Autrici di Civiltà apre una nuova sezione che si occuperà di economia diretto da Daniela Degan.
Per introdurre il tema pubblichiamo l’intervista realizzata da Carla Collodi.
Da quanto tempo ti occupi del tema?
Ho cominciato nel 2006 ad occuparmi di Decrescita, co – fondando, a Roma, il Laboratorio Itinerante della decrescita, per stimolare e moltiplicare le relazioni interpersonali, grazie a metodologie ludo – pedagogiche, facendo emergere e condividere le sensazioni e le emozioni suscitate dagli approfondimenti connessi con i differenti contenuti: dono, alternativo ai rapporti di scambio e di mercato, aspetti ecologici, sociali, politici e tecnici volti ad una critica della società della crescita, declinazioni di decrescita e di altra economia, con incontri di carattere anche pratico per riscoprire l’arte della manualità … perché le “mani sono legami di intimità”.
Volevamo rendere palese la seduzione autoritaria del Pil nella economia dominante mettendo in luce quello che c’è e cosa non c’è, quello che piace, ma soprattutto quello che non piace, le esternalità e gli aspetti critici. In alcune occasioni, durante laboratori residenziali, abbiamo riscoperto sapori e saperi, mettendo “le mani in pasta” e condividendo le attività di autoproduzione di maltagliati, cappelletti, ravioli e vecchi merletti. Siamo state anche promotrici e organizzatrici di scuole estive della decrescita in luoghi suggestivi e Parchi Naturali, in collaborazione con associazioni e reti. Il nostro immaginario ci ha spinto anche a prenderci gioco di quelle che sono le massime istituzioni del mondo capitalistico tipo “Wall Street”.
Contemporaneamente studiavo le caratteristiche del dono, ma secondo la riflessione degli studi antiutilitaristi francesi. [1]
Come è nata la tua passione, il tuo percorso formativo?
Non mi sono accontentata, nella vita può contare, dice Mary Daly, la sincronicità, emergono ad un certo momento delle relazioni che consentono di fare un passaggio ulteriore, un salto mentale! Così ho conosciuto Luciana Percovich, e grazie a lei, tutte le ricercatrici, in vita, degli studi matriarcali e dell’economia del dono.
Finalmente avevo trovato una nuova casa!
Già Adamo Smith, quello meno noto, nella sua Teoria dei sentimenti morali scriveva: “Se si dovesse scoprire che un’azione che si suppone derivata dalla gratitudine in realtà deriva dall’attesa di un altro favore, o che una che si suppone derivata dal senso civico in realtà deriva dalla speranza di una ricompensa pecuniaria, tutta la nozione del merito o della lode dovuta a queste azione ne risulterebbe completamente distrutta”.
Nella riflessione dei francesi anti-utilitaristi (filosofia del MAUSS) il meccanismo del dono si articola in tre momenti fondamentali basati sul principio della reciprocità:
1. dare;
2. ricevere – l’oggetto deve essere accettato;
3. ricambiare.
Il dono implica una forte dose di libertà. È vero che c’è l’obbligo di restituire, ma modi e tempi non sono rigidi e in ogni caso si tratta di un obbligo morale, non perseguibile per legge, né sanzionabile. Il valore del dono sta nell’assenza di garanzie per il donatore. Un’assenza che presuppone una grande fiducia negli altri. Tuttavia quel principio di reciprocità rientra comunque nel concetto di scambio e sappiamo che l’attuale sistema economico si basa sullo scambio, che si può descrivere come un dare per ricevere, in termini giuridici è la relazione sinallagmatica “prestazione – controprestazione”.
Sul Dono e la capacità delle società matriarcali di promuovere la circolazione dei beni (relazionali) attraverso l’economia del dono materno, mi preme sottolineare una differenza sostanziale tra l’economia del dono che Genevieve Vaughan[2] ha elaborato nel libro “Per-donare” e quella degli antiutilitaristi francesi, di cui il movimento della decrescita si avvale nelle sue riflessioni. Il Dono è gratuito e spontaneo e unilaterale nel paradigma dell’economia del dono ed è fuori dal Mercato- merci/scambio.
Lo scambio impone l’identificazione delle cose scambiate, come pure la loro misurazione e la dichiarazione della loro equivalenza fino a soddisfare gli scambiatori nella misura in cui nessuno dà più di ciò che riceve. Nel dono gratuito non c’è l’attesa di essere ricambiata (pensiamo al rapporto di nutrimento della madre verso le figlie e i figli), non esiste quindi la possibilità di un’aspettativa che venga disattesa, nel dono antiutilitarista (di un pensiero maschile e razionale) esiste comunque l’attesa di un ricevere (misurato e quantificato?) anche se rimandato al futuro e non immediato. Alla luce di tutto questo ho aggiunto questo tassello alle mie riflessioni sulle società della Decrescita. E da qui sono andata avanti. I miei studi di Economia mi hanno permesso di capire certi meccanismi, senza quegli studi, non avrei potuto fare certe riflessioni.
Di che tipo è il tuo approccio al tema vasto dell’economia?
Il mio approccio, oggi, è quello che in questa Casa può essere definito interdisciplinare, così come vuole la tradizione femminista!
Il mio lignaggio nell’apprendimento è pertanto femminista/ecologista! Ovvero Ecofemminista.
Quindi la metodologia può essere sintetizzata così:
INTERDISCIPLINARIETA’
CRITICA RADICALE ALLA IDEOLOGIA (ivi compresa quella economica) PATRIARCALE
Il pensiero razionale occidentale e duale separa e ha separato promuovendo la frammentazione e la specializzazione: questo operare non ci ha permesso per molto tempo di rendere visibile l’ampiezza delle interconnessioni. La interdisciplinarietà fa luce, svela le interpretazioni nascoste. Questa modalità è stata utilizzata da Marija Gimbutas e da tantissime altre ricercatrici femministe in moltissimi campi.
Le narrazioni, le storie, le leggende e i miti offrono informazioni e punti di riferimento ai nostri immaginari: impariamo fin dall’infanzia, apprendendo per imitazione, da piccole apprendiamo la pratica del dono materno, appena veniamo catapultate fuori ci indicano una nuova storia. Tuttavia da alcuni anni molte donne hanno cominciato a rilevare che la storia ufficiale, che spesso corrisponde alla storia della nascita di sistemi economici, dai più raccontata non ha mostrato quanto le donne hanno promosso, fatto, prodotto, pensato, sviluppato tecnologie per sostenere le cose del mondo: la vita in primis. Vale la pena allora cercare risposte a queste due domande: quale narrazione sulle matrici economiche femminili? Che peso può avere per tutte noi questa altra narrazione nel fare luce sull’esperienza creativa femminile, altrimenti bloccata?
Per me risulta evidente, ora, avendo studiato all’Università di Economia: da oltre 5.000 anni il sistema patriarcale ha avanzato con l’obiettivo di cancellare le tracce della precedente cultura mutuale/matrilineare.
Partendo da questo punto di vista e cercando le tracce di un’altra narrazione (per dirla con le parole di Marija Gimbutas, archeologa e filosofa (la «narrazione delle sonore argille») si possono osservare in modi diversi i nessi esistenti tra la ricerca di principi e pratiche di una società alternativa e la «ricerca del femminile». Se noi donne e uomini infatti abbiamo vissuto in modo pacifico, mutuale, collaborativo, solidale e non accumulativo per secoli , allora c’è una speranza che possiamo farlo di nuovo, se pur in modi diversi, perché ne siamo capaci.
Diciamo la verità, molte donne nel loro profondo, quando sentono l’espressione «homo homini lupus» («l’uomo è lupo per l’uomo») di Thomas Hobbes a proposito della condizione umana avvertono un profondo disagio. Il tempo di Hobbes è il tempo della nascita delle teorie economiche, non dimentichiamolo. Molte donne hanno cominciato a rifiutare l’idea del filosofo inglese (secondo il quale la natura umana è fondamentalmente egoistica, le sue azioni sono determinate soltanto dall’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione) e soprattutto le sue conseguenze, specie nel caso dell’idea (e della pratica) della «guerra umanitaria».
Un punto di vista alternativo per la ricerca allora deve muoversi su altri orizzonti, ad esempio, quelli della socialità, del ricomporre legami solidali, quale capacità di relazione caratteristica naturale dell’intera umanità. In questo modo appare evidente, ad esempio, che le società mutuali sono esistite fin dal Neolitico: i reperti archeologici dicono oggi che è esistita, in particolare, una società matrilineare e matrifocale nella quale il ruolo delle donne non era ancora quello imposto dal sistema patriarcale. Si tratta di società fondate sul principio della solidarietà, della nonviolenza, nelle quali non esistevano la gerarchia, l’autorità, il principio dell’accumulazione e si rispettavano le risorse dei territori. Se questo è stato, se l’umanità è stata in grado in alcuni momenti e luoghi di vivere senza l’aggressività e in equilibrio con l’ambiente di cui è parte, è ancora possibile oggi trovare una giusta distanza dalla guerra, dalle violenze degli uomini su altri uomini e su tutte le donne, dalle aggressioni alla madre terra. Non si tratta certo di rimpiangere una mitica età dell’oro, ma la conoscenza di questa storia «altra» può favorire la consapevolezza di una necessaria e straordinaria trasformazione sociale, la trasformazione di una società al momento completamente schiacciata da stili di vita insostenibili dal punto di vista sociale e ambientale.
Come diffondi le tue idee?
In questi anni ho divulgato le idee di questa trasformazione sia personale, sia desiderata per altre/i attraverso laboratori a Roma, Torino, Iglesias, Siena, Pisa, Potenza. Andando dove mi hanno chiamato e dove c’era comunque un territorio preparato. Inoltre ho scritto moltissimi articoli sia di carattere economico, sia di carattere metodologico. Ho organizzato con altre persone convegni a livello internazionale. Ho scritto articoli che sono interviste alle donne del passato per ridare loro voce in un modo che non fosse accademico. Ho recensito libri e fatto presentazioni di libri a mio avviso importanti per il cambio di paradigma. Organizzato e condotto cerchi di donne e incontri di formazione. Per anni ho tenuto una trasmissione in radio (Radio Onda Rossa) invitando amiche e amici a prendere la parola. Con un gruppo di donne del cerchio delle dakini di Roma abbiamo rappresentato in Biblioteca ciò che le donne hanno narrato per secoli.
Un gruppo che si chiama “Donne nel Mito e nella Soria” …. Mitologico!
Come questo modo di vedere l’ economia, se diffuso, scavalcherà l’ economia patriarcale?
Modificare il sistema economico dominante, superare l’economia patriarcale.
Possiamo considerare ormai giunto il tempo di entrare in una prospettiva di radicale superamento delle logiche economiche che influenzano così profondamente la nostra vita e di sciogliere completamente l’intreccio tra patriarcato e sistemi di tipo capitalistico. Questi sono i motivi e insieme le condizioni minime necessarie che ci spingono a lavorare senza indugio in questa prospettiva:
1. I limiti e la dannosità del sistema dominante
Sembra ormai evidente che nel suo complesso il sistema economico internazionale, basato su un ristretto numero di grandi imprese transnazionali e su una sfera finanziaria nuovamente in fase di espansione incontrollata, non riesce più a provvedere alla creazione di posti di lavoro duraturi e correttamente retribuiti, nelle dimensioni richieste per riassorbire la massa di disoccupati, sottooccupati, precari e temporanei accumulatasi negli ultimi due decenni, ma soprattutto per provvedere alle esigenze minime dei moltissimi paesi caratterizzati da una espansione demografica e da una crescente proporzione di giovani in età di lavoro. I movimenti migratori, non solo quelli del Mediterraneo e non solo quelli per guerre e persecuzioni, ma anche quelli generati da gravi situazioni economiche e ambientali, sono in rapido aumento e non si notano ancora misure governative e internazionali in grado di contrastarli in modo umano. In prospettiva, queste tendenze caratterizzeranno sempre più il sistema dominante e solleciteranno sempre più reazioni popolari via via più creative e incisive
2. E’ iniziata la transizione verso sistemi alternativi?
Ogni ricerca e ogni mappatura in un numero crescente di paesi, evidenziano la moltiplicazione delle esperienze di base, informali, solidali e dirette a costituire comunità locali sempre più rilevanti. Nel loro insieme forse non sono ancora in grado di incidere sulle logiche dominanti, ma certo delineano con sempre maggiore chiarezza le modalità d‘azione, le caratteristiche umane e sociali e i valori di rottura e alternativi delle persone impegnate. In questa fase, è necessario è necessario costituire reti, sia di scopo che con finalità generali; ampliare rapidamente le reti e i coordinamenti esistenti; costruire collegamenti tra settori e modalità d’azione diversi; costruire un immaginario ben diverso da quello dominante, anche se parziale e imperfetto; costruire comunità locali autonome che però guardano con attenzione tutte le altre esperienze analoghe; moltiplicare gli scambi di esperienze tra paesi e aree diversi; cominciare ad elaborare proposte di funzionamento in grado di sostituirsi in tempi rapidi agli organismi e agli enti intermedi che ancora rispondono alle logiche dominanti. In altre parole, un numero sempre maggiore di persone deve decidere di fare parte attiva di un movimento che erode e si sostituisce alle strutture sociali dominanti (specie quelle più dannose o già in crisi) e spinge per creare immagini e funzioni alternative. La transizione sarà una fase tumultuosa e forse un po’ confusa, ma le esigenze e le urgenze di fondo sono ormai chiare, devono essere solo soddisfatte senza ritardi.
3. Le nuove logiche
E’ piuttosto acquisito, specie in Italia, che i partiti non sono più in grado di interpretare e rappresentare gran parte della popolazione e che i tempi sono maturi per creare delle forme di organizzazione che partendo dal basso, territorio per territorio, facciano emergere i desideri e i bisogni reali delle popolazioni. Finora si è teorizzato (ma anche sulla base di specifiche realtà già emerse e funzionanti) che ogni comunità , indipendentemente dalle strutture amministrative locali, possa individuare i beni di comune interesse da proteggere e utilizzare, e poi su questa base costituisca delle forme di governo locali. Si tende quindi a mobilitare ciascun gruppo di persone su beni comuni che rappresentino una concentrazione di interessi e di impegno collettivi e duraturi e si cominciano a evidenziare successivi raggruppamenti di queste comunità che siano in grado di costituire anche dei corpi intermedi in grado di portare all’esterno le loro esigenze e le loro proposte operative.
Ancora, la necessità di opporsi duramente alle forme di lavoro imposte dalle più recenti tecnologie (intelligenza artificiale in primo luogo) è ormai emersa con molta chiarezza e si è già di fronte ad una pluralità di attività umane, molto qualificate, che si autorganizzano per svolgere le funzioni più necessarie, senza sfruttare le persone e senza danneggiare l’ambiente. Sono forme di produzione agricola e di allevamento, in genere biologiche; sono fattorie didattiche e partecipate dai consumatori; sono forme di economia di riuso e recupero di materie prime; sono produzioni artigianali di alimenti essenziali; sono centri di riparazione e riuso di componenti digitali. Ma ormai è continua la invenzione di attività collettive che coprono bisogni fondamentali senza effetti nocivi collaterali.
4. La manutenzione del Pianeta
Di tutto ciò è opportuno sottolineare un aspetto essenziale, quello relativo alle connessioni con i fenomeni climatici, che vengono denunciati ormai in tutte le sedi, nazionali e internazionali, ma contro i quali ancora ben poco si è fatto. Tutte le attività fin qui descritte sono infatti ben coscienti dei danni arrecati all’equilibrio del pianeta Terra dal sistema economico dominante e del fatto ormai indiscusso che i tempi dei conseguenti fenomeni climatici (riscaldamento globale in accelerazione, scioglimento dei ghiacci, aumento del livello dei mari, moltiplicazione e intensificazione di cicloni e tempeste, perdita di diversità biologica, inquinamento dell’aria e dell’acqua, per citare solo le conseguenze più importanti) dovrebbero essere affrontati in tempi ristrettissimi, mentre ben poco è stato finora fatto per incidere sulle cause degli squilibri ambientali. Invece tutte le attività e le analisi politiche alternative sono estremamente coscienti della gravità della situazione e in pratica hanno rappresentato finora l’unico insieme di esperienze che parte invece da una serie di obiettivi di rispetto dell’ambiente. Riduzione dell’uso di combustibili fossili, eliminazione dei prodotti chimici pericolosi in agricoltura e nei cibi industriali, coltivazioni biologiche, riduzione dei mezzi di trasporto più nocivi, riduzione delle esposizioni di persone e case a inquinanti specie se cancerogeni, riduzione degli sprechi alimentari sono parte integrante delle attività alternative .Ovviamente non incidono direttamente sulle strategie produttive delle imprese e delle transnazionali, ma contribuiscono indubbiamente a modificare le scelte dei consumatori e delle famiglie e a modificare le tendenze di fondo dei mercati.
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