Femminicidi – Paola Volpato

25 Novembre 2022

Paola Volpato è un’artista veneziana che lavora nel campo delle arti visive e della poesia attraverso pittura, video e installazione, disegno ed è impegnata da anni in azioni culturali di denuncia contro la violenza sulle donne e sulla natura. Durante questo mese di novembre ha allestito la sua mostra “Femminicidio 2015-2022” sia a Treviso che a Zelarino (Ve).

L’opera Femminicidio 2015-2022, iniziata nel 2015, è un work in progress: ogni anno, infatti, l’artista esegue i ritratti di tutte le donne vittime di femminicidio in Italia. Tra le prime artiste in Italia ad occuparsi di questo tema, Paola Volpato è nota per la forza e l’umanità di questa sua opera, già esposta in sedi istituzionali quali il Parlamento italiano, musei, sale espositive, biblioteche pubbliche.

Desiderio dell’artista è ricordare e ridare un volto alle donne vittime della violenza di genere, per non farle scomparire come desideravano coloro che le hanno uccise.

Nel catalogo della mostra è stata inserita una mia riflessione che affronta il tema della violenza femminicida da un punto di vista filosofico. Questo è il testo:

“Una virilità rifondata sul rispetto delle donne.
Guardo i ritratti, che Paola Volpato ha dipinto, delle donne colpite a morte da un uomo e penso: non si salva nessuna! Non c’è nulla che ti possa mettere al riparo dalla violenza maschile: non la bellezza, non la simpatia, non la ritrosia, non l’eleganza, non la modestia, non la cultura, nemmeno l’età. Sembra che non ci sia un perché, non ci siano ragioni, se ti capita di incontrare la morte là dove spesso hai cercato l’amore. Pure le ragioni ci sono, ma non dipendono da quello che una donna dice, pensa, fa. E non dipendono nemmeno da quello che dice, pensa, fa un uomo, perché quella che scatta in lui è una reazione atavica, è il risultato di una profonda e mistificante “educazione” sentimentale del maschio che si radica nella “civiltà” da millenni impostasi sul pianeta.
L’identità di un uomo è costruita sulla convinzione che il Soggetto è maschile, mentre l’oggetto è femminile; che sono gli uomini a dettare le regole, le donne a subirle; che l’ordine sociale, politico, religioso, culturale deriva dalle scelte di un Dio che ha dato ad Adamo il dominio sulla natura e sulle creature viventi, cui infatti egli dà un nome. Anche a lei: si chiamerà isha, poiché è stata tratta da lui, ish.

Lei tace, parlerà più tardi, con il serpente che la tenta e la convince a disobbedire al comando divino, trascinando con sé nella colpa anche Adamo.

Il castigo di Dio non si fa attendere e da allora donne e uomini vivranno in esilio, perduto il Paradiso.

Gli uomini che hanno scritto questa storia avevano in mente degli obbiettivi precisi:
fondare la superiorità di lui, Adamo, creato prima di lei e dotato del potere di dominare tutti gli esseri viventi; colpevolizzare le donne, far loro credere di essere l’origine di tutti i mali, di tutte le sciagure che incombono sull’umanità.

Per millenni questa narrazione si è imposta come assolutamente veritiera, incontestabile, poiché basata sulla parola di Dio, che non erra, che non mente.

Io, che sono una donna, non ho fatto tanta fatica a trovare le falle di questo racconto, perché vedevo tutto il vantaggio di liberarmi di questo fardello.

Loro, gli uomini, sembrano più legati a questa tradizione e raramente la rifiutano, perché, come ricorda Simone Weil, riportando un passo di Tucidide,

“dato che l’animo umano è quello che è, si può prendere in esame ciò che è giusto solamente se c’è uguale necessità da entrambe le parti. Ma se si fronteggiano un forte e un debole, il primo impone ciò che è possibile e il secondo accetta… per legge di natura ognuno comanda sempre, dovunque ha il potere di farlo”.

Uscire da questa logica, che è logica di guerra, è quasi impossibile per un essere umano e, infatti, quasi tutti gli uomini, che si identificano con i forti, agiscono in questo modo nei confronti delle donne, che hanno imparato a considerare deboli.

Per millenni è stato loro insegnato così da chi ha volutamente occultato un’altra forma di civiltà, una differente sapienza che esistevano molto prima che il dominio incontrastato dell’ordine a radice androcentrica si imponesse su tutte e tutti. In questo passato, che solo oggi stiamo riscoprendo, la forza delle donne era alla base di ogni relazione umana, politica e sociale, di ogni sapere, di ogni espressione della sacralità.

Finché non avverrà una trasformazione profonda, finché non sarà fatta luce sulla storia “nascosta”, come la definiva la filosofa spagnola Maria Zambrano, non sarà possibile, anche secondo lo storico e scrittore francese Ivan Jablonka, creare un ambiente politico in cui la virilità non venga intesa come autorizzazione all’omicidio-femminicidio, in cui possa esistere una mascolinità rifondata senza il disprezzo della nascita da madre. La misoginia, di cui è imbevuto il pensiero dominante, emerge dalle cronache quotidiane, sempre più numerose, delle violenze che le donne subiscono in ogni ambiente sociale, culturale e artistico, come il movimento Me Too ha evidenziato a partire dal 2017 con le denunce delle attrici americane.

A poco servono le misure giuridiche e penali che si propongono di “mettere in sicurezza le donne”, come se fossero delle creature da proteggere: la cronaca quotidiana ce lo dice con aspra crudezza.

Quello che le donne vogliono è poter scegliere in libertà, seguire il proprio desiderio, agire la propria forza, che è stata indebolita da secoli di segregazione, di allontanamento dalla madre, di isolamento dalle proprie simili.

La rivoluzione femminista, l’unica nella storia che non abbia provocato spargimento di sangue, è avvenuta ma non basta ancora a fermare la violenza femminicida. Adesso tocca agli uomini: la responsabilità è loro, a loro spetta avviare un processo di rinuncia ai privilegi, che la società garantisce solo a chi riconosce la legge del Padre. Per loro è venuto il tempo di mettersi in ascolto della parola delle donne, di imparare a riconoscere la Sapienza femminile. Ne ricaveranno il vantaggio di vivere in un mondo più felice, più giusto, più libero per tutte e per tutti.

Questa è la speranza che muove Paola Volpato a confrontarsi da anni con i volti di tante e tante donne, ognuna ricordata con il proprio nome, ognuna ritratta con cura amorevole, ognuna collegata ad una morte crudele, inferta a pugni, coltellate, martellate, a colpi di arma da fuoco o per soffocamento.

La consapevolezza del numero altissimo di queste vittime non può che far crescere la determinazione a porre fine all’ingiustizia, alla prevaricazione, allo squilibrio che ancora avvelenano i rapporti tra donne e uomini. Il lavoro di Paola Volpato ha un significato politico profondo perché parla a tutte e a tutti e avvia una riflessione articolata e complessa, una partecipazione sentita e accorata, preludio di una trasformazione non procrastinabile dei rapporti tra i sessi, che le donne hanno da lungo tempo avviato, in attesa che nasca finalmente un uomo nuovo”.

Nadia Lucchesi