Intervista a Max Dashu – Giuditta Pellegrini

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In giro per l’Italia per la presentazione del suo libro Streghe, della Venexia editrice Max Dashu ha incontrato le donne di Bologna, Firenze e Torino;  a Roma ha partecipato alla Goddess Conference italiana e alla fiera dell’editoria femminista, qui l’ha intervistata Giuditta Pellegrini.
Intervista a Max Dashu – di Giuditta Pellegrini
Era il 1970 quando Max Dashu fondò gli Archivi delle Storie Soppresse (Suppressed Histories Archives), una raccolta iconografica che mostra l’autorità femminile nel lungo percorso dell’umanità. 30.000 immagini provenienti da tutto il mondo, dalla preistoria fino alle società indigene ancora viventi, che testimoniano una storia negata, la cui conoscenza apre una nuova prospettiva per comprendere le divisioni di genere, di razza e di classe.

Abbiamo incontrato Max durante Feminism, la fiera dell’editoria delle donne che si è tenuta alla Casa Internazionale delle Donne di Roma dall’8 al 10 marzo di quest’anno e le abbiamo fatto qualche domanda:

Max, ci puoi raccontare come è nato in te il desiderio di creare gli Archivi?

Era il 1969, c’erano le manifestazioni contro la guerra in Vietnam e contro il sessismo. Io frequentavo l’università di Harvard e il professore di antropologia ci disse che esistevano delle società matrilineari, ma che erano del tutto insignificanti perché gli uomini hanno sempre avuto il dominio sulle donne.

Allora mi è venuto il desiderio di approfondire questo argomento, ma mi resi conto che non era possibile fare ricerca sui matriarcati senza essere ridicolizzata e ripresa dai professori, che disapprovavano questo tipo di studi. Quindi ho deciso di lasciare l’università e di proseguire come studiosa indipendente.

Così, sfruttando il fatto che avevo ancora la tessera della biblioteca, iniziai a studiare la storia antropologica e etnografica, la linguistica, cercando i registri culturali della memoria delle donne fondatrici e i luoghi in cui esistessero donne libere, non colonizzate in base al sesso.

Avevo immaginato di poterle trovare tra le popolazioni indigene e quindi ho iniziato a cercare in queste società le tracce di un altro modo di vivere, di un ordine sociale egalitario.

Ho studiato anche l’archeologia dei tempi molto antichi e ho scoperto le numerose icone femminili (preferisco chiamarle così piuttosto che Dee perché è un termine più ampio) che rappresentano la sacralità del corpo della donna, le antenate e i momenti cerimoniali, come quello di iniziazione al menarca.

Queste traccie archeologiche sono come degli specchi della cultura cerimoniale del tempo passato. Mostrano pratiche rituali che sono sopravvissute nelle popolazioni indigene. Le donne che ancora oggi si dipingono con l’ocra rossa o con l’argilla, come avviene per esempio tra gli aborigeni australiani, riflettono un atto rituale che iscrive nel corpo simboli di potere. Attraverso di esso mostrano la loro natura divina in connessione con l’amata Madre Terra.

Penso a tutti gli indigeni che in questo momento vengono privati della loro terra e che quindi non possono più iscrivere su se stessi i simboli di potere…

Infatti, anche perché il corpo nudo della donna è sentito come qualcosa di minaccioso e allo stesso tempo è pericoloso per lei essere nuda in questa società di stupro, quindi è spesso impossibilitata a praticare queste cerimonie. È qualcosa che dovremmo reclamare, invece nella nostra società tutte le possibilità ci sono precluse: il modo in cui viviamo, in cui muoviamo i nostri corpi, in cui parliamo. Dobbiamo cercare di andare oltre questi condizionamenti culturali, e i manufatti del passato possono aiutarci a ricordare che non è sempre stato così.

In tutto il mondo, in Perù come in Giappone, in Iran, nella Germania dell’Est, che si tratti di reperti archeologici o etnografici, ritroviamo sempre gli stessi oggetti: coppe a forma di seni, pietre a forma di vulve, statuette femminili, in particolare delle antenate.

Ciò che veniva rappresentato era qualcosa al di là della contingenza storica, e aveva piuttosto a che fare con la storia universale dell’umanità, con un certo modo di relazionarsi al mondo, alla natura, al ruolo delle madri ancestrali nella comunità. La storia delle donne è stata totalmente mistificata dalle dinastie di potere e le attuali generazioni hanno il compito di riportare alla luce un modo di vedere e di fare estremamente antico.

La tradizione orale, per esempio, come quella ancora in uso tra i Maori, è uno scrigno di memoria che può conservare informazioni in maniera molto accurata, perché non si tratta della storia scritta da un solo uomo che siede a uno scrittoio copiando un manoscritto, ma è tutta la comunità che partecipa alla narrazione, correggendo gli altri se non è esatta.

Quando hai iniziato a mostrare le immagini che avevi raccolto?

Nel 1973 sono entrata in contatto con una filmaker che voleva fare uno dei primi documentari femministi, e insieme abbiamo girato per tutte le biblioteche universitarie di Los Angeles cercando nei libri le immagini storiche delle donne. Il film non si è mai fatto, ma io mi sono ritrovata con circa 300 diapositive, che, insieme a quelle scattate da me, iniziai a presentare alle donne. Ogni volta che le mostravo esse reagivano in maniera molto emotiva, perché sono immagini che dimostrano che è esistito un altro modo di vivere e di organizzare le società, un tempo senza violenza o discriminazione, in cui le donne erano veramente libere (molto più di oggi, nonostante noi pensiamo di essere così liberate). Durante queste mie presentazioni c’era sempre qualcuna che chiedeva: perché non sappiamo nulla di tutto questo? Perché nessuno ci ha mai raccontato questa storia? E io sapevo dalla mia esperienza all’università che questo tipo di informazioni non erano gradite, per questo furono proibite.

Di cosa parla il tuo ultimo libro?

In questo libro (Streghe e pagane, la donna nella cultura popolare europea, Venexia Editrice, Le civette), ho analizzato le tradizioni pagane nell’alto Medioevo, in cui il cristianesimo non si era ancora imposto, e il lungo processo di demonizzazione delle streghe. Nella cultura popolare la strega era considerata come guaritrice e veggente, aveva gli stessi poteri che nei tempi più antichi erano attribuiti alla sacerdotessa o alla sciamana. Ho pensato che fosse molto importante scoprire come la cultura europea fosse diventata così tanto basata sul dominio e sull’economia estrattiva. Prima ci fu l’impero romano, poi il feudalesimo e quindi il capitalismo, ma sotto a tutto questo c’è il patriarcato. Sebbene la cultura indoeuropea non fosse già ugualitaria, non era ancora successo nella storia che venisse attaccata la conoscenza femminile e le guaritrici. I tratti della sciamana, che esistevano anche in Europa, furono demonizzati. Questo aspetto è molto importante, perché segna l’inizio di un’ideologia che portò a interpretare tutte le religioni al di fuori del cristianesimo come diaboliche, e fu la base per colonizzare le altre parti del mondo, come l’America e l’Africa. C’è un forte legame tra l’oppressione patriarcale delle donne in Europa e il sistema razzista, di casta, che soggiace al modello capitalista. Siamo abituati a pensare che sessismo e razzismo siano contrapposti, ma in realtà sono in forte relazione fra loro. Creare un’Europa gerarchica era ciò che serviva alle classi dominanti per continuare a regnare, non solo in Europa, ma nel resto del mondo, e questa ideologia venne forgiata al tempo della caccia alle streghe, in cui fu recuperata la legge romana di tortura, riscoperta dai canonici italiani a partire dal dodicesimo secolo.

Questa servì a impaurire la gente comune e a convincerla che tutte le vecchie pratiche erano diaboliche, in particolare quelle usate dalle donne, che furono additate come malefici. A forza di sentire predicare queste credenze anche le paesane stesse finirono per crederci.

Quindi la nascita del capitalismo e del patriarcato ha a che fare con il dominio della natura?

Certo. Francis Bacon e i grandi filosofi del periodo illuminista hanno relegato la natura allo stato di oggetto: una macchina priva di vita e di coscienza. Questo ha fatto sì che si dimenticasse l’antica reverenza che avevano per esempio le donne guaritrici verso la natura, e ha reso possibile che fosse violata. Da questa idea proviene la cultura di stupro estrattiva che ci ha condotto all’attuale società corporativa che sta distruggendo il nostro pianeta.

Siamo abituati a pensare che l’illuminismo sia un periodo in cui abbiamo fatto luce e capito tutto, ma in realtà è stato il momento in cui è iniziato il disincanto del mondo.

Forse è arrivato il momento di cambiare la mentalità con cui cerchiamo di dominare completamente la natura, sia nell’ambiente che in noi stessi…

Si, dobbiamo cercare di tornare a una natura non colonizzata, non addomesticata e alla nostra natura originaria; a quei principi eterni che ci permettono di comprendere la vita ad un livello più profondo e cosa è realmente importante.

Cosa auspichi per la società in questo momento?

Dobbiamo riabituarci a delle relazioni pacifiche, non gerarchiche, non basate sul dominio. Dobbiamo tornare alla terra e rinnovare il nostro modo di relazionarci con la natura, rispettandone la sacralità. Dobbiamo creare le condizioni per comprendere ogni tipo di persona, per opporci allo stupro della terra e alla cultura corporativa estrazionista. Questo va fatto non solo con l’opposizione politica, ma attraverso l’arte, la musica, la percezione. Dobbiamo fare in modo che le nostre manifestazioni diventino cerimonie di unità tra tutto il popolo, tra i molti popoli che esistono, tra razze, sessi, generi, classi. Possiamo trovare un terreno comune, perché ognuno di noi sta soffrendo a causa di questo sistema. Dobbiamo comprendere che tutti i sistemi di dominio sono collegati, ed è necessario avere obiettivi comuni e concentrarci su questi, piuttosto che sulle differenze ideologiche, perché la cosa più importante è la protezione dell’essere umano, della vita sulla terra. E nulla può esser fatto senza il riconoscimento dell’autorità femminile, fondamentale per questo. Non possiamo cambiare il capitalismo senza che le donne siano realmente riconosciute e ascoltate; che abbiano la possibilità di parlare di ciò che sentono. Siamo state silenziate per millenni, ma ora non siamo più disposte a stare zitte.

LINK: https://suppressedhistories.net/

 

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