Questa è certamente opera di forze malvagie. Forze malvagie che operano in qualche luogo a occidente. Forse il fato vuole che tu vada a vedere cosa accade, con occhi non velati dall’odio. È la tua unica possibilità di salvezza.1
(Hī-sama in Principessa Mononoke, di Hayao Miyazaki)
Musubi, questa parola ha un significato profondo. Intrecciare i fili è musubi, i legami tra le persone sono musubi, lo scorrere del tempo è musubi.
Le corde intrecciate che noi creiamo rappresentano il flusso del tempo. Convergono e prendono forma. Si intrecciano e si aggrovigliano. A volte si sciolgono, a volte si spezzano, per poi legarsi nuovamente.
Questo è Musubi, questo è il tempo.
(Hitoha Miyamizu in Your Name, di Makoto Shinkai)
Lunghi capelli lisci di tutti i colori dell’iride e grandi occhi lucenti che cambiano forma per meglio esprimere le emozioni richiamano immediatamente l’immaginario manga, gli anime, riprodotti dai cosplayers (chi ama indossare i costumi dei personaggi degli anime) di tutto il mondo.
Tutto è iniziato con l’arrivo, a partire all’incirca dagli anni ’70, di una serie di cartoni di giapponesi, anime (forma abbreviata di animeshon, film d’animazione in giapponese), nelle televisioni d’Europa e d’America, sancendo l’inizio di un fenomeno che ora ha assunto una portata globale.
Nell’anno 2001 esce in Giappone il film d’animazione Sen to Chihiro no Kamikakushi “La sparizione divina di Sen e di Chihiro”, di Hayao Miyazaki per lo Studio Ghibli, il cui titolo viene adattato in inglese come Spirited Away e in italiano come La città incantata. Il film vince l’Orso d’oro alla cinquantaduesima edizione del Festival di Berlino e l’Oscar per il miglior film d’animazione nel 2003. È un successo mondiale di proporzioni impressionanti e inattese.
La città incantata risveglia l’interesse per la produzione dello Studio Ghibli e in generale per l’animazione giapponese, facendo sì che vengano adattati e in certi casi riadattati per il pubblico europeo e statunitense anche i film d’animazione prodotti precedentemente, tra cui Laputa. Il castello nel cielo, La principessa Mononoke, Nausicaa nella Valle del Vento, Il mio vicino Totoro.
Sin dal primo sguardo, l’opera dello Studio Ghibli si presenta molto differente dall’animazione delle grandi case di produzione occidentali.
La grande ricchezza di particolari, l’attenzione al movimento delle piante, fino ai fili d’erba, e il moto di vita della natura tutta, la grande potenza metaforica e la stratificazione di significati, la narrazione lenta e carica di simboli, fanno sì che il film sia differente a ogni nuova visione, rivelando un particolare che era sfuggito, o un significato nascosto che non era stato notato alla visione precedente.
Come non pensare alla stanza di Howl, nel film Il castello errante di Howl, sempre di Miyazaki, che a ogni nuova visione svela nuovi misteriosi amuleti che erano sfuggiti alle visioni precedenti.
Uno stile molto diverso rispetto a quello prediletto dalla Disney, simbolo dell’industria d’animazione occidentale, che mostra invece un’essenzialità di particolari e d’azione, una trama asciutta che si sviluppa velocemente per sequenza di punti salienti.
Da un lato, infatti, la Disney si concentra sull’azione umana, benché – soprattutto nei primi film d’animazione – elevata ad allegoria, e in generale tende a un’antropomorfizzazione di animali ed elementi naturali, rappresentata emblematicamente dalla tipica figura dell’animale parlante; dall’altro lato lo studio Ghibli opera l’azione opposta, rappresentando l’essere umano in continua interazione con la Natura e coi suoi Spiriti, dei quali impara a comprendere il linguaggio enigmatico, che raramente si esprime per mezzo di parole, ma piuttosto per mezzo di immagini simboliche e sfuggenti.
Queste caratteristiche, espresse in maniera eccellente dallo studio Ghibli, ma presenti in molti altri film d’animazione e serie anime, giocano una parte fondamentale del fascino misterioso dell’arte cinematografica e narrativa giapponese. Un’arte che agli occidentali suona nostalgica, enigmatica, dolce-amara, a tratti conturbante, come se indicasse qualcosa di indefinito che si fosse perduto e di cui non si sapeva di sentire la mancanza.
Naturalmente è impossibile descrivere a parole di cosa sia fatto questo “qualcosa”, la magia inconfondibile che contraddistingue la cinematografia e l’arte giapponese.
Ma una parola, e la comprensione di questa parola, può aiutare a trovare una via per percorrere lo stesso sentiero: Sciamanesimo. Questa parola, che deriva dal tunguso-siberiano saman, che significa colui/colei che conosce, è passata attraverso diverse grandi lingue asiatiche, tra cui il sanscrito, ed è finita per indicare, in generale, una concezione del cosmo e dell’essere umano presente in tutte le culture tradizionali.
In questo articolo, cercherò di esplorare i fondamenti di questa visione spirituale dell’universo, nella sua versione giapponese, proprio attraverso alcuni episodi e schemi narrativi ricorrenti nei film d’animazione, prendendo ad esempio alcuni dei più famosi.
Anima
La base essenziale della visione sciamanica è ciò che l’antropologia occidentale ha impropriamente definito “animismo”, archiviandolo tra le manifestazioni “primitive” del pensiero umano.
Si tratta della concezione, presente in maniera più o meno nascosta in ogni cultura umana, secondo la quale ogni cosa è animata, ovvero dotata di anima, o meglio ancora di spirito: non solo gli esseri umani, gli animali, le piante, ma anche le rocce, le stelle, i pianeti.
Il mondo non è luogo di una gerarchia nella quale l’uomo è collocato in cima in quanto “animale intelligente”; la saggezza è piuttosto un’entità sfuggente, e giace nella Natura, negli esseri antichissimi come le montagne e soprattutto i vulcani, che traggono energia dal centro della Terra, come il Fuji, montagna sacra per eccellenza. L’essere umano accede a questa saggezza attraverso l’armonia con i misteri della Natura.
La maschera sciamanica e la cultura Jōmon: La principessa Mononoke
Anticamente la divinità non si pregava, ma si impersonava. Così si spiegano le tante opere epiche e i testi sacri che ci testimoniano di esseri umani che interagivano direttamente con gli dèi, come se si manifestassero frequentemente in forma umana. Era effettivamente così, perché le sacerdotesse e i sacerdoti avevano il compito di incanalare la divinità. Come molte pratiche sacre, si tratta di un fenomeno universale, che non è ascrivibile a una singola area culturale, come dimostra il greco enthousiasmos, termine che significa letteralmente “avere la divinità dentro di sé”.
In questo tipo di pratica cultuale, la maschera è spesso un elemento essenziale, che ci riporta a tutte le maschere del mondo: dalle maschere africane a quelle fenicie, alla cultura sciamanica etrusca con la sua phersu, “maschera” appunto, da cui deriva la parola persona.
Una bellissima maschera la ritroviamo sul volto di San, nel film La prinicipessa Mononoke, ed è ispirata a una statuetta di Dea madre jōmon[1].
In una delle sue prime scene, San ci appare come una misteriosa ragazza spirito, mentre succhia il sangue dalla ferita di Moro, la sua madre lupo, per poi voltarsi verso il protagonista Ashitaka, con la bocca sporca di sangue.
San viene chiamata mononoke, un nome che significa in giapponese “spirito vendicativo” e mette in luce il suo ruolo di messaggera degli spiriti della Foresta, che intendono vendicare la distruzione operata dagli esseri umani.
La cultura Jōmon e la potenza incontrastata della Natura
La trama de La Principessa Mononoke racconta di un giovane proveniente dal popolo degli Emishi, Ashitaka, costretto a mettersi in viaggio perché colpito dalla maledizione portata da un dio cinghiale brutalmente attaccato dagli umani.
Ashitaka lascia il suo villaggio per incamminarsi verso Ovest, da dove proveniva il cinghiale, per comprendere il male che ha colpito quelle terre.
Si troverà coinvolto in una guerra tra un villaggio di umani e gli spiriti della foresta, due fazioni rappresentate rispettivamente da Eboshi, padrona della città del ferro – che rappresenta l’era della tecnologia e dello sfruttamento delle risorse della terra – e San, la Principessa Mononoke, o la ragazza lupo, così chiamata perché è stata cresciuta dalla dea lupo Muro.
L’intero film sembra porsi in maniera critica nei confronti di un atteggiamento molto diffuso anche nell’ecologismo contemporaneo, che rappresenta la Natura come qualcosa di cui l’uomo non fa parte e può dominare “dall’esterno”, qualcosa di debole e indifeso, che abbia bisogno della nostra coscienziosa protezione.
Ad essere pericolo, in realtà, è piuttosto l’uomo stesso che, attraverso continue azioni distruttive contro la Natura, si sta letteralmente privando, in quanto parte di essa, della propria fonte di vita.
La Natura de La principessa Mononoke, d’altra parte, è quanto di più lontano si possa immaginare dal bozzetto idilliaco e rassicurante che viene “venduto” dall’ecologismo: è misteriosa, selvaggia, conturbante, intrisa di sangue e rabbia, ma anche di arcana meraviglia. Bellissima e terribile, al di là del concetto umano di bene e male.
L’anime è ambientato nel periodo Muromachi (1336-1573), quando la dinastia Yamato non era ancora riuscita a impadronirsi dell’intero Giappone.
Gli Emishi erano all’epoca un popolo, residente nell’Honshū, che si era rifiutato di sottomettersi al potere imperiale. Non si sa bene a quale etnia siano da ascrivere, se siano affini al popolo Ainu oppure giapponesi, o piuttosto una mistura di entrambe le etnie, che aveva come elemento in comune la ribellione nei confronti dell’imperialismo del clan Yamato.
Attraverso diversi riferimenti, gli Emishi ci appaiono nel film come eredi della cultura Jōmon[2], custodi della saggezza antica, soppiantata da una civiltà predatoria che ha perso il senso del sacro.
Bene e male: Il peggior nemico diventa il migliore amico
Nella cultura sciamanica, il nemico va onorato e ringraziato, perché è proprio la sua sfida che permette all’anima di crescere durante il suo viaggio sulla Terra. Questa concezione, fondamentale per il pensiero sciamanico, è forse una delle più ostiche da concepire e da accettare per il pensiero occidentale moderno, ma non deve esserlo stato in passato, quando la cultura europea e mediterranea non aveva ancora cercato di recidere le proprie radici sciamaniche: è questa, a pensarci bene, la concezione che sottende al significato della parola Satan, “l’avversario”, e in generale all’ambiguo significato del nome Lucifer (“il portatore di luce”, la Stella del mattino), che sfugge alla semplificazione in “male assoluto”.
Sono moltissimi gli esempi di questa concezione, che si possono rintracciare nell’animazione giapponese. Ne Il castello errante di Howl, ispirato all’omonima opera di Diana Wynne Jones, ad esempio, la spaventosa Strega delle Lande si trasforma in una dolce vecchina che sarà più volte decisiva per la salvezza della protagonista.
Le miko e l’importanza del sacerdozio femminile
Il sacerdozio shintoista, nella sua forma tradizionale, non è un ruolo meramente cerimoniale, come si tenderebbe a immaginarlo facendo riferimento al sacerdozio cristiano, ma implica l’interazione diretta con le energie della Terra e con gli Spiriti, che vengono pacificati o esorcizzati attraverso le formule e la forza spirituale della sacerdotessa. Per svolgere tale compito, sono necessarie grandi doti, tra cui una straordinaria capacità di concentrazione, memoria, empatia e stabilità emotiva.
Lo sciamanesimo fa in particolare affidamento sul potere spirituale e magico delle donne.
Queste, infatti, in quanto capaci di dare la vita, sono espressione sulla Terra del potere divino della creazione e sono incarnazioni della Madre cosmica.
Porta sacra, passaggio dall’invisibile al visibile, la donna fa nascere e rinascere le anime e per questo possiede un contatto privilegiato con il mondo invisibile e spirituale.
Alle donne era affidato perciò tutto ciò che atteneva ai passaggi dalla vita alla morte, dalla morte alla vita: i riti funebri e i riti della nascita. In quanto porta tra visibile e invisibile, alle donne veniva attribuita una innata capacità di comunicare col mondo invisibile delle presenze spirituali, del passato e del futuro, come nella divinazione.
Nello shintoismo tradizionale, il ruolo delle miko, le sacerdotesse, era fondamentale. Ancora nel III secolo d. C., i resoconti giapponesi e cinesi testimoniano l’esistenza della himiko, ovvero una figura di sacerdotessa regnante.
Tra le miko più famose, Kikyō e Kagome di Inuyasha, Rei Hino, meglio conosciuta come Sailor Mars, del cartone Sailor Moon; e non da ultima Mitsuha Miyamizu di Your Name, che incontreremo nel prossimo paragrafo.
L’unione mistica
“Lui è stato in me, io sono stata in lui”
Si narra che all’inizio di questo nostro mondo, Izanami, la femmina che invita, e Izanagi, il maschio che invita, crearono la prima isola e ne fecero il pilastro della Terra, poi vi camminarono intorno, Izanagi girando verso sinistra e Izanami verso destra: “Che bell’uomo!”, “Che bella donna!”, dissero.
“Io sono l’origine della mascolinità”, disse Izanagi; “Io sono l’origine della femminilità!” disse Izanami.
Le loro mani si incontrarono e divennero donna e uomo.
Così, dall’Amore fu creato tutto ciò che conosciamo. Come un’Eva e un Adamo senza traccia di peccato, Izanami e Izanagi si guardarono e trovarono l’uno nell’altro la meraviglia del diverso e del complementare.
Il film Your Name (Kimi no na wa) di Makoto Shinkai, racconta di Mitsuha Miyamizu, una ragazzina che vive in un paese rurale, Itomori, che si trova a vivere nei propri sogni nel corpo di un ragazzo di Tokyo, Taki Tachibana che, contemporaneamente, nei propri sogni vive la vita di lei. Il film ha sviluppi avventurosi che mettono in discussione la stessa concezione del tempo lineare. Ma è soprattutto lo scambio magico di corpi e di vite che permette ai due protagonisti di conoscere l’amore nella sua forma più mistica e pura.
Nel pensiero sciamanico, l’unione tra femminile e maschile sacri rappresenta un’unione mistica che non si limita alla soddisfazione del desiderio sessuale, ma lo trascende per raggiungere la completezza e generare l’energia creativa.
L’Amore è la forza fondamentale, che genera armonia nel macrocosmo come nel microcosmo.
Da qui in poi è l’Altro mondo …
… è la frase della nonna di Mitsuha, guida spirituale del tempio Miyamizu, pronunciata in un momento profondamente mistico del film, quando Taki, nel corpo di Mitsuha, compie insieme alla nonna e alla sorellina di Mitsuha il cammino verso il goshintai[3] della divinità del tempio Miyamizu, Musubi.
Secondo la cultura sciamanica, il mondo materiale, visibile non è il solo mondo. Il nostro mondo è in perenne contatto con i mondi spirituali e la soglia è molto più labile di quel che si creda.
Soprattutto in certi luoghi della Terra e in certi momenti della giornata e dell’anno, come quelli di passaggio tra la stagione calda e l’autunno e il crepuscolo, la soglia si assottiglia, rendendo possibile la comunicazione tra i mondi.
Lo spazio, come il tempo, è un’illusione, e l’Amore possiede la via.
Note:
1 https://www.otakunews.com/Article/9852/an-anime-steeped-in-history-princess-mononoke;
https://www.followthemoonrabbit.com/princess-mononoke/.
2 Con il termine Jōmon ci si riferisce a una civiltà esistita in Giappone dal 10.000 a. C. al 300 a. C. circa, che presenta il classico aspetto di una cultura matriarcale megalitica, di cui si conservano oggi vasellame e molte statuette di dee madri, simili a quelle dell’età neolitica europea.
3 Il goshintai, letteralmente “corpo sacro”, è nello Shintō la manifestazione della divinità, ovvero un oggetto oppure un luogo in cui la divinità alberga.
Pagine web citate e consigliate
Sito ufficiale dello Studio Ghibli in italiano:
https://www.studioghibli.it/
La Principessa Mononoke e la cultura Jōmon:
https://medium.com/
https://www.followthemoonrabbit.com/princess-mononoke/
https://www.japan-experience.com/plan-your-trip/to-know/japanese-movies/japan-from-princess-mononoke-1997
https://www.otakunews.com/Article/9852/an-anime-steeped-in-history-princess-mononoke
https://www.asharperfocus.com/Princess.html
Sugli Emishi:
https://www.japanesewiki.com/
https://ghibli.fandom.com/
Your Name Fandom:
https://kiminonawa.fandom.com
La maschera sciamanica in Giappone:
https://www.nippon.com/
Le miko negli Anime:
https://japanoscope.com/anime-miko/
Teresa Apicella
Nata come classicista, ha conseguito di recente il Dottorato in Linguistica. Durante gli studi classici, dopo un periodo di smarrimento e assenza di vie, ha cominciato a seguire le tracce di un’altra storia dietro la storia ufficiale, ha abbandonato i sentieri tracciati dal potere maschile, per percorrere i sentieri ricurvi dell’eterno femminile.