
Intervista a Luciana Percovich di Elena Romanello
Pubblicato in nuovasocieta.it
1. Come e perché sei arrivata ad occuparti di divino al femminile?
Negli ultimi dieci-dodici anni la mia ricerca ha preso una nuova direzione – o meglio, si è fatta più radicale, nel senso che ha puntato decisamente alla ricerca delle radici, storiche mitologiche e psichiche, della nostra comune storia di oppressione. Per cercare in quell’indistinto Prima del patriarcato, prima che lo strato originario fosse nascosto o cancellato, le tracce del femminile.
Il patriarcato per le donne è stato sinonimo di negazione di valore, cancellazione di memoria, cittadinanza di seconda classe e, particolare di non lievi conseguenze, espulsione dal sacro – inteso sia come ruolo attivo all’interno delle religioni che come ruolo simbolico e cosmogonico a livello di immaginario, di Storie di Creazione. Questa nuova “radicalità” mi ha portato a interrogarmi sugli effetti della mancanza di un “divino femminile” sulla psiche più profonda delle donne, quindi sulle nostre identità e sul senso delle nostre vite. E a chiedermi se fosse stato sempre così.
E ancora, a chiedermi cosa potrebbe significare e aver significato per le donne portare dentro di sé un’immagine divina femminile. Quali creatività, risorse, speranze potrebbe dare la riscoperta del sacro dentro ogni donna. In un suo verso molto triste, Adrienne Rich constata che “la donna di cui ho bisogno come madre non è ancora nata”.
Ma è sempre stato così o è stato solo da un certo punto in poi nella storia dell’umanità che le donne hanno conosciuto la perdita disastrosa del vedersi sbarrata, preclusa, impedita nella maniera più determinata la ricerca di un’immagine di sé divina? Che solo da un certo punto in poi si sono piegate davanti all’ingiunzione di farsi subordinate all’uomo per volontà divina?
Se la presa di coscienza delle donne ha significato e ancora significa non essere d’accordo con la costruzione del mondo che ci troviamo davanti – perché priva dell’esperienza femminile del mondo e quindi profondamente ingiusta – questo non può non riferirsi anche alla dimensione e all’esperienza dello spirito, che è regolata (proprio nel senso che vengono date precise regole su ciò che si deve o no credere, pensare, provare, fare) dalle religioni. Insomma, si è trattato quasi di un ricominciare da capo, in un terreno ancora non esplorato, ma accantonato per reazione negli anni Sessanta e Settanta.
2. In tanti anni di studi cosa ti ha colpito di più?
La resistenza profonda, sia degli uomini che di molte donne, a fare propri punti di vista non previsti eppure evidenti (la vita origina da un corpo femminile) o sorretti da molte prove, se si tratta di discipline come l’archeologia, ad esempio. Lo sbarramento eretto davanti al lavoro di Marija Gimbutas è tale che ancor oggi, nel manuale di archeologia scritto da Colin Renfrew, archeologo e suo compagno di scavi per un certo periodo, tra le archeologhe del ‘900 il suo nome non è neppure citato!
3. Oggi si parla di questi argomenti, ma in maniera un po’ commerciale, nel mondo olistico o nelle fiction stile Codice da Vinci. Pensi che possa comunque aiutare?
Ho molti dubbi, perché la divulgazione che avviene a questi livelli gioca tutto sulla novità di un’idea o di un contenuto, che viene presentato come un evento sensazionale, trasformato in qualcosa da consumare velocemente e poi dimenticare subito dopo. Sia che ne venga sottolineato l’effetto “dissacratore” o al contrario “ma si è sempre saputo queste cose esistono”, non viene stimolato un desiderio di approfondire la conoscenza e di modificare, quindi, i propri atteggiamenti nella vita di ogni giorno, che continua come se l’irruzione del rimosso alla fine non spostasse niente: forse si pensa che sia troppo difficile e faticosa da reggere una “conoscenza che cambia”.
4. Che interpretazione dai all’avvento di società patriarcali su quelle matriarcali?
Come raccontano molti miti di creazione che appartengono al periodo più antico della storia dei vari popoli del mondo, all’atto di creazione femminile, che non consiste solo nel dare la vita ma anche nell’affidare agli umani le regole per continuare armoniosamente la creazione, prima o poi segue un gesto di emulazione maschile, una pulsione irrefrenabile e quasi sempre violenta o “furbesca” a mettersi al suo posto. Una pulsione ben radicata, dunque, originata dall’irrimediabile dissimmetria del nascere, donne e uomini, da corpi di donne.
Inoltre, mutamenti nelle condizioni climatiche, spostamenti di popoli, invenzioni come l’agricoltura, l’addomesticamento degli animali, la forgia dei metalli hanno spostato il sapiente ma anche delicato equilibrio su cui le società matrifocali si tenevano, ed è iniziata pressoché ovunque una lunga sfida al principio femminile e alla natura. Gli uomini hanno detto “tu sbagli”, sia alla natura che alle donne, “so io come costruire la Civiltà” e dopo qualche migliaio d’anni di questa avventura all’insegna della tracotanza e della prepotenza, senza accettare i limiti necessari alla vita su questo pianeta, i disastri si sprecano e l’infelicità, di donne e uomini, avanza inesorabile.
5. Tra i tuoi libri, qual è il tuo preferito?
Tra i libri della mia biblioteca ne ho sempre uno appena letto che mi entusiasma e che vorrei condividere con tutte/i. Per questo sono grata alla possibilità che mi si è presentata di curare una collana di testi su donne e miti, donne e spiritualità (le Civette Saggi della casa editrice Venexia, che ha iniziato nel 2005 con Quintessenza. Realizzare il Futuro Arcaico di Mary Daly). Amo molto anche leggere libri “leggeri” come i cicli di Jean Auel o di Katherine Kerr. Quanto ai libri che ho scritto, non riesco ad avere preferenze, sono molto diversi e corrispondono ad altrettanti snodi del mio percorso di ricerca.
6. Progetti e obiettivi?
In questi mesi lavoro soprattutto a un ciclo di incontri, in cerchio, sugli archetipi positivi del femminile, così come ci sono arrivati attraverso le varie mitologie. Le dee, se guardate attraverso gli strati di attribuzioni minori che sono stati poggiati loro addosso fino a intravvederne l’essenza, ci restituiscono bagliori di presenza e sapienza femminile sul mondo, che possono illuminare dentro di noi atteggiamenti e posture che ci appartengono profondamente, ed essere per noi come delle isole a cui approdare per riprendere fiato e coraggio, mentre siamo sballottate nel “mondo degli uomini” e dei “valori” maschili, che poco ci rappresentano. Per troppo tempo abbiamo riprodotto strategie di sopravvivenza più che dato forma al nostro sentire e ai nostri pensieri, da troppo tempo manchiamo di modelli positivi del femminile. Cosa possa essere davvero una donna riusciamo solo a intuirlo, per ora, così come la nostra potenza deve ancora essere sciolta dai legacci che l’hanno imprigionata o asservita ad altri.
7. Che tipo di donne si occupano di divino al femminile e ti seguono?
Per lo più sono donne molto più giovani di me, in prevalenza tra i trenta e i quaranta, una generazione che è cresciuta all’ombra di madri molto impegnate a districarsi nel mondo degli uomini, molto distratte dal proprio bisogno di trovare un modo per esprimersi. Oppure che, anche se non impegnate fuori casa, non hanno più passato, come le nonne e le madri delle generazioni precedenti, una linea limitata ma femminile di certezze e competenze. L’interruzione di questi fili nella seconda metà del secolo scorso è stata molto violenta, nel nome della modernità.
Sono splendide donne consapevoli di ciò che cercano, “meravigliosamente dotate” – come direbbe Virginia Woolf – e che avvertono acutamente il vuoto del mondo degli uomini, spiritualmente aperte e ricche di energie. Un dono della Dea.