
A pochi giorni dalla assegnazione-evento del Premio Strega al libro di Ada D’Adamo Come d’aria – Elliot Edizioni, spiace alquanto notare articoli e post di dissenso su social e giornali. Si va dall’imputare più o meno velatamente la vittoria alla prematura scomparsa dell’autrice, fino ad interrogarsi se un testo simile possa dichiararsi appartenente alla letteratura.
Che è un po’ come chiedersi se le nuvole fanno parte del cielo o i coralli del mare.
I premi letterari non mi hanno mai entusiasmato particolarmente, soprattutto quelli più prestigiosi, e resto ancora piuttosto convinta di quelle parole scarne di Calvino, quando nel ’68 rifiutò il Premio Viareggio con un telegramma…”Ritengo definitivamente conclusa epoca premi letterari rinuncio al premio perché non mi sento di continuare ad avallare con il mio consenso istituzioni ormai svuotate di significato”. (Anche se aveva già vinto nel ’57…)
Saranno cambiate le cose da allora?…
Magari ci saranno delle eccezioni, chissà…
Certo è che quello che è successo alla settantasettesima edizione dello Strega di quest’anno è qualcosa che merita un’attenzione particolare, perché ha vinto un libro di un’umanità assoluta e contemporaneamente politico e di denuncia.
Con la sua doppia storia di dolore e resistenza la scrittrice abruzzese originaria di Ortona, non ha messo a nudo solo se stessa e il proprio vissuto, ma l’intera società in cui viviamo, dove la disattenzione o la negligenza di un medico possono decretare destini tragici con assoluta e colpevole noncuranza.
In cui le donne che hanno figli con gravi handicap scontano tali realtà nella più totale solitudine, e dove le falle del nostro sistema scolastico colpiscono più duramente proprio chi avrebbe maggior bisogno di attenzione e “sostegno”.
E’ un libro sulla scelta…
Sulla scelta dell’amore, del tempo in cui avere o non avere un figlio, e sugli strappi che questo può comportare in una coppia.
Sulla dolorosa scelta dell’aborto, terapeutico o meno, e su quanto questo resti come pietra nei cuori e nei corpi delle donne, indipendentemente dalle ragioni che lo hanno determinato.
E’ un libro sulla danza, sui corpi che danzano, su quelli che si ammalano, sul ritmo e sul battito che sempre la vita, pure quando è ferita, cerca di trasmetterci.
E’ un libro sul Tempo, quello vissuto e quello che resta, e sulle passioni che ci abbracciano e ci consumano, e probabilmente anche su quanto quel che ci succede nel nostro mondo spesso sia collegato a quel che succede poi nel nostro corpo.
E’ un libro sull’Amore assoluto e sulla sua capacità rifondante dopo gli abissi in cui ci sprofonda.
Ed è un libro che parla anche di malattia, certo, e quindi della vita e della morte.
E’ questo che forse disturba?…
Alla fine degli anni ’70 Stefano Benni disse che lo Strega era “sottocultura”, una fetta di torta che si spartiscono le grandi case editrici…magari molto spesso, forse non sempre, ma questa volta a niente sono servite le solite cordate delle grandi case editrici sui libri da “spingere” …
E’ arrivata lei, con la sua piccola Elliot, con le sue 100 copie all’ora vendute in rete, portata come da un’ondata gigantesca e nascosta, direttamente dal basso, oltre le giurie tecniche, oltre quelle degli “amici della domenica”, oltre i mercanti del settore, ed ha fatto letteralmente saltare il banco.
Come solo una outsider sa fare.
Brunella Campea