Dal femminismo a Chiara Ferragni

La giornalista Modesta Raimondi ha intervistato Mariagrazia Napolitano sul “tema Ferragni” e la sua continua e impersonale esposizione del corpo fino a farne una scultura e a disegnarne l’essenza. La cosa ci riguarda perché è la prima volta che la radice del sacro, il corpo femminile sta prendendo corpo su un palco nazionalpopolare senza che si scateni il giudizio divino del patriarcato; apparentemente innocua, accettabile nelle sue velate nudità così come deve essere una donna accanto a maschi protagonisti ecco che appare con una collana-utero indossata come fosse un crocefisso al collo e ci domandiamo allora se questa donna sia in realtà un cavallo di Troia, un dono bello e seducente fatto entrare per avida arroganza nel palazzo senza che ci si accorga dell’arma devastante nascosta in quel corpo da dea.

 

L’atto simbolico dell’influencer. Napolitano: “Con la ricchezza è più facile nascondersi. Lei ha mostrato la sua nudità”
di Modesta Raimondi

Mariagrazia Napolitano, co-fondatrice del Centro ricerca donna. Che impressione le ha fatto il monologo in cui Chiara Ferragni leggeva una lettera indirizzata a se stessa?

Mi ha sorpresa. Ci vuole molto coraggio perché si parli di qualcosa di sacro come la bambina che è in sé. Quella bambina che quasi sempre una donna mette a tacere, nasconde, confonde, pur di poter stare a questo mondo. Chiara Ferragni ha avuto coraggio.

Mi ha colpito l’accostamento tra il presentarsi come nuda e il rendersi nuda. Lei ha parlato di sé con intimità, mettendo fuori le sue verità. Ed è una cosa importante che, nella cultura in cui siamo immerse, le donne inizino a parlare della bambina che hanno dovuto tradire, deformare, trasformare. Anche gli uomini dovrebbero farlo, anche loro avrebbero bisogno di parlare a quel bimbo da cui viene l’essenza del loro essere più autentico, quello non addomesticato. Perché ad essere addomesticati sono donne e uomini.

Lei ha scritto un libro in cui racconta della donna che ritrova la sua bambina. Descrive questo incontro in modo profondo e mistico. Ha trovato similitudini tra la bimba del suo libro e quella a cui parla Ferragni?

Io ho scritto un libro che è il mio vangelo, la mia storia e la mia visione della realtà. Si chiama La vergine sacra, il mistero del corpo femminile. La parola Mistero dice bene il fatto che io sono stata la prima a rimanere sorpresa quando ho ritrovato, in una dimensione che chiamo mistica, o misterica, quella piccola me che avevo sepolto. E quando l’ho rivista le ho chiesto se fosse ancora viva. Ero sorpresa. Non sapevo che fosse ancora lì in attesa di me. Questa creatura, in realtà, non era la Mariagrazia storica, la piccola Mariagrazia. Perché una bambina che nasce, molto presto viene addomesticata: le si spiega cosa sia bene e cosa sia male, al fine di farla diventare docile. Anche i primi scatti di ribellione, e quindi di affermazione di sé, vengono mutilati. Almeno questo era quello che accadeva alla mia generazione.

Una bambina si perde molto presto, già nei primi anni in famiglia. Io ho studiato molto per capire cosa era la realtà e la vita. L’amore era il mio Dio, il mio ordine di senso. Molto presto ho messo a tacere la mia bambina, rifiutandola e zittendola, al fine di diventare come gli altri mi volevano. Non riuscendoci.

Quello che è differente tra la mia esperienza e la sua, è che lei parla alla sua bambina con affetto. Io invece ricordo che quando l’ho vista da lontano, ho riconosciuto un’essenza di me. Qualcosa che ero io e nel contempo non ero io, come un’ombra che mi si offriva e che io ho abbracciato piangendo. Dice bene Ferragni che noi piangiamo di noi stesse, perché è un lutto profondo quello che una donna vive quando perde la sua vera sé: la bambina che ha custodito agli inizi della sua vita.

Quello della donna adulta che si relaziona alla sua bambina è quindi un tema che ha valore?

Ha un grosso valore. Perché quello che manca al pensiero umano è l’esperienza dell’essere due: io che cresco e la bambina che mi spinge ad essere ciò che sono. E lo stesso vale per l’uomo, anche lui circola in giacca e cravatta, come in una sorta di divisa che deve indossare per essere la persona che il mondo si aspetta. Entrambi abbiamo bisogno di ritrovare i bambini che siamo stati, di aiutarli a venire fuori, integrandoli in noi. Quando ci parliamo, è il segno che l’abbiamo ritrovata, non l’abbiamo persa. E poi è il segno di un avvenimento che ci sta guidando nell’essere ciò che sentiamo di essere.

Crede che nel suo discorso di ieri, Ferragni sia riuscita a fare sintesi di decenni del percorso femminista?

Credo che il suo sia un pensiero di donna. Ma diciamo che si, è andata in quella direzione. È riuscita a suo modo a fare sintesi. È una donna che ha scoperto davvero di avere una creatura dentro, che è anche la radice del nostro sacro. Noi donne veniamo violate perché non ci assumiamo la sacralità del nostro essere. Lei parla con affetto e amore della sua bambina, le dà consigli, suggerimenti, l’aiuta a riconoscersi nel bene e nel male, nelle fragilità e nelle potenze. Per me non è stato così. A me è bastato farla rientrare in me: diventare due. Madre e figlia di me. Teniamo conto che la filosofa, psicanalista, linguista e femminista belga Luce Irigaray, che con le sue competenze ha dato inizio al discorso della differenza sessuale a fine anni 70 inizio 80, aveva già parlato dell’essere madre e figli in sé.

Il discorso di Ferragni è stato divisivo. Soprattutto sui social è stata molto derisa. Quasi che una modalità di linguaggio utilizzata anche da altri (e mi riferisco al parlare a qualcuno di più piccolo per manifestare una posizione sulle cose), a lei non debba essere consentito. Conta il fatto che sia una privilegiata? Conta che il luogo in cui questo monologo ha avuto luogo sia il palco di Sanremo? Sembra che la nostra società idolatri i ricchi mentre li trasforma in bersaglio.
Ai privilegiati è riconosciuto lo stesso sentire delle persone meno abbienti? Se la stessa lettera l’avesse scritta una donna qualsiasi, avrebbe avuto maggior valore? La ricchezza toglie credibilità a una donna?

Succede quando si hanno pregiudizi. Io non ne ho mai tenuto conto. Credo che la cultura sappia distinguere la portata e la miseria dei pregiudizi rispetto alla ricchezza degli atti simbolici. Lei ha compiuto un atto simbolico. Si è presentata nuda, per manifestarsi nella sua nudità. E quindi ha creato una contraddizione per tutti quelli che si sono lasciati ingannare dall’apparenza. La nudità del corpo femminile, che fa gola, e la contraddizione che lei davvero stava per mettersi a nudo. La nudità è qualcosa di sacro. Tre volte l’hanno applaudita ed è stato un applauso fatto con il cuore, perché stava toccando dei punti nevralgici, nodi dell’esistenza. Una donna come lei, ha voluto utilizzare il suo seguito per compiere un atto che, se compiuto da una di noi, non avrebbe la stessa portata simbolica. Perché lei si è messa a nudo potendolo non fare. Perché la ricchezza aiuta a mascherarti. Per questo l’ho trovata brava e coraggiosa.

Il mio libro, che tratta un tema simile, è pubblicato solo sul mio blog e non dato alle case editrici, perché non è ancora il tempo che qualcosa di sacro come la nudità femminile venga alla luce. C’è bisogno di un apparato. Per far venire fuori l’uomo alla sua nudità, è servita una religione: il cristianesimo, che ha posto sull’altare la nudità del corpo maschile, che è solo simbolo di un’altra nudità e non della fisicità. Commenti e sghignazzi sono di persone che hanno una coscienza relativa all’apparenza, cioè miserabile.

Modesta Raimondi (su L’Attacco Foggia, 8 febbraio 2023)