Paola dei miracoli

Non avrei mai immaginato che un film potesse avere un tale impatto ed un’utile e potente visibilità, ben maggiori di tante parole, trasmissioni televisive, articoli, libri, manifestazioni nelle piazze e panchine rosse.

Sto chiaramente riferendomi al film di Paola Cortellesi “C’e ancora domani” e alla valanga di consensi di pubblico che ha generato. Insieme, come al solito, ad una comunque bassa percentuale di dissenso. Per cui non direi affatto che sia un film divisivo. Anzi, tutt’altro.

Tralascio lo specifico della trama, in quanto già sufficientemente in circolazione ovunque e quindi per non spoilerare altro, dato che il film è presente ancora in tante sale, ma è notevole che sia stato già venduto in 15 Paesi del mondo ed abbia già superato i 20 milioni di incassi.

Eppure questo film, nell’ottobre del 2022, non ottenne il contributo del Ministero della Cultura, allora guidato dal senatore DEM Dario Franceschini, che oggi chiarisce che accettò l’esito della commissione pur non condividendolo. Film bocciato in quanto “progetto di opera non giudicata di straordinaria qualità artistica in relazione a temi culturali, a fatti storici, eventi, luoghi o personaggi che caratterizzano l’identità nazionale”.

Eppure dei 15 componenti della commissione ministeriale chiamata ad erogare contributi mirati, ben 7 erano donne. I film finanziabili erano solo tre, ma ne erano stati presentati cinque (da una lista di 51), tra cui, ultimo, quello di Paola Cortellesi, oltretutto l’unica regista donna, che si è quindi poi ritrovata esclusa ed automaticamente a fondo lista.

Eppure a quanto pare il karma ci ha messo il suo poderoso zampino, sollevando una grandissima onda di consenso ed identificazione femminile nei confronti del film.

Una storia narrata in bianco e nero e ambientata nella seconda metà degli anni ’40, chiaro omaggio al cinema neorealista che la Cortellesi conosce benissimo e che si guarderebbe bene dallo scimmiottare, così come un omaggio delicato alla Magnani risulta anche da alcune caratteristiche di Delia, sempre giocando in punta di piedi su di un filo sottile, ma ben teso.

Un film che vede l’origine nei racconti delle donne, parenti e non della regista, donne del popolo, umili, sottomesse e puntualmente offese, dalla vita e dagli uomini che vivono loro accanto. Un grande lavoro risultato quindi dalla rielaborazione di un racconto orale e corale.

In scena le senza voce, le invisibili e quindi dimenticate. Da tutti, allora come oggi.

Paola Cortellesi ha provato a raccontarle, scommettendo sulla possibilità di un riscatto per loro, e avvolgendo su questo l’intera storia.

E’ un film che ho trovato coraggioso e originale, nell’uso delle musiche, nella comicità tenera e voluta che ogni tanto emerge nel registro narrativo, nonostante la figura di un maschio e maschile totemico, patriarcato assoluto.

Il film spiazza quando ci illude e rinchiude, ancora una volta ed anche da semplici spettatrici, a quella che sembrerebbe una svolta drastica e personale, ma che leghiamo pur sempre all’amore per un uomo. E invece qui la storia svolta e diventa politica e rivelatrice di un portato più grande, necessario e rivoluzionario, che viene fuori con tutta la sua potenza, quella del voto che, nel giugno del ’46, le donne esercitarono per la prima volta e con tutta la sua salvifica illusione.

Particolare è l’uso delle musiche o dei gesti surreali, come l’accenno di ballo durante la violenza, peraltro invenzioni queste già usate in precedenza e con gli stessi attori protagonisti, nel film “Figli”, sceneggiato da Mattia Torre.

I segni della violenza che appaiono e scompaiono sul corpo di Delia non sono affatto una superficiale parodia, ma un preciso simbolismo su come i segni e le cicatrici sul corpo delle donne non guariscono mai, restando dentro, seppure invisibili ai più.

A dispetto di alcune critiche sulla figura della protagonista, come se Delia non avesse un suo “percorso” o risoluzione nella storia, credo al contrario che l’esplosione a metà film rappresenti proprio questo, la decisione di cambiare un percorso già visto per sua figlia, che così viene salvata da un comune destino. Quindi un chiaro gesto di autodeterminazione, come quello finale, che vede unite madre e figlia, indispensabili l’una all’altra, insieme a tutte le altre donne attorno a loro.

Eppure non basterà un film.

Le donne sono circondate da indifferenza o palese aggressività ogni santo giorno della loro vita, risultato di un patriarcato che le avvinghia e schiaccia.

E risulta ancora difficile comprendere che un tale problema e sistema strutturale e culturale non potrà essere modificato che da interventi su tutti i livelli della nostra esistenza.

Interventi radicali. Inderogabili. Profondi.

Agire e lottare per ottenerli lo dobbiamo a noi stesse, e a quell’antica scommessa di riscatto di quelle donne lontane che ci hanno preceduto.

Dovremo continuare a ricordarle, ognuna di noi potrà fare questo lavoro di ricerca, anche personale, per onorare le nostre antenate dimenticate e recuperare il senso della loro vita. Cerchiamo quelle nostre madri, nonne, zie, reali o putative, e riscopriamo la loro storia…probabilmente non ne abbiamo ancora noi stesse piena conoscenza e consapevolezza.

Dovremo attrezzarci per compiere miracoli nelle nostre genealogie femminili.

Con tutti i mezzi che ci saranno necessari.