Ninfe ed acque in Sicilia. Una relazione sacra – Barbara Crescimanno

Altare in terracotta con triade divina, Gela (500 a.C)

«Chi, fra i Greci, poteva vantarsi di conoscere i nomi di tutte le ninfe? Erano le divinità di tutte le acque correnti, di tutte le sorgenti, di tutte le fonti. Non le ha prodotte l’immaginazione ellenica: erano al loro posto, nelle acque, fin dal principio del mondo; dai Greci ricevettero forse la forma umana e il nome». Così si legge in Eliade (1992: 211).  Come scrive la Larson nella monografia a loro dedicata, le Ninfe – venerate con nomi e peculiarità differenti in tutta l’area del Mediterraneo e dell’Antica Europa – sono state trascurate dagli studiosi, pur essendo fortemente presenti nella vita devozionale quotidiana (soprattutto femminile) della koinè ellenico-mediterranea. Lo studio di questo tipo di pratiche, parte essenziale di qualsiasi forma di relazione al sacro, ha ricevuto un’attenzione decisamente minore rispetto a quella per le teologie e per i testi sacri.

«Gli studiosi occidentali di storia delle religioni hanno erroneamente attribuito gli atti di devozione primariamente al popolo e alle donne, piuttosto che alle élite, e hanno ragionato secondo un modello gerarchico che ha valorizzato l’apprendimento intellettuale interiore del divino rispetto alle esperienze emozionali e alle espressioni esteriori e materiali di pietà»<fn>Larson 2001: VIII (traduzione mia)</fn>
Quelle che i Greci hanno chiamato Ninfe sono divinità o semi-divinità femminili, plurali<fn>«Le Ninfe prendono un nome quando entrano in un racconto, quando partecipano alla vita di un eroe o di un dio, quando diventano eponime di città, in una parola quando devono essere riconosciute da estranei, le Ninfe ‘di famiglia’ non ne avevano certo bisogno» (Cordano 2015: 90). Cfr. anche Aspesi 2013.</fn> e ‘collettive’, legate ad aspetti del mondo naturale come montagne, grotte, alberi e selve  – ma soprattutto acque – e presenti come guide in ogni momento cruciale di passaggio dei cicli femminili dell’esistenza.<fn>Le troviamo anche a Creta, collegate ad Eleuthija – dea minoica del parto, poi integrata nel pantheon greco – e alla Signora del Labirinto, così come più tardi accompagneranno Artemide, dea ellenica protettrice delle donne partorienti. Su un’origine preellenica delle Ninfe, si veda Untersteiner (La fisiologia del mito 1972: 297 e nota 43) e Aspesi, 2011.</fn> Le ‘care’ Ninfe<fn>«Io supplico Ermes Nomio, e Pan, e le care Ninfe» (Aristofane, Thesmoforiazuse  977-78). Una modalità di relazione che testimonia una familiarità, un affetto, e un contatto quotidiano che difficilmente si riscontrano nel relazionarsi alle grandi divinità olimpiche, come testimonia anche Timeo, quando racconta che era costume venerare le Ninfe katà tàs oikìas: casa per casa, all’interno di un gruppo familiare.</fn> raccontano di un culto familiare, di una relazione individuale col sacro, la stessa suggerita dalle centinaia di rappresentazioni di cosiddette Veneri paleolitiche, statuette di dimensioni ‘intime’ e pensate, probabilmente, per un culto personale<fn>«L’immagine della ‘dea’ mi appare oggi talora fuorviante, perché ha già in sé alcune delle caratteristiche di Dio (per esempio, l’attribuzione di un potere sovra-umano e un rapporto gerarchico tra l’umano e il divino) che non sono le caratteristiche peculiari di una più antica visione del sacro» (Percovich, 2007: 16). Le divinità delle acque sono simili all’elemento dal quale nascono e dal quale si distaccano solo parzialmente, e mai in modo definitivo. La loro esistenza non è ‘divina’ nello stesso modo di quella degli dèi che assumono personificazione chiara e distinta, ma sono solidali con l’elemento primordiale di cui sono costituite e che rappresentano, e operano il bene e il male con imparzialità. Questo carattere sarà conservato da altre figure femminili loro epigone, come le fatae della tradizione celtica, le Donni di fora siciliane, etc.</fn>.

Tra i molteplici aspetti della figura delle Ninfe<fn>Per uno studio approfondito sul tema vedi Larson 2001.</fn> ci interessa, in questo articolo, quello acquoreo: mari, fiumi, laghi, paludi e soprattutto le sorgenti alle quali esse sono legate. In greco non esiste una divinità dell’acqua. Le Ninfe assumono la personificazione di fonti e sorgenti accompagnandosi talvolta ad altre divinità, con maggior frequenza femminili, di cui potevano formare il corteggio; personalità sincretistiche legate ad aspetti di fertilità e a connotazione ctonia: prima di tutto Demetra e Kore; ma anche Artemide, nel suo aspetto iniziatico legato al momento del parto e al passaggio di status –  sia maschile che femminile – dall’età fanciullesca a quella adulta.<fn>Artemide signora degli animali, dei boschi e dei terreni non coltivati (quindi anch’essa al confine tra mondo civilizzato e mondo selvatico).</fn>.

Il legame delle Ninfe con le acque è descritto dalle cosmogonie: secondo Esiodo esse sono figlie di Oceano e Teti<fn>Esiodo, Teogonia, vv. 534-583. Per Omero, Oceano è l’origine degli dèi, e l’origine di tutti (Iliade, XIV, versi 201 e 246).</fn>, come tutti i fiumi e le sorgenti. La tradizione delle acque primordiali come matrice universale, principio di ogni cosa e di ogni essere vivente, da cui nascono i mondi e alle quali tutte le forme tornano, si trova in un notevole numero di varianti culturali<fn>Cfr. Eliade 1992</fn>.
Se dalle acque si nasce, l’immersione in esse simboleggia «la regressione nel preformale, la rigenerazione totale, la nuova nascita, perché l’immersione equivale ad una dissoluzione delle forme, ad una reintegrazione nel modo indifferenziato della preesistenza. E l’uscita dalle acque ripete il gesto cosmogonico della manifestazione formale» (Eliade 1992: 193).
Le Ninfe partecipano di questa essenza acquorea, e questo legame è fortificato anche da una relazione concreta e allo stesso tempo simbolica con le acque del parto. Il sangue divino, l’ichòr omerico, è anche il liquido amniotico, quello che scorre dalla vagina delle partorienti quando ‘si rompono le acque’<fn>Il sangue divino è descritto di colore pallido, simile al miele. La coincidenza è curiosa, dato il legame delle Ninfe con questa sostanza sacra (cfr. Aspesi 2011). Ancora più curiosità suscita un altro significato che il termine ichòr veicola: il sangue – stavolta putrefatto – dei serpenti, animali anch’essi simbolicamente collegati alle Ninfe. Ma questa è un’altra storia…</fn>. L’acqua di sorgente è l’acqua del ventre della Madre nel quale ogni cosa ha origine, e i luoghi da cui essa fluisce sono punti liminali di confine e di collegamento tra il mondo umano e il mondo infero, altrimenti separati. L’acqua sorgiva è ancora più carica simbolicamente quando sgorga all’interno di grotte, simboli della porta di comunicazione tra i mondi, della ‘vita-oltre-la-morte’, luoghi di sacralità naturale. Le Ninfe (che abitano le grotte) sono esseri che stanno al confine tra i mondi, e fungono da accompagnatrici privilegiate in questo passaggio.
Se l’acqua è germinativa, la pioggia è portatrice di fertilità. Come le fonti e i pozzi sgorganti dalla Terra sono percepiti come espressione di potenze divine femminili, le acque celesti e fluviali sono riconosciute come elemento maschile e seme fecondante, di un’inesauribile potenza generatrice. E poiché l’acqua ha valore sacro in quanto elemento cosmogonico, valore sacro e divino hanno anche sorgenti e fiumi, sue manifestazioni, che finiranno poi per diventare epifanie locali indipendenti<fn>Nullus fons enim non sacer (Servio, Eneide VII, 84).</fn>.

Alle divinità acquoree femminili è riconosciuto il potere di dare (e ri-dare) la vita in un contesto in cui dimensione sacra e profana dell’esistenza non sono ancora scisse. Se ne trova testimonianza nelle comunità preistoriche e protostoriche precedenti alla transizione dal Paleolitico al Neolitico, cioè quel passaggio da stili di vita nomadi a stili di vita stanziali legati alla coltivazione e all’allevamento, in cui l’acqua diviene fondamentale per il ciclo agricolo<fn>Le Ninfe, che mal si adattano alla vita di città e che restano sempre ai confini tra il mondo agricolo civilizzato e quello selvatico, conservano un sapore (ed un sapere) arcaico pre-cerealicolo. La loro relazione con le acque sorgive, non canalizzate e non “addomesticate”, ne rinforza il legame con la sfera della natura e del selvatico.</fn>. Ma questa idea perdura fino in età storica: ancora per Eliano<fn>Claudio Eliano, filosofo e scrittore romano in lingua greca (I-II sec. d.C.)</fn> le sorgenti sono donne. I fiumi sono invece rappresentati come androposopi, metà tori, metà uomini o ragazzi. Ne troviamo tracce nella monetazione di molte colonie siceliote in cui vengono rappresentate insieme Ninfe e divinità fluvial<fn>Sull’Isola esisteva un forte legame tra fiumi e Ninfe, talvolta padri e figlie, spesso amanti. La monetazione attesta anche l’importanza delle Ninfe come numi tutelari delle città di cui erano eponime (ovvero che da loro e dalle loro fonti prendevano il nome). Le acque di fonte hanno una valenza magico-cultuale e un valore funzionale per la colonia, soprattutto nelle fasi iniziali della fondazione. La prima preoccupazione per la sopravvivenza degli insediamenti era garantirsi il controllo delle fonti d’acqua, provvedendo in un secondo momento alla gestione idrica con opere di canalizzazione: una commistione di utilizzi funzionali e cultuali, ma anche politici (per la valenza politica della monetazione con rappresentazioni di Ninfe, cfr. Salamone 2011). Tra le coppie di amanti siciliani ricordiamo: Segesta e il Crimiso, Ciane e l’Anapo, Kamarina e l’Ippari, Eurymedosa e il Selinos a Selinunte; nel Crimiso, ma anche nel fiume Gela e nel Pantagia (Sr) vivevano le Naiadi. Il Simeto era padre di Ninfe.</fn>. L’acqua è quindi percepita come elemento sacro, legato alla vita, alla morte, alla rinascita; inoltre, in quanto capace di rigenerare, diventa sostanza magica e medicinale per eccellenza: accanto a quelli fecondati vi troviamo poteri di guarigione e di purificazione.

La Grotta del Ninfeo adiacente al Teatro Greco, Siracusa. La fonte è alimentata dalle acque dell’Acquedotto Galermi, condotta idrica di epoca greca

Elementi costitutivi di questo insieme simbolico, le Ninfe siciliane sono legate alla nascita e alla cura degli infanti come madri o nutrici, come kourotrofe: allevano bambini destinati a divenire dèi o eroi locali<fn>In quanto madri degli eroi eponimi fondatori di molte colonie, o come eponime esse stesse, possono essere considerate le antenate della tribù o della gens della loro città.</fn>; in quanto portatrici di ri-nascita, presiedono ai rituali legati ai momenti di passaggio dall’adolescenza all’età adulta, poiché la loro natura le rende divinità della morte iniziatica; sono familiari compagne della vita quotidiana, dalla nascita fino alla morte degli individui<fn>Questo nonostante la loro natura ambigua e dunque pericolosa: le Ninfe attirano e spaventano, vengono amate e odiate. Curano i bambini ma li rapiscono, e possono ucciderli. Possono ammaliare ma anche far impazzire…</fn>.
Il primo impiego rituale dell’acqua è costituito da forme di immersione o abluzione a valenza religiosa: nei rituali legati alla Parthenia; nei riti di passaggio che comprendevano ad esempio il dono dei capelli al fiume; nel bagno di purificazione prima del matrimonio o per il parto; nelle abluzioni per usufruire delle capacità fecondatrici delle acque. Il bagno e nuove vesti rappresentavano il primo momento della consacrazione individuale, preliminare alle altre attività rituali<fn>Sul piano umano, l’immersione equivale simbolicamente alla morte o al tornare al momento prima della nascita: ciò che viene immerso annulla la sua ‘storia’ e ne viene restaurata l’integrità. Tornando nelle acque amniotiche del ventre materno divino si è liberati da qualsiasi segno, qualsiasi ‘peccato’, e si può rinascere puri. Le abluzioni mondano dalla colpa, dalla pazzia, dai processi di disintegrazione fisica o mentale, preparano ad avvicinarsi al ‘sacro’. Ancora oggi si usa l’acqua benedetta per il battesimo, o ci si segna con l’acqua presa al fonte battesimale all’ingresso in Chiesa (cfr. Eliade cit.)</fn>. L’acqua più potente era considerata quella sempre rinnovata, in movimento, che non aveva il tempo di contaminarsi: per questo l’immersione nelle sorgenti, nei fiumi o direttamente in mare. L’immersione in acqua marina in particolare era ritenuta capace di infondere energia vitale: si praticava l’immersione di statue (di Cibele, Afrodite, Athena, Hera…)<fn>Cfr Eliade (1992: 202) ma anche Buttitta (2014: 284) per l’uso siciliano di ‘fare il bagno’ alle statue dei santi.</fn> per ripristinarne la ‘verginità’; i mystai di Eleusi, ornati di mirto, si bagnavano nel mare prima di prendere parte ai Misteri.

Le Ninfe (e Artemide) erano le divinità a cui si dedicavano gli oggetti legati all’infanzia nel momento di passaggio al mondo degli adulti: al momento delle nozze venivano donati i giocattoli (crepitacoli, sonagli, palle da gioco) e il tympanon, simboli dello status verginale<fn>Negli anni Cinquanta del secolo scorso il Tiby testimonia che ancora «il tammureddu è per eccellenza strumento femminile, anzi strumento da ragazze. Diceva cinquant’anni fa un Mazarese ad Alberto Favara: “Qui il passante, udendo un tammureddu, dice: Jamu a vidiri sta picciotta chi sona”» (Favara, 1957: 102)</fn>. Lavacri ed abluzioni erano pratiche purificatorie essenziali anche per preparare i defunti alla loro nuova dimora e per permettere un viaggio sicuro nell’aldilà per i propri congiunti. Aspersioni e libagioni venivano compiuti anche successivamente ai funerali, sulle tombe. L’acqua segnava il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti, a livello rituale, funzionale e simbolico<fn>Si pensi alla credenza, nella mitologia greca, che i defunti dovessero attraversare un fiume per poter entrare nel regno dei morti. La credenza nelle acque ctonie è l’espressione di una concezione tripartita del mondo in cui la comunicazione tra i differenti mondi esistenti (l’infero, l’umano, il superno) era considerata possibile. Il lago di Pergusa, dalle acque profondissime, che a causa delle emissioni sulfuree di alghe della famiglia delle Chromatiaceae cambia periodicamente la colorazione delle sue acque in un rosso purpureo; l’antro che Ade aprì presso la fonte della Ninfa Ciane per sprofondarvi dentro con Kore; i laghi sulfurei dei Palici, figli della Ninfa Talia, sono considerati altrettante porte di ingresso verso il mondo infero.</fn>. Porfirio, citando Teofrasto<fn>Porfirio (II-III d.C.), nel De abst. II, 20.</fn>, testimonia dell’antichità di quest’uso:

«Gli antichi sacrifici erano per la maggior parte compiuti con sobrietà. Sono sobri quei sacrifici in cui la libagione è fatta con l’acqua. Poi le libagioni vennero fatte con il miele<fn>Abbiamo già accennato sopra come il miele fosse legato alle Ninfe. Anche Pausania (V, 15, 6) considera l’offerta di miele come un costume antico, ‘archaion tina tropon’.</fn>, poiché prima ricevemmo questo liquido preparato per noi dalle api; in terzo luogo, le libagioni si fecero con l’olio, e al quarto posto, con il vino»

I riti di purificazione si dovevano svolgere presso i Ninfei, santuari in cui sono state ritrovate tracce di culti tra i più diversi: gli archeologi dicono che le Ninfe avevano una grande capacità di “accoglienza”, da cui nascevano sincretismi così forti con divinità sicule, sicane, fenicie, romane, da rendere difficile spesso discernere quali fossero i culti originari dei luoghi stessi.  Il Ciaceri ipotizza che «le divinità delle fonti avessero un posto ancor prima che nell’isola si facesse sentire l’influenza della civiltà greca»<fn>Ciaceri (2011)</fn>: alla fonte Aretusa, come ad Akrai e Kasmenai, potrebbe essersi verificato un processo di assimilazione di numi indigeni. Nel caso di Anna e delle Paides, delle Meteres, delle Theai Agnai, i Greci hanno verosimilmente adottato divinità a loro precedenti senza mutarne il nome. Anche Diodoro presenta le Ninfe come originarie dell’Isola, nel momento in cui sono loro ad accogliere Atena, Artemide, Eracle facendo sgorgare, per compiacerli e ristorarli, sorgenti d’acqua<fn>Diodoro IV, 23 e V, 3.</fn>. Timeo, storico siceliota citato da Ateneo, racconta come «fosse costume in Sicilia offrire sacrifici alle Ninfe di casa in casa e passare l’intera notte, ebbri, vicino alle loro statue e danzare attorno alle divinità»<fn>Ateneo di Naucrati F 32 = Athen. VI, 56: 250 AB. Il liquido inebriante poteva essere verosimilmente idromele, in tempi arcaici; vino in epoca più recente, quando il culto ha iniziato ad essere associato a quello di Dioniso. Forme di celebrazioni simili sono testimoniate anche dalle raffigurazioni di danze di Menadi e Satiri sulla ceramica siceliota, come ad esempio sul cratere ritrovato a Canicattini (De Cesare 2001: 386 e sgg., citato in Portale 2009: 28 nota 2).</fn>.

Diversamente che per le grandi divinità del pantheon greco, i cui culti avevano sede presso i grandi templi poliadi, i Ninfei sono di solito associati a luoghi naturali e raramente hanno strutture architettoniche imponenti o evidenti: li troviamo sui monti, nelle grotte e vicino all’acqua, in luoghi presso cui sono stati ritrovati accumuli di oggetti votivi di fattura popolare, prevalentemente in terracotta (statuette, vasi, hydrie, lucerne, pesi da telaio). Quando troviamo Ninfei in zone urbane, essi sono legati ai Santuari delle divinità poliadi di cui le Ninfe formano il corteo, ma per la maggior parte sono santuari periferici, extraurbani o rurali, legati ad un culto popolare. Come racconta Menandro nel Dyskolos, i fedeli – uomini e donne – sono soliti vegliare nelle feste notturne in onore delle Ninfe bevendo e danzando accompagnati da auloi, tamburelli, castagnette, cembali; i sacrifici sono offerte di miele, latte, semi, frutta, talvolta sacrifici animali. Da altre fonti sappiamo che il culto loro tributato poteva prevedere la creazione di giardini curati in onore delle divinità, e di spazi (choròs) apprestati per le loro danze<fn>Cfr. Cordano, 2015; Larson 2001.</fn>.

Tuttavia, quando parliamo di sorgenti sacre, non sempre si tratta di acque potabili. L’ambiguità che caratterizza queste figure divine è concretamente visibile nel loro collegamento sia con le paludi (in cui sono presenti aspetti benefici e portatori di vita insieme a quelli malefici dei miasmi e della decomposizione) che con le acque vulcaniche termali o sulfuree, cariche di odore e gusto spesso sgradevoli quando non tossici, che vengono associate alla morte e alle potenze sotterranee.
Le più antiche menzioni dello zolfo nel mondo greco si riferiscono al suo impiego in pratiche magiche e di purificazione rituale<fn>Iliade XVI, 228; Odiss. XXII, 481 e 493; Teocrito XXIV, 95 e sgg; Zosimo 2,5 p. 67,19; Plinio Nat. Hist. XXXV, 50; Dioscoride, De mat. Med. V, 107.</fn>; l’uso di questo minerale in medicina e farmaceutica è largamente documentato dall’età ellenistica in poi. La sua denominazione più antica, theìon (zolfo, o vapore di zolfo), è lo stesso termine con cui viene indicata la divinità<fn>Secondo il pensiero antico lo zolfo possiede il principio del fuoco: della stessa sostanza sono costituiti i fulmini, emblemi divini di fecondità e sacralità: quando essi cadono odorano di zolfo e risplendono della sua luce (cfr. Giustolisi 1995)</fn>. Le aperture verso il sottosuolo da cui fuoriescono vapori o acque termali e sulfuree sono dunque considerate porte di ingresso per il mondo infero. Le Ninfe sono, in Sicilia, le divinità protettrici o creatrici di questi luoghi, come per le fonti di Himera e Segesta, le cui sorgenti termali sono state rese celebri dalla mitologia<fn>Per nominare solo le più conosciute. Il territorio siciliano è disseminato di sorgenti termali o sulfuree legate direttamente o meno al culto delle Ninfe: il santuario di Fontana Calda a Butera, i bagni greci di Gela, le Salinelle di Paternò, il santuario di contrada Tumazzo a Palma di Montechiaro, il lago di Naftia a Palagonia, il lago di Venere a Pantelleria, le terme di san Calogero a Lipari… Diodoro riporta che «molti vengono in Sicilia dagli stranieri paesi per far uso dei nostri bagni e son guariti da loro malori più prestamente che l’avessero pensato». Diodoro (lib. V, cap. 10).</fn>.
Una delle caratteristiche delle Ninfe è la capacità di profetare<fn>Cfr. Aspesi 2011</fn>. Alcuni studi suggeriscono che i greci utilizzassero, tra i metodi per indurre stati non ordinari di coscienza funzionali alla divinazione, anche l’inalazione di una mistura di gas tossici di origine geotermica con effetti psicotropi o euforizzanti. Anche l’iperventilazione controllata, o al contrario la carenza di ossigeno e un incremento di biossido di carbonio, possono avere effetti allucinogeni; secondo la tradizione delfica la Pizia, ad esempio, era in uno stato di ‘enthusiasmòs’ provocato dai vapori sotterranei<fn>Cfr. Ustinova (2009); Roux (1976), citato in Teti (2003: 59). Per un uso della respirazione controllata come tecnica per l’induzione di stati non ordinari di coscienza, cfr. gli studi di Grof (2010). Esempi in Sicilia di tecniche di divinazione legate al mondo femminile sono la tradizione della Sibilla lilibetana e la congregazione degli indovini Galeoti, collegati al culto della dea Ibla.</fn>.

La religiosità incentrata sulle acque si è adattata a culture diverse nel tempo; gli schemi rituali permangono – se ritenuti efficaci – anche nelle culture folkloriche moderne, inseriti all’interno (ma talvolta anche all’esterno) delle pratiche connesse al culto di Madonne e Santi. La devozione a questi “santuari dell’acqua” dedicati a divinità femminili mostra, secondo alcuni autori, un’impressionante persistenza pur nella trasformazione delle prassi, in contesti in cui l’acqua ha rivestito un ruolo essenziale sia per gli aspetti della vita quotidiana che nelle pratiche di culto, e in cui non è sempre possibile discernere l’una dalle altre<fn>Non si può sempre separare nettamente un uso solo funzionale da una caratteristica cultuale dell’elemento acquatico, soprattutto in una mentalità in cui la religiosità è presente in tutte le manifestazioni della vita quotidiana. Il senso del sacro degli ‘antichi’ non è facilmente comprensibile da una mentalità contemporanea abituata a ricondurre le motivazioni di ogni azione umana solo alla necessità di strategie per la sopravvivenza e per l’ottenimento di risorse alimentari.</fn>.
Non sempre tale continuità è verificabile e il dibattito sulla questione è ampio e ancora in corso<fn>cfr. Buttitta (2014)</fn>; tuttavia, a partire dalle evidenze documentarie e archeologiche, si può lasciare aperta la possibilità di immaginare un percorso che attraversa i millenni. Atti conciliari e sinodali, sermoni ecclesiastici, prescrizioni della Chiesa ai parroci, ma anche documenti ‘laici’ come i Capitolari Carolingi o le normative Liutprandee, condannano le pratiche legate al culto di fonti ed acque, testimoniandone al tempo stesso la persistenza <fn>«Nec arbores debent Christiani vota reddere nec ad fontem orare» (‘I cristiani non devono offrire voti agli alberi né pregare le fonti’). Sancti Cesarii Arelatensis, Sermones. LIV, 5-6 (citato in Buttitta, 2011: 79)</fn>; esse saranno prima perseguite, poi assorbite e rielaborate dalla Chiesa in un’opera di ri-funzionalizzazione dei culti che conserva la sacralità legata a specifici luoghi, ma la riconverte al culto cristiano.

Il secolo dei Lumi assesterà altri duri colpi a queste credenze di stampo ‘animistico’<fn>«La superstizione e l’ignoranza ne hanno forse troppo consacrato l’uso. Gli antichi, dice Plinio, credevano che una divinità tutelare […] presedesse alla custodia di ciascheduna sorgente di acque minerali» Alibert 1817 (citato in Campisi, 2015: 33)</fn>, purtuttavia continueranno ad esistere, nella pratica folklorica europea, fonti in cui le donne sterili vanno a bagnarsi o a bere le acque per essere fecondate<fn>Il Ryolo (1794: 18-19) ci testimonia di un caso del genere alla fine del ‘700: «L’Acque di Gela [erano] celebri per le due Fontane […] delle quali, secondo scrive il P. Aprile, e Mario Arezio, una aveva la facoltà di fecondare le sterili, e l’altra di render sterili le feconde».</fn>, o in cui vanno a aspergere il seno per stimolare la produzione del latte; pozzi nei quali gli ammalati vengono tuffati perché guariscano dalle malattie o per proteggersi dal malocchio; fontane o fiumi che risanano. Così come si continueranno ad adornare con ghirlande di fronde e fiori i pozzi e le fonti ritenuti sacri, o a considerare terapeutiche, magiche o divinatorie le acque, soprattutto nel periodo del solstizio d’estate, dedicato in epoca cristiana al culto di san Giovanni<fn>In alcune province della Spagna, alla vigilia del 24 di giugno, dalle fonti sorgevano ninfe e dame incantate. Caro Baroja (1979) citato in Buttitta (2014: 256). Cfr. anche Pitrè e la credenza nella ‘monacella della fontana’ (Pitrè 1889: IV, 198); cfr. Ryolo 1794, Eliade 1992, Buttitta 2014.</fn>. Qui non solo l’acqua di fonte (in alcuni casi preparata con erbe) ma anche la rugiada diveniva sostanza potente, come accadeva per le donne di Chiaramonte che, salendo sulla montagna sovrastante il paese alla vigilia della festa di Maria della Purificazione (il primo di febbraio), recitavano un’orazione prima di passare le mani nella rugiada e segnarsi tre volte con il dito bagnato<fn>«Iamuninni a la muntagna / c’è Maria ca n’accumpagna / n’accumpagna stamatina / ppi cugghirini l’acquazzina / L’acquazzina è n’à spunzera / Biniricitini li pinzera / L’acquazzina è ni la menta / Biniricitini i sintimenta / L’acquazzina è n’è violi / Biniricitini li paroli / L’acquazzina è ni li puma / Biniricitini la pirsuna / L’acquazzina è ni li satri / Biniricitini bedda Matri: / c’è Lucifru ca ni ‘ntanta / Biniricitini, Matri Santa», Guastella (1973)</fn>.

Aretusa su moneta, Siracusa 400 a.C. ca

Delle numerose attestazioni di persistenza del culto legato alle acque sull’Isola non è possibile dar contezza all’interno di un così breve scritto, ma alcuni esempi vale segnalarli. Ben conosciuta è la storia della ‘fonte sibillina’ inglobata nella chiesa di San Giovanni, a Marsala, le cui acque «avevano la virtù di far vaticinare li Bevitori» (Ryolo 1794: 20), e che è ancora oggi mèta di pellegrinaggi. La cripta della chiesa «coincide con una grotta entro la quale si trova un pozzo con una sorgente di acqua dolce periodicamente caratterizzata da movimenti di natura idrogeologica interpretati ierofanicamente, e dall’esecuzione di pratiche divinatorie e terapeutiche di preminente competenza femminile» (Giacobello, 1997: 95). Gli elementi del culto delle Ninfe sono agevolmente riconoscibili: un esempio notevole di sincretismo religioso e di persistenza cultuale<fn>«‘Sibilla’ è più la definizione di una competenza che un nome di persona, e fu utilizzato per designare numerose e differenti profetesse» (Larson 2001: 12, traduzione mia). Del legame delle Ninfe con la profezia abbiamo accennato sopra. «A Lilibeo il culto greco della Sibilla si sovrappose a un primitivo culto locale, che aveva per centro una caverna inondata d’acqua; i Protosiculi vi praticavano ordalie o incubazioni profetiche; la Sibilla vi ha dominato e profetato all’epoca della colonizzazione greca; in tempi cristiani vi si perpetua la devozione a san Giovanni Battista» (Eliade 1992: 208-9). Vedere anche in Ryolo (1794), Giacobello (1997), Buttitta (2014).</fn>.

Un documento interessante riguarda una credenza rimasta invece esterna alla tradizione cristiana, testimonianza di un legame tra acque e musica: «Credevasi pure superstizioso il Fonte di Caronia vicino al Castel di Tusa, perché le sue acque erano tranquille, e quiete, se alcuno era presente, e stava mutolo; se però quello sonava, o cantava, si sollevavano, imitando le note di quel sono<fn>«Fons alius quietus, et tranquillus cum filetur, si insonent Tibiae exultabundus ad cantum elevator, et quasi mimetur dulcedinem vocis ultra margines intumescit». Solino. Apud Cluverio Lib. II cap. IV fol. 168. Citato in Ryolo (1794:10-11). Ne parla anche il Fazello (Storie di Sicilia, I vol. pag. 62). La notizia è riportata anche dal Cav. Antonio Busacca (Dizionario geografico statistico e biografico della Sicilia preceduto da un compendio storico siculo, Messina 1858)</fn>.  La fonte Alesina, così chiamata dal Fazello e ai tempi in cui egli scrive (1817) già non più esistente, si trovava nello stesso territorio in cui la monetazione di Alaesa ci attesterebbe un culto alla Ninfa Sikelia<fn>La sua testa coronata di mirto è effigiata in alcune monete alesine. Secondo il Pace (1935) la testa della Ninfa non aveva valore religioso ma politico (cfr. Rizzo 2012: 210, e nota 2-3 pag. 218)</fn>.

Il legame tra acque e musica lo abbiamo incontrato già nei contesti rituali prenuziali, in cui le fanciulle in età da marito portano alle Ninfe e ad Artemide i loro tympana. Le migliaia di terrecotte votive di suonatrici e danzatrici ritrovate presso i ‘santuari dell’acqua’ in tutto il territorio siciliano testimoniano di esecuzioni coreutiche e musicali e del legame delle Ninfe con la musica e la danza<fn>Per uno studio esaustivo sulla presenza di coroplastica con tema musicale, cfr. Bellia (2006/7)</fn>. La stipe di Fontana Calda presso Butera, ad esempio, è un santuario di epoca greca (attivo dal VII sec. a.C.) dedicato a pratiche religiose attinenti al mondo femminile. L’analisi dei materiali votivi ci permette di attribuirne il culto a varie figure: Artemide, Kore e Demetra, come anche a una Thea Polystephanos (‘dea ricca di corone’); ma ci permette di ipotizzare, anche in questo luogo, lo svolgersi di rituali con danze e canti femminili, insieme ad abluzioni e riti purificatori con l’acqua, che non possono non richiamare la consuetudine delle donne di Butera di bagnarsi, almeno fino al secolo scorso, con l’acqua di Fontana Calda prima del parto<fn>Vedi Adamesteanu 1958, citato in Portale (2008:46)</fn>.
Altri e numerosi esempi si potrebbero presentare per raccontare di come esistesse, nell’Isola, una relazione sacra – si potrebbe dire animistica – con il territorio, a partire dai suoi aspetti acquorei; le Ninfe sono inseparabili, in questa visione del mondo, dal ‘paesaggio’: ne sono l’essenza. Ciò che per noi è divenuto un soggetto gradevole da ritrarre o fotografare, o una fonte di ricchezze da sfruttare economicamente, era venerato, insieme alle sue rappresentanti divine, per la sua natura sacra. Reminiscenze pagane? Curiosità da eruditi? Certo testimonianza di un rapporto decisamente più rispettoso e attento di quello che contraddistingue l’attuale relazione essere umano/natura<fn>Cfr. il dibattito ecofemminista sull’economia e sui temi della decrescita, a partire ad esempio dall’analisi del testo di Carolyn Merchant, La morte della Natura (1988).</fn>, e che può aiutare a far nascere dubbi e a fornire spunti di riflessione su quale possa essere un differente, più sano, modo di relazione con il mondo.

Dialoghi Mediterranei, n.24, marzo 2017
Barbara Crescimanno


Barbara Crescimanno, fondatrice e coordinatrice del gruppo di ricerca antropologica ed etnocoreutica TrizziRiDonna su danze, canti e pratiche tradizionali siciliane legate al mondo femminile, opera come ricercatrice, cantante, percussionista, danzatrice, docente. È co-fondatrice a Palermo della Scuola di Musica e Danza Popolare del Centro delle Arti e Culture Tavola Tonda, all’interno della quale conduce i corsi di Introduzione alle danze tradizionali europee e del Sud Italia.