In questo articolo cercherò di delineare i tratti principali del potere delle donne igbo[1] gruppo etnico della Nigeria sudorientale, argomento della mia tesi di laurea[2] in antropologia culturale, attraverso la lente degli studi matriarcali di Goettner-Abendroth (2012), in cui la studiosa si propone di costruire una teoria per poter “riconoscere una società matriarcale quando la incontriamo, mettendoci in grado di descriverla in modo adeguato”.
Cominciamo dal concetto di matriarcato
Nel suo saggio Goettner-Abendroth insiste sul fatto che il matriarcato non è un sistema opposto o speculare rispetto al patriarcato bensì una forma di società in cui il ruolo delle donne e delle madri in particolare è stato riconosciuto e valorizzato. La studiosa, dopo aver svolto una rilettura di studi antropologici, culturali, storici e archeologici sulle società in cui le donne hanno avuto un ruolo predominante, osserva come i pochi casi in cui studiosi/e hanno esplicitamente parlato di matriarcato siano stati osteggiati e ferocemente criticati o semplicemente ignorati.[3] Quindi, Goettner-Abendroth prosegue fornendo numerosi esempi etnografici di comunità con struttura matriarcale, tra cui i Kashi indonesiani e i Newar nepalesi, delineando un concetto di matriarcato in cui le madri sono le figure centrali nella società, dove il sistema si basa sulla matrilinearità (trasmissione per via femminile), uguaglianza di genere e infine sul potere di distribuzione economica concentrato nelle mani delle donne.
Ma ritorniamo alla mia tesi…All’epoca mi ero interessata alle peculiari dinamiche di genere e potere degli Igbo dopo la lettura di un saggio di Amadiume (1987): Male Daughters, Female Husbands: Gender and Sex in an African Society.[4] I dati che emergono dall’analisi della studiosa rivelano una società in cui le donne detenevano un grande potere che si estrinsecava in scambi di genere, il matrimonio tra donne[5] e importanti ruoli di leadership istituzionalizzati sia a livello politico che sacerdotale che le renderanno protagoniste della cosiddetta “guerra delle donne”[6] contro i colonialisti inglesi nel 1929.
La divisione di genere è una caratteristica presente in molte società: ciò che cambia sono le modalità e le attribuzioni di valore che le diverse culture assegnano a questa categoria. Ad assumere importanza sono quindi le varianti di queste divisioni che implicano e creano rapporti e relazioni di potere.
Come emerge dagli studi di diversi antropologi e antropologhe, gli Igbo del periodo precoloniale erano una società basata su una forte divisione, anzi separazione, di genere che ha portato ad un sistema di governo doppio e complementare[7]. Le leader femminili si occupavano di gestire tutta la sfera femminile, dall’esercizio del governo con relative leggi, alla gestione dell’economia, agli importanti ruoli della sfera del sacro mentre gli uomini occupavano ruoli e posizioni strettamente legate alla sfera maschile, che riguardava in linea di massima il sistema di discendenza patrilineare in cui il capo lignaggio, okpara,[8] aveva una funzione di collegamento con gli antenati e rappresentava la comunità all’esterno. Un sistema così particolare che sono state diverse le studiose che, pur non seguendo un approccio femminista, hanno deciso di svolgere le ricerche concentrandosi quasi esclusivamente sulla parte femminile della popolazione. Mba (1982) per esempio, afferma che tra gli Igbo “il sesso è stato alla base della differenziazione di ruolo, della distribuzione del potere e delle responsabilità politiche nella società [in un sistema in cui] le donne hanno agito e visto se stesse, primariamente come persone dello stesso sesso.”
Mentre Amadiume sostiene che nella società igbo la matrifocalità (la famiglia organizzata attorno alla madre e ai figli) è stata uno degli elementi chiave a dare potere alle donne giocando un ruolo centrale nelle relazioni parentali e generando un forte senso di solidarietà femminile, Green (1964) [1947]) ci ha descritto dettagliatamente le due organizzazioni separate di mogli e figlie che fungevano da trait – d’union fra i villaggi, grazie al loro ruolo politico e sociale. Secondo la studiosa anche il sistema medico rifletteva un aspetto dualistico: le donne erano socialmente considerate come guaritrici, mentre gli uomini erano gli “untori“, aggressivi e distruttori.
Il re e la regina, cariche indipendenti, governano rispettivamente uomini e donne
Particolare è il caso di Onitsha, la più ricca tra le città igbo del periodo precoloniale. La città, infatti, registrava la presenza di un Obi e di una Omu (sorta di re e regina, dove Omu significa “madre della società”),[9] che diventavano tali per elezione o decisione oracolare, non erano né sposati e né parenti ed erano affiancati da un concilio formato rispettivamente da uomini e donne che avevano il potere di sostenere le due figure nelle decisioni politiche o anche opporglisi in caso di disaccordo.
Il settore del commercio era quasi totalmente gestito dalle donne che, attraverso fiorenti scambi commerciali, avevano conseguito una notevole ricchezza, invece gli uomini possedevano la terra. Mentre nel resto del territorio le donne si occupavano sia delle coltivazioni agricole che del commercio per lo più locale, qui gestivano quest’attività quasi interamente, compreso il cosiddetto commercio a lunga distanza, più redditizio ed altrove in mano soprattutto agli uomini. Questo fatto aveva permesso loro, almeno in parte, di svincolarsi dai lavori agricoli e di arricchirsi attraverso i guadagni dei commerci, permettendo di acquisire così posizioni di notevole potere.
A livello simbolico le conseguenze di questa ricchezza si rispecchiavano ad Onitsha anche nel possesso del “bastone” e dell’avorio, il primo emblema del potere rituale, mentre il secondo poteva essere indossato solo dalle persone ai livelli più alti della scala gerarchica. Secondo Henderson (1969), la regina col suo concilio, che rappresentava e governava la parte femminile della popolazione, aveva un potere che poteva contrapporsi a quello del re. L’antropologa inoltre mette in evidenza il potere delle figlie all’interno del lignaggio patrilineare, esplicato attraverso il controllo dei funerali e dei rituali per il benessere spirituale del lignaggio. Se ne evince che il ruolo delle donne, a livello concreto (economia di sussistenza), come a livello simbolico/rituale, fosse strettamente connesso al ciclo della vita e quello della morte.
“Sitting on a man” e sciopero del sesso: le strategie difensive ed offensive delle donne
L’antropologa Van Allen (1972), confermando l’autonomia economica delle donne, identificava nei meetings/mikiri l’istituzione che garantiva il potere femminile. In queste riunioni periodiche si discuteva e si prendevano decisioni su faccende che riguardavano principalmente le donne ma anche l’intera comunità. La struttura di questi mikiri era simile a quella delle riunioni maschili in cui i leader venivano “eletti” in base a ricchezza e carisma e gli argomenti discussi erano il mercato, il commercio, questioni agricole ed i rapporti- se problematici- moglie/marito.
Se le donne ritenevano di non essere state ascoltate utilizzavano principalmente due strategie:
- “sitting on a man” letteralmente “sedersi su di un uomo” voleva dire “fare guerra a qualcuno”[10]: le donne in gruppo, armate di bastoni, andavano nella abitazione del malcapitato, colpevole di qualche negligenza nei confronti della moglie e minacciavano di bastonarlo finché l’uomo non prometteva di tornare sui suoi passi e fare ammenda.
- il boicottaggio o sciopero in cui le donne, in gruppo o singolarmente si rifiutavano di cucinare e/o di praticare sesso, andandosene via di casa.
La scintilla che scatena la guerra
Tra la fine dell’800 ed i primi del ‘900 le donne acquisirono ricchezza attraverso la lavorazione e il commercio di palma e semi da olio abbandonando l’agricoltura che era una delle occupazioni principali, mentre il possesso della terra, pur essendo a trasmissione maschile, era comunque condiviso con le donne.
I problemi cominciarono ad acuirsi quando i coloni inglesi subentrarono nel sistema politico, giudiziario ed economico locale[11] eliminando le donne dalle posizioni di potere e sostituendole con ufficiali britannici oppure con impiegati locali maschi. Nel corso della colonizzazione le donne igbo, per esempio, si videro negare anche il diritto al divorzio che nella loro società era consuetudinario. Ma la scintilla che fece scoppiare la rivolta fu la richiesta di pagamento delle tasse per il possesso della terra anche da parte delle donne, che per il resto non venivano considerate ‘cittadine’ dai coloni inglesi. Dunque, nel 1929 le donne, unite, si schierano contro gli Inglesi armate semplicemente della loro convinzione sull’invincibilità dello spirito della femminilità, e di bastoni; il loro aspetto aveva elementi che erano simbolicamente connessi alla loro identità di genere negli aspetti della maternità e della bellicosità. Questi ultimi due elementi si collegano al ruolo della donna in questa società: la gestione femminile dei rituali che riguardavano la vita e la morte e il loro diritto di muovere guerra agli uomini attraverso la pratica del “sitting on a man”.
Gli scontri terminarono nel sangue e furono un centinaio le donne che perirono o furono ferite. Questa “guerra”, che le donne igbo persero dal punto di vista militare, rappresentò però un evento talmente inaspettato ed eccezionale che spinse i colonizzatori ad attuare delle (minime) riforme del loro sistema di governo introducendo alcuni miglioramenti a favore delle donne. Che del resto, rappresentarono una forza politica fondamentale nel processo che condusse alla decolonizzazione negli anni ’40 e ’50.
Per concludere, gli elementi che fanno pensare ad una società matriarcale sono tanti e significativi. Gli Igbo precoloniali erano una società in cui le donne occupavano posizioni politiche, sociali ed economiche, che le “sorelle” europee, potevano solo immaginare, e che avrebbero impiegato decenni ad ottenere. Un potere che gli inglesi hanno contribuito a limitare pesantemente senza riuscire a cancellarne le tracce.
Continua a leggere l’approfondimento…
Arianna Carta
dottoranda in antropologia culturale presso l’Università del Litorale di Capodistria
Note:
[1] Il mio lavoro di tesi si concentra su documenti storico-antropologici che descrivono il periodo precoloniale e i cambiamenti avvenuti durante la colonizzazione inglese.
[2] Questioni di genere e potere femminile: la popolazione nigeriana igbo (1800-1930), Università degli Studi di Firenze.
[3]Oltre all’archeologa Gimbutas, la paleontologa Marie Koenig, il paleolinguista Richard Fester, gli antropologi David e Doris Jonas, gli studiosi di miti Robert Graves e Edwin O. James, per esempio.
[4]Non tradotto in italiano, lett: Figlie-maschio, mariti-femmina: genere e sesso in una società africana. Questo saggio è stato premiato nel 1989 con il “Choice Outstanding Academic Book of the Year Award”.
[5] Per un approfondimento su scambi di genere e matrimonio tra donne rimando al mio articolo.
[6] Che le fonti inglesi, nel tentativo di sminuirle, hanno descritto come “riots”, rivolte. “La guerra delle donne” è il termine usato dalle fonti Igbo.
[7] Chiamato da Okonio (1976) “Dual-Sex Political System”.
[8] Ad eccezione della città di Onitsha, in cui le primogenite avevano gli stessi diritti dei figli maschi.
[9] Chuku (2009).
[10] Strategia alla quale Van Allen collega la “guerra delle donne” del 29-30.
[11]Il primo contatto con gli Inglesi avvenne nel XIX secolo attraverso il fiorente commercio degli schiavi e, dopo la sua abolizione nel 1807, gli scambi commerciali si incentrarono soprattutto nei derivati della palma da olio, i vari tipi di legname e le spezie. Nel 1900 gli Inglesi fecero di quell’area il Protettorato della Nigeria sud-orientale, de facto colonia britannica. Nel 1928 con il pagamento delle tasse reso obbligatorio per tutti gli uomini, gli Igbo divennero ufficialmente una colonia inglese.
Bibliografia
Amadiume, Ifi. 1987. Male Daughters, Female Husband’s: Gender and Sex in an African Society. London: Zed.
Chuku, Gloria. 2009. “Igbo women and political participation in Nigeria, 1800s-2005“, in The International journal of African historical studies 42.1 81-103.
Goettner-Abendroth, Heide. 2012. Le società matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo. Roma: Venexia.
Green, Margret M. (1964) [1947]. Igbo Village Affairs. London: Frank Cass and Co Ltd.
Henderson, Helen Kreider. 1969. Ritual Roles of Women in Onitsha Ibo Society. Berkeley: Ph.D. Dissertation, University of California.
Okonio, Kamene. 1976. “The Dual Sex Political System in Operation: Igbo Women and Community Politics in Midwestern Nigeria”, in Women in Africa: Studies in Social and Economic Change, by Hafkin N. J and Bay E. G. Stanford: Stanford University Press.
Van Allen, Judith. 1972. “‘Sitting on a Man’: Colonialism and the Lost Political Institution of Igbo Women”, in Canadian Journal of African Studies 6.2, 165- 181.
Van Allen, Judith. 1976. “Aba Riots or Igbo Women’s War? Ideology, Stratification and the Invisibility of Women”, in Brettel C., Sargent C. (a cura), Gender in Cross-Cultural Perspective, Prentice Hall, Upper Saddle River, 448-503.