo sta nella sua semplicità. … Fu grazie alla capacità dei simboli di esprimere diversi livelli di significato, molto prima dell’invenzione del linguaggio scritto, che nacque una iconografia religiosa che potesse essere trasmessa oralmente e visivamente da una generazione all’altra. Queste immagini simboliche che hanno radici nel profondo della psiche umana formarono le fondamenta dello sviluppo culturale per migliaia di anni. Risuonano ancora oggi nella nostra psiche.”

Dopo una vita intensa e creativa di viaggi, ricerche mirate, scrittura e messa in forma artistica delle sue visioni, le sue condizioni di salute ebbero un peggioramento: per decenni era riuscita a tenere sotto controllo il deficit polmonare grazie al potere del suo spirito appassionato …..

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Sempre Glenda Cloughley ricorda “l’incrollabile senso di rispetto e stupore di Dorothy davanti alla bella e ordinata integrazione tra psiche e cosmo, tra mondo interiore e mondo esterno. La sua estetica era imbevuta di quella che, con riferimento ai Nativi australiani, è stata chiamata Coscienza Sognante”. Ha parlato anche “del suo intuito inusualmente acuto e raffinato. Affinato esteticamente e spiritualmente dalla pratica artistica e intellettualmente dall’amicizia e collaborazione con Marija Gimbutas a partire dal 1985, il suo stato elettivo era la meraviglia, dove Aristotele dice inizi la filosofia.”

Dorothy lascia a noi questo messaggio:

“Assicuratevi di avere un sogno e seguitelo. Non permettete agli ostacoli di bloccare il vostro cammino, la vita è piena di ostacoli da superare ma si crea spazio intorno a loro quando esercitiamo il diritto di scelta. Soprattutto, imparate a fidarvi della vostra Voce Interiore … arrendetevi nelle braccia dell’Universo e abbiate fiducia!