Ōkami – Il videogioco della Grande Dea Amaterasu – Teresa Apicella

La copertina del Videogioco dal sito delle Capcom

 Ah… Amaterasu. Origine di tutto ciò che è bene e madre di noi tutti. Il vortice turbinante del male in basso mi ha condotto su quest’altura. Da questa cima io osservo il mondo laggiù e il suo declino. Se c’è bisogno ancora una volta del mio potere, io, Kabegami, dio delle mura, offrirò con piacere un ponte di speranza al regno lì in basso!1

(Kabegami in Ōkami)

“C’era una volta un piccolo villaggio dal nome Kamiki, dove ognuno, dagli abitanti agli animali, viveva in pace e felicità. Ma un giorno, il mostro leggendario Orochi tornò in vita e lanciò una maledizione sull’intera regione. Tutto ciò che aveva un po’ di vita sparì dalla faccia della Terra, e al suo posto rimase una spaventosa, arida terra desolata.”

Così si legge sul sito ufficiale del gioco Ōkami, un videogioco giapponese del 2006, divenuto poi un cult per gli appassionati del settore videoludico.

“La terribile maledizione si diffondeva per tutta la regione, trasformandola in un vero inferno in terra, infestato da innumerevoli mostri vaganti.

Ma c’era una speranza. La grande dea Amaterasu, incarnata in un lupo.”

“Ora Amaterasu si imbatte in un folletto fatato di nome Issun, e insieme intraprendono un’avventura, poiché Amaterasu intende riacquisire i 13 poteri del Pennello celestiale e sconfiggere Orochi una volta per tutte.”

L’antefatto della storia, ricco di riferimenti mitologici liberamente rimaneggiati, è il seguente.
Amaterasu, che si trovava originariamente nelle lande celestiali, come signora dei “Celestiali” e protettrice dei mortali, combatté Orochi, un serpente a otto teste che devastava le lande del cielo, ispirato probabilmente al mostro mitologico Yamata no Orochi.
Waka, un personaggio che appartiene al videogioco, suggerisce alla Dea che Orochi possa essere ucciso soltanto da Nagi, un umano. Così la Dea lo precipita sulla Terra ad attendere la nascita di quest’ultimo.
Intanto, tutti i Celestiali muoiono in un’imboscata tesa da Yami, il dio dell’eterna oscurità, mentre sulla Terra, gli abitanti del villaggio Kamiki offrono ogni anno una vergine al mostro Orochi, in occasione di un festival, durante il quale appare ogni volta un misterioso lupo bianco di nome Shiranui.
Nagi, innamorato di Nami, la fanciulla che sta per essere sacrificata, combatte Orochi insieme a Shiranui, che muore, disperdendo i 13 poteri del Pennello celestiale. Nagi e Shiranui riescono a sigillare il mostro, ma non a ucciderlo.

La storia vera e propria del videogioco comincia 100 anni dopo la morte di Shiranui, perché il discendente di Nagi, chiamato Susanoo – come il dio delle tempeste nella mitologia giapponese, recatosi nella Caverna della Luna, porta via la spada Tsukuyomi, che sigillò il mostro Orochi.

Orochi viene liberato e si impadronisce di nuovo del Nippon, il Giappone. Anche qui, il sapiente riferimento rimanda alla mitologia giapponese, nella quale Tsukuyomi è il dio della Luna, fratello della Dea del Sole Amaterasu.

È a questo punto che il folletto Issun fa resuscitare Amaterasu nella forma del lupo Shiranui, per intraprendere l’avventura del gioco, che terminerà con la battaglia finale tra Amaterasu e Yami, dio dell’oscurità.

All’inizio del gioco, il giocatore si trova catapultato, nel corpo del lupo Amaterasu, in un mondo minaccioso, che, abbandonato nell’oscurità, ha perso la fede negli dèi.

Obiettivo del gioco è recuperare i 13 poteri del Pennello celestiale, custoditi da 13 dèi in forma dei 13 segni dell’oroscopo cinese, che nel gioco sono figli di Amaterasu, tra cui Kabegami, in forma di gatto, che pronuncia la frase che apre questo articolo.

Il Pennello magico è presentato come uno strumento divino, capace di creare dal nulla ciò che serve, e ricomporre costellazioni.
La “lode” nei confronti del lupo Amaterasu gioca un ruolo chiave, poiché rappresenta il graduale ripristino della fede nella Dea.

Questi elementi rendono il videogioco un cammino per la rinascita del culto di Amaterasu. Impersonando la Grande Dea, il giocatore riporterà il mondo in una nuova era di pace e prosperità.

Il finale è emozionante, con fini allusioni al mito della Dea, e momenti molto mistici e commoventi. E forse, chi resterà fino alla fine, troverà risposta alla domanda: «Chi è a raccontare la storia?»

Breve storia e alcune informazioni su Ōkami

Con un sapiente gioco di parole, tipico della lingua giapponese, il nome del gioco Ōkami può significare sia “lupo” che “grande Dea”[2], ed è un atto d’amore per la grande Dea del Giappone di una delicatezza fuori dal comune.

È uscito in Giappone nel 2006, poi in America ed Europa nel 2007, per diventare un cult. Ideato da Hideki Kamiya per l’azienda giapponese Capcom, oggi appartiene alla rosa dei videogiochi che, pur essendo ormai datati, vengono acquistati e giocati ancora, perché riconosciuti come vere e proprie opere d’arte, sottraendosi alla veloce obsolescenza che di solito questo settore comporta.

La grafica che, rinunciando a uno stile 3D realistico, richiama lo stile pittorico sumi e, rende il videogioco un prodotto senza tempo, e gli conferisce un’atmosfera mistica.

Ōkami è una delle tante testimonianze della vitalità e della profondità spirituale della cultura giapponese, che sono giunte in Occidente grazie ai moderni mezzi di comunicazione.
Leader dell’animazione e dell’industria videoludica, il Giappone moderno incanta il mondo con la sua visione magica e spirituale del cosmo.

Il gioco Ōkami è una quintessenza dell’anima giapponese: spirito antico espresso nella più moderna delle tecnologie.

Il Giappone di oggi, infatti, grazie a un flusso costante di prodotti artistici e videoludici, ha conquistato una vasta porzione del pubblico occidentale, soprattutto giovanile.
Ma, nonostante questa profusione di creatività che ha conquistato il cuore di molti, il suo “mistero” rimane, per i più, insondabile, non tanto per la lontananza geografica – e quindi culturale, quanto per quella fatica che fa il mondo occidentale a comprendere la fonte spirituale e sacrale della creatività, di quel fenomeno che noi chiamiamo “fantasia” o “immaginazione”.

Cercando di guardare in profondità, sembra di vedere, in questo racconto, il Giappone che, dopo un secolo e più di “modernizzazione” forzata e perdita di identità, lotta per recuperare le proprie tradizioni, l’antica e misteriosa religione dalla forte impronta sciamanica, incentrata su una grande divinità femminile, la grande Dea che splende nei Cieli, Amaterasu.

Una delle caratteristiche quasi incredibili ai nostri occhi, è la libertà con cui gli autori rielaborano il mito, aggiungendovi divinità, poteri e manifestazioni non canoniche, rivolgendosi per bocca di Issun alla dea in forma di lupo con nomignoli teneri come “palla di pelo” e vezzeggiativi (Amako in giapponese, Ammy nella versione in inglese), senza per questo scalfire la maestà della Dea. Un approccio al divino di certo molto diverso dal nostro, che, sulla scia della religione cattolica, tendiamo ad allontanare il sacro da noi stessi e dall’esperienza quotidiana, delegandolo ad altri e coprendolo con un alone di intangibilità e distante reverenza.

Come di fronte alla semplicità profondissima dell’haiku, rimaniamo senza parole di fronte all’esperienza giapponese del sacro, che appare semplice e immediata, benché sommamente rispettosa.

E questo è solo uno dei tanti “misteri” a cui ci affacciamo, nel contatto con la cultura del Giappone, un paese dalla storia sanguinosa, eppure attraversato da una corrente di desiderio d’armonia e comunione col divino, che dimostra la grande capacità di resistenza del femminino sacro, nonostante i duri colpi del patriarcato.

Il mito di Amaterasu

Come accennato, lo Shintō rappresenta un caso unico al mondo di una grande religione nazionale dal forte attributo sciamanico, incentrata su una divinità femminile, Amaterasu Ōmikami, “La Grande Dea che splende nei cieli”.

Le fonti principali che riportano il mito di Amaterasu sono le cronache del Kojiki e del Nihongi.

Secondo il Kojiki, Amaterasu sarebbe nata dall’occhio sinistro del Padre Izanagi dopo la morte della Madre Izanami; mentre, secondo il Nihongi, sarebbe stata Izanami a partorirla.

Invocata con gli epiteti di Cielo splendente, Colei che regna sulle pianure dell’Alto Cielo, il collo adornato dalla sacra collana a cinque fili fatta di perline magatama che richiamano gli spiriti, Amaterasu veglia sulla Terra, guidando alcune delle più antiche arti umane, praticate sin dalla notte dei tempi per rendere la Terra un posto abitabile e a nutrire la popolazione, quali la costruzione dei canali di irrigazione, la coltivazione del riso, e non da ultimo la tessitura. Secondo il mito, infatti, ella ama intrattenersi con le sue donne nella stanza della tessitura, nel Palazzo celestiale.

Amaterasu viene venerata nei templi Shintō come regina di tutti gli dèi.
Con la loro tipica architettura essenziale in legno, che si inserisce nell’ambiente naturale evidenziando quest’ultimo come il vero luogo sacro, i templi Shintō in onore di Amaterasu conservano lo specchio sacro, ovvero il goshintai, letteralmente “corpo divino”, manifestazione tangibile della Dea.
Il santuario principale dello Shintō è dedicato a lei: si tratta del santuario di Ise, che si trova nella prefettura di Mie.

È ritenuta antenata della famiglia imperiale e il suo simbolo, il simbolo del Sole, è contenuto nella bandiera del Giappone.

Secondo Heide Göttner-Abendroth, Amaterasu, figlia della madre ancestrale Izanami, sarebbe stata in origine un’antenata intermedia, comune alle tribù del Giappone, prima di essere ripresa come antenata della famiglia imperiale.

Il mito racconta che a suo fratello Susanoo fu assegnato il dominio del mare e delle tempeste, ma, dispiaciuto che alla sorella fosse assegnato il dominio più importante, tramò per sottrarle il suo potere.

Prima le fece credere di volerla informare della sua futura visita alla madre Izanami, ma giunse facendo un tale baccano che la Dea comprese che era venuto a sfidare il suo dominio e si preparò alla difesa, indossando la sua faretra dalle mille frecce e la spada.
Vedendola così, Susanoo negò di essere venuto con cattive intenzioni e suggerì invece che si unissero per avere dei figli: dalla loro unione nacquero tre dee.
Ma le sfide di Susanoo non erano finite: otturò i canali di irrigazione con cumuli di terra cosicché l’acqua non potesse fluire e dissetare le piante, calpestò poi ogni singola pianta di riso finché le piantagioni non furono distrutte.

Infine, come ultimo affronto, scuoiò un cavallo per poi gettare la sua carcassa nella stanza della tessitura. Il peso del cavallo, che si abbatté sui telai e sui tavoli della sala, mandò le donne tessitrici nella Terra dei Morti.

Irata per tutti questi avvenimenti, Amaterasu si rifugiò nella sua grotta celestiale, nascondendo il proprio splendore. Così la Terra piombò nell’oscurità; il riso, fonte di nutrimento e vita per tutto il Giappone, smise di crescere.

A nulla valsero le preghiere degli dèi, raccolti intorno alla sua grotta, perché uscisse. Punirono Susanoo, bandendolo dai cieli; fecero anche sì che tutti i galli cantassero insieme, perché il gallo è animale sacro al Sole.

Alla fine, gli dèi decisero di convocare la dea sciamana Ama no Uzume, la quale si esibì in una danza estatica, durante la quale lasciò andare gradualmente tutti i vestiti e finì per scoprirsi nuda. Gli dèi allora scoppiarono in un riso fragoroso, e Amaterasu, incuriosita da tutto quel baccano, sbirciò fuori dalla caverna, chiedendo cosa stesse mai accadendo.
Ama no Uzume le disse che gli dèi gioivano perché avevano trovato una nuova Signora, più bella e luminosa di lei. La Dea allora si sporse fuori dalla grotta per vedere chi fosse costei. Così la Terra fu illuminata di nuovo dalla splendida luce della Dea, la quale, una volta fuori dalla grotta vide il proprio riflesso in uno specchio che gli dèi avevano preparato, e così scoprì che la nuova Signora degli dèi altri non era che lei stessa.

Merlin Stone aggiunge che la storia della fuga di Amaterasu nella grotta celeste veniva raccontata all’arrivo dell’inverno, quando le notti si allungano a scapito del giorno.
Come nota Luciana Percovich, la storia di Amaterasu ricorda molto quella della dea Demetra e di sua figlia Kore che, rapita da Ade, fa piombare il mondo nel freddo e nell’oscurità.

Si tratta, in entrambi i casi, di storie che simboleggiano l’arrivo dell’inverno, dell’oscurità crescente e dell’addormentarsi della Natura in attesa del risveglio.

Allo stesso modo del racconto di Ade che rapisce Kore, inoltre, la storia di Amaterasu contiene il racconto mitizzato di un fenomeno di patriarcalizzazione, evidente sin dalle differenti versioni a proposito della sua nascita, nel Kojiki e nel Nihongi, che lasciano intravedere una versione precedente, che riconosce la potenza creatrice della Madre Izanami, e una successiva, nella quale viene accresciuta l’importanza e la potenza creatrice del Padre Izanagi, a scapito della Madre.
Ma l’elemento più iconico è rappresentato dalla ribellione del fratello Susanoo: si può leggere, nell’episodio dell’otturamento dei canali di irrigazione, la distruzione dei campi di riso e della carestia che ne consegue, i segni di un’invasione.
Nell’episodio del cavallo, infatti, Heide Göttner-Abendroth ravvisa una reminiscenza dell’arrivo in Giappone di invasori patriarcali, cavalieri provenienti dalla Corea.
Il passaggio alla Terra dei Morti delle donne della stanza della tessitura potrebbe rappresentare la distruzione delle tribù a discendenza matrilineare.

La rivolta di Susanoo, però, riesce solo a metà.
Dopo vari tentativi, alla fine, gli dèi si rendono conto, infatti, che è necessario l’intervento di una sacerdotessa donna, Ama no Uzume, che con la sua danza estatica, chiara reminiscenza di antichi rituali sciamanici, si dimostra l’unica capace di richiamare la Dea, facendo sì che esca fuori dalla caverna.

L’episodio di Ama no Uzume, riportato dai più antichi resoconti storico-mitologici del Giappone, sancisce il compromesso di una cultura fortemente improntata ai valori materni con una cultura patriarcale che violentemente vi si sovrappose, l’impossibilità di fatto del patriarcato di colonizzare completamente l’immaginario giapponese.

L’anima sfuggente del Giappone moderno

Molti avvenimenti sanguinosi separano il Giappone di oggi dalla sua più genuina tradizione matricentrica.

Le testimonianze di un’antica tradizione matriarcale del Giappone vengono dalle cronache cinesi, che riportano di sacerdotesse regnanti, le himiko, fino al III secolo d. C.
Il periodo di massima fioritura di tale sistema sociale coincide con il periodo yayoi, che va dal 300 a. C. al 300 d. C., quando cominciò l’unificazione del paese sotto il clan patriarcale Yamato.

Gli eventi storici del Continente influenzarono da allora in poi sempre più potentemente le isole del Giappone, che in seguito subirono soprattutto l’influenza del grande impero patriarcale cinese.
Non da ultimo, negli ultimi due secoli il Giappone ha subito una massiccia intrusione da parte della cultura anglosassone – anch’essa, con l’economia di mercato, in sostanza, una forma avanzatissima e aggressiva di patriarcato -, che ha portato cambiamenti repentini, con l’ingresso di nuove tecnologie, modelli culturali, abitudini, a una velocità vertiginosa.
Tutto ciò ha messo a dura prova la tenuta dell’antico sistema di valori, trasformando un paese dall’aspetto rurale e dalla cultura profondamente tradizionale in un’isola ipertecnologica fondata sull’energia nucleare, la stessa che fu responsabile della catastrofe di Hiroshima e Nagasaki.

Oggi il Giappone appare agli occhi degli Occidentali, con il loro malcelato spirito coloniale, un paese che fa l’occhiolino all’ipertecnologia e al progresso, ma sembra aver imparato a tener celato il proprio cuore.

Sarà forse perché, pur avendo attraversato uno dei più dolorosi passaggi al patriarcato, continua a conservare un attaccamento più o meno consapevole all’antica metafisica matricentrica, incarnata dalla Grande Dea Amaterasu, il cui volto luminoso splende ancora nei cieli del paese che ancora oggi viene chiamato “il Sol Levante”.

 

Letture citate e consigliate

Siti internet
Per informazioni su Okami:

okami.fandom.com
okami-game.com

Il Tempio di Ise:
worldhistory.org/Ise_Grand_Shrine/

Libri
Heide Göttner-Abendroth, Le società matriarcali, Venexia 2013;
Patricia Monaghan, The New Book of Goddesses and Heroines, Llewellyn Publications, 1997;
Merlin Stone, Ancient Mirrors of Womanhood, Beacon Press 1990;
Luciana Percovich, Colei che dà la vita – colei che dà la forma, Venexia, 2009.

Resoconti storico-mitologici
Kojiki. Un racconto di antichi eventi, Marsilio 2006.
Nihongi: Volume I – Chronicles of Japan from the Earliest Times to A.D. 697, Cosmo classics 2013.

Note
1 Tutte le traduzioni dal gioco in inglese sono mie.
2 Potendo fare affidamento sulla funzione distintiva degli ideogrammi, la lingua giapponese è ricca di parole che hanno pronuncia identica ma grafia differente.
Nel caso di ōkami, la grafia per lupo è 狼, mentre quella per Grande Dea è 大神.

Teresa Apicella
Nata come classicista, ha conseguito di recente il Dottorato in Linguistica. Durante gli studi classici, dopo un periodo di smarrimento e assenza di vie, ha cominciato a seguire le tracce di un’altra storia dietro la storia ufficiale, ha abbandonato i sentieri tracciati dal potere maschile, per percorrere i sentieri ricurvi dell’eterno femminile.