Antonella Barina: Maria che del mare hai il nome – Nadia Lucchesi

Pubblichiamo l’introduzione di Nadia Lucchesi al libro di Antonella Barina Maria che del mare hai il nome. Il libro è stato  presentato a Palazzo Candiani, sabato 28 ottobre scorso a Mestre.

Antonella scrive di Maria, lo fa con i suoi versi che spesso mi incatenano e mi incantano, risuonano nella mia testa e mi colpiscono al cuore. Perché ritrovo me stessa, la mia storia, la mia necessità, le mie domande, le mie risposte, quando ne ho.
Rivivo la mia devozione di bambina, nel cortile delle suore canossiane alla Giudecca, dove ho passato tutti i pomeriggi della mia infanzia: pregavo in fila con le altre davanti alla madonnina, la cui statua ricompariva anche in una piccola cappella. Lì accedevo solo se me lo meritavo e qualche volta è accaduto che le portassi le mie bambole, per farle benedire da Lei, sempre disponibile.

Poi l’infanzia è svanita e anch’io mi sono dimenticata di Maria.
Ma la sua immagine ha lavorato per anni dentro di me e mi è ricomparsa con la potenza di un appello ineludibile. Come scrive Antonella, al di là della storia che di lei ci è stata trasmessa (Ci serve un mito di maternità e castigo dissero gli Evangelisti), Maria risveglia in noi, “Monache senza convento Eremite in cella Combattenti sempre sul campo”, la memoria della forza ereditata dalle tante Vergini Madri, che l’hanno preceduta nei secoli.
Demetra, “donna che addolorata va cercando la figlia”; Thetis, “il mare profondo”; Asherat, Athirat, Astarte, “che dalle nostre viscere accompagni alla vita il frutto del ventre nostro e sulla creatura poni la mano santa”; Dylan, Belisama, Acionna “che le genti invocarono e invocano quando il vento scuote le vele”; Matsu, Guang-jjin, Ehuang “drago che sfiori il fragile fondo delle nostre barche disperse”; Tefnut, Nefti, Anuqet “del mare che si ritrae su se stesso”; Yamuna, Sarasvati, Ganga “che accogli le nostre ceneri bruciate dal fuoco della vita”; Arnapkapfaaluk e Sedna dell’implacabile vento del nord che vetrifica l’anima e il fiato; Ondina, Sequanna, Aquana, Anguana, tutte Dee possenti e salvifiche, che ci mostrano la luce e ci ricordano il nostro nome sacro, quello che non si dice a nessuno.

Se Maria è l’addolorata, e come noi sperimenta l’angoscia, la sofferenza, resta pur sempre colei con cui in extremis possiamo parlare.
“Maria Marina assorbì il dolore come tante ragazze madri, come “le madri ragazze che generano l’umanità e la rinnovano”. Ma ci vuole consapevolezza, non essere tra le “schiere dei servi e di quelle promosse per scipita insipienza”, saper riconoscere Colei “che danza sui nostri corpi, che l’evidente segreto a suo figlio sussurra”. (Quale sia questo segreto possiamo dirlo? Io lo sussurro: sono io che ti ho dato la vita, prima del Padre io sono Colei che è).
Antonella scrive versi a Maria e intanto non smette di interrogarsi su se stessa, anche se alcune certezze le ha: “Accetto la glorificazione partenogenetica delle dee, non l’inseminazione domestico riproduttiva”. Che è, dico io, un modo per fare definitivamente sparire la madre, per incoraggiare femminicidi, suicidi, una logica di guerra totale, prima di tutto fra i sessi.
Mentre spesso, sempre più spesso mi pare, le ragazze strapazzano l’umanità “sotto i piedi come una luna sgualcita un serpente soffocato e sotto a tutto se stesse”. Forse perché hanno dimenticato la loro origine, la loro forza, la loro bellezza, la loro sapienza e imitano, sconsideratamente, i modi degli uomini, la loro fascinazione per la morte, la distruzione.

Restiamo impotenti davanti a questa devastazione, a questo insensato sacrificio? Io non ci credo: possiamo riappropriarci della luna, vederla di nuovo brillare, come fa Antonella, ricordarci che esiste una storia non sacrificale di donne che salvaguardano la vita, la proteggono, la onorano. Anche e soprattutto nell’inferno della guerra, della desertificazione della terra e del disprezzo delle creature che come noi la abitano.
Donne che sanno continuare a ridere, anche di se stesse; donne che offrono al mondo la grazia, la gioia, che insegnano la riconoscenza verso la Madre, uno dei cui nomi è Maria.
Provo gratitudine per questa raccolta di versi, per questa memoria scolpita in parole che ci aiutano a meditare, a ritrovare la strada verso una convivenza di pace, verso un intreccio amoroso di saperi femminili, ma necessari soprattutto agli uomini, in questo tempo di deliri mortiferi.