Recensione del libro di Maria Milagros Rivera Garretas: Il piacere femminile è clitorideo, traduzione di Barbara Verzini, Edizione indipendente, Collana A mano, 4, Madrid e Verona 2021
Maria Milagros Rivera Garretas non è una studiosa di anatomia, ma una fine storica, un’esperta filologa, un’affermata docente universitaria: il titolo del libro non rimanda ad un trattato di ginecologia, che come Mary Daly ci ricorda è una scienza nemica delle donne, ma è un richiamo pressante a riconoscere non solo la particolare conformazione fisica femminile, ma soprattutto la straordinaria capacità di creare, nel piacere, corpi e pensieri in piena autonomia, senza dipendenza dalle esigenze fisiche e dal simbolico propri di ciascun uomo.
Infatti, ciò che dovrebbe essere naturale e immediato è per una donna del tempo presente estremamente difficile: non solo viene educata alla scuola del “pensiero del pensiero”, cioè l’insieme di idee che gli uomini si tramandano l’un l’altro da secoli in una interrotta serie di citazioni autoreferenziali, ma viene costantemente allontanata dal fulcro originario della propria esperienza, il sentire che si apprende dalla madre. Quella di carne e ossa e quella simbolica che tutte e tutti ci precede.
Recuperare per la politica il vincolo millenario tra il sentire, l’anima e il piacere femminile: questo è lo scopo dichiarato del libro di M. M. Rivera Garretas (p. 17), che dimostra come la sessualità femminile sia stata colonizzata attraverso l’invenzione perversa della vagina nel XVII, secolo tristemente famoso perché fu l’apice della caccia alle streghe, e dell’orgasmo vaginale, letteralmente progettato dal nulla dalla medicina maschile e dalla psicoanalisi dal XVIII secolo in poi. Lo scopo di questa “trovata” era legittimare la penetrazione, una pratica spesso pericolosa e rischiosa, che porta con sé gravidanze indesiderate, dunque aborti, infezioni e malattie mortali come la sifilide. Ancora oggi noi confondiamo la vulva con la vagina, che non compare in alcuno dei trattati di medicina medievale (non in Trotula, non in Ildegarda Di Bingen) né nei libri di Amore delle donne, in cui si parla solo di vulva e di matrice come organi delle viscere femminili.
Per liberarsi dalla violenza ermeneutica della medicina e della psicoanalisi, cioè dalla campagna ossessiva che gli uomini hanno condotto per spostare una donna dal proprio centro, è necessario smettere di dare credito al pensiero del pensiero e ascoltare quello che le donne hanno veramente detto e scritto sulla loro esperienza, sul loro piacere. Lo hanno fatto molto prima, sottolineo io, delle femministe di Boston che agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso scrivevano: “la fonte fisica del nostro orgasmo si trova nel clitoride, non nella vagina” (cfr. The Boston Women’s Heath Book Collective, Noi e il nostro corpo, Feltrinelli, Milano 1974, p. 55).
M. M. Rivera Garretas ha preso sul serio le parole di Suor Juana Inés de la Cruz, senza curarsi di come sono state interpretate da altri, fidandosi invece solo del piacere, del godimento e della felicità che la lettura delle sue opere le suscitava. Questa donna portò al suo massimo sviluppo in America le tematiche della Querelle des femmes, che era iniziata quando Giovanna, moglie del re di Francia Filippo il Bello, prese posizione contro Jean de Meung, che aveva aggiunto al Roman de la Rose una malevola e misogina interpretazione dell’Amore come una lotta condotta dall’uomo per costringere, con qualunque mezzo, una donna a sottoporsi al suo desiderio, a lasciarsi penetrare nel coito. Contro questa violenta distorsione del rispetto che il Roman de la Rose coltivava per la donna, contro il disprezzo che de Meung mostrava apertamente per il desiderio, l’autorità e il piacere femminili, moltissime donne colte e potenti si unirono per esaltare la loro visione del mondo e della relazione amorosa: Teresa di Cartagena, Christine de Pizan, Moderata Fonte ne furono tra le portavoci più conosciute ancora oggi.
M. M. Rivera Garretas ha conosciuto la figura e l’opera di suor Juana fin da quando era bambina e ne ha scritto una biografia, mossa solo da un piacere profondo di studiarla contemporaneamente studiando se stessa (p. 64) e facendone emergere un ritratto completamente diverso da quello del suorjuanismo accademico: il ritratto di una donna innamorata di un’altra donna, una donna che riconosce l’eccellenza femminile ed esalta il piacere di essere donna, scegliendo come oggetto di devozione l’Immacolata Concezione, colei che è capace di concepire corpi senza coito e concetti senza fallo (p. 86).
Di fronte all’Immacolata Concezione il pensiero del pensiero tace, la clitoridectomia simbolica si ferma, la violenza ermeneutica perde il suo potere. Juana seppe conservare la sua fedeltà al piacere originario, restando una donna “clitoridea”, che, come scriveva Carla Lonzi, “non ha nulla di essenziale da offrire all’uomo e non si aspetta da lui nulla di essenziale”.
E tuttavia questo rifiuto di assoggettarsi alla vaginalità, fisica o simbolica che sia, e all’ “ordine simbolico della spada” non allontana dall’esperienza della fusionalità amorosa, che la mistica, la poesia, l’arte femminili hanno sempre comprovato (p. 96).
Da Saffo a Margherita Porete, da Suor Juana e Teresa d’Avila a Emily Dickinson: in una ricerca compiuta sulle parole di queste straordinarie autrici, M. M. Rivera Garretas evidenzia la descrizione del “ratto”, del trasporto amoroso, che caratterizza l’orgasmo femminile. L’estasi che santa Teresa ha così magistralmente descritto si ritrova anche nel racconto di María Zambrano riguardo all’esperienza dell’azione vera, del piacere che si trova nella capacità di trasformare il mondo (p. 113).
Il trasporto amoroso ci colloca nella dimensione del cielo, ci mostra come sia possibile tenere insieme trascendenza e immanenza, il dentro e il fuori. Il piacere clitorideo ha un andamento spiraliforme, partendo da un centro si irradia alla matrice intera e a tutto il corpo, a tutta l’anima. Non è un caso se la spirale è uno dei simboli più antichi, la sua presenza si riscontra fin dal Neolitico (10000 – 3500 a.C.) e Marija Gimbutas l’ha collegata alla Dea, senza però associarla all’orgasmo femminile.
Un altro simbolo che lo richiama è la conchiglia, nella quale si trova la perla, uno dei nomi della clitoride. Suor Juana ne inviò una in regalo alla sua amata, Emily Dickinson propose che la perla e la conchiglia facessero epoca, periodizzassero la storia (p. 24) e le vite, come era accaduto a lei stessa. Entrambe, conchiglia e perla, sono associate all’acqua, che accompagna il piacere femminile puro. Anche la rosa è da sempre un nome della vulva e il rosario è frutto dell’amore per la rosa; la devozione al rosario, sottolinea Maria Milagros, è il culto alla vulva immacolata di Maria di Nazareth (p. 128).
Le donne hanno sempre coltivato la libertà amorosa e tra loro si sono sempre sviluppate relazioni molto forti, soprattutto nei monasteri medievali, dove si realizzava quella capacità mistica che è l’amore “platonico”, o meglio quello che Socrate ha imparato da Diotima, di cui quello carnale è solo una copia, come affermava María Zambrano (p. 137). Gli uomini non solo non hanno compreso questa forma d’amore, ma l’hanno temuta e svilita, condannandola e punendola duramente.
L’autrice ricorda in particolare il caso di suor Bartolomea Crivelli e di suor Benedetta Carlini che, dopo una condanna alla reclusione che si protrasse per 35 anni, morì senza tradire la fedeltà a se stessa e il popolo ne venerò le reliquie, senza tenere in alcun conto il giudizio espresso dagli inquisitori.
Se una donna mantiene la propria indipendenza simbolica, può concepire corpi senza coito (pp. 151–152), come è accaduto a Maria e a Elisabetta (ma anche ad Anna, aggiungo io), e concetti senza fallo, come sanno tutte le donne che pensano senza perdere il loro sentire originario, senza tralasciare il piacere e prescindendo dalla violenza ermeneutica maschile: Saffo, Roswitha di Gandersheim, santa Teresa di Gesù, suor Juana, Emily Dickinson, ne sono alcuni esempi di straordinario valore.
I misteri dell’Immacolata concezione comprendono anche la rifondazione, da parte di Anna, la madre di Maria, della genealogia femminile matrilineare delle tre madri, che il Cristianesimo avrebbe, secondo Maria Milagros, troncato sostituendo il figlio alla figlia.
L’autrice sostiene che, tra le tante raffigurazioni dell’Immacolata, quella che più la “interpella” è stata dipinta da Bartolomé Esteban Murillo per uno degli altari della chiesa dell’ospizio de los Venerables di Siviglia ed ora è conservata al Museo del Prado a Madrid. In questo quadro emerge in modo particolarmente evidente il vincolo clitorideo tra la Vergine e la dea iberica Laia l’Arciera. Il suo nome viene oggi sempre più spesso scelto dalle madri per le loro figlie, segno che siamo entrate nell’Era della Perla (p. 184). Ora possiamo riconoscere le tracce della Madre nel Cristianesimo, possiamo comprendere il valore dell’abbraccio amoroso tra Maria ed Elisabetta, possiamo avvicinarci al mistero dell’Assunzione di Maria, apprendendone la lezione: la donna clitoridea non muore (p. 187).
Il mistero del piacere femminile è preservato in modo particolare dalle donne che gli uomini chiamano frigide e che minacciano la loro virilità, non riconoscendo piacere nel coito. In realtà quelle donne sanno godere del piacere di esserlo e costringono gli uomini a reinventare la loro sessualità, rimanendo vergini come le artiste che per secoli hanno firmato le loro opere facendo seguire al loro nome la parola Virgo: lo ha indicato con la sua ricerca l’artista bolognese Donatella Franchi, sottolineando così sia il fatto di saper creare senza fallo sia la loro capacità di dire “io” fuori degli schemi del narcisismo maschile.
Nelle ultime pagine del suo libro M. M. Rivera Garretas confida di essere solo ora pienamente libera da ogni violenza ermeneutica e di sapersi connettere con il proprio piacere e sentire originari, che hanno radici con la lingua materna e con la relazione, l’abbraccio con la madre, quella reale che le è stata anche maestra e le ha indicato con chiarezza il proprio piacere, la propria allegria nello svolgimento del suo lavoro di docente. La madre le ha insegnato a toccare la quintessenza della materia, la tessitura e l’anima della parola e della sintassi, forse anche per questo l’autrice ha sviluppato una particolare attenzione per il lavoro delle tessitrici, per la loro capacità di “fare la lana”, quindi di creare qualcosa di nuovo, e di essere caste: qualità che appartengono alle donne clitoridee.
Mi fermo qui, consapevole che non è possibile riprodurre appieno la ricchezza di questo saggio: occorre leggerlo e seguire passo passo gli innumerevoli riferimenti alla poesia, all’arte figurativa, alla narrativa, alla saggistica.
Io ho imparato moltissimo e me ne sono veramente deliziata, anche se non tutte le affermazioni dell’autrice coincidono con le mie modalità di espressione e di percezione. Ad esempio, io interpreto la raffigurazione di Anna, Maria e Gesù in quella che chiamo la Trinità della gioia, non come una vittoria del pensiero dominante maschile, anche nel Cristianesimo, o della violenza ermeneutica, ma come una sua sconfitta. Benché Anna non compaia in nessuno dei testi canonici, benché Maria vi sia ridotta a una figura subordinata al figlio, gli uomini non sono riusciti a cancellare la consapevolezza che il figlio maschio è radicato nella genealogia femminile. La nonna e la mamma che lo abbracciano allontanano dalla nostra visione del mondo l’idea mortifera di un padre che mette in croce il proprio figlio, di un divino che si realizza pienamente solo attraverso il martirio. Sarà quel figlio cresciuto alla scuola dell’autorità femminile, della sua sovranità, a trasformare, quasi per effetto di quella che Mary Daly indicava come risonanza morfica, l’intero universo maschile e insegnerà la tenerezza e la gratitudine verso l’opera ininterrotta della Madre, come l’autrice stessa sa che sta già accadendo (p. 158).
È merito delle donne, di quelle che, come questo libro insegna, hanno saputo ritrovare la strada di casa, collegarsi con le loro radici più profonde, salvaguardare la loro anima, insieme ai loro corpi, e fermare la tracotanza di origine patriarcale, per riportare al mondo il piacere.
Nadia Lucchesi