Eccoci qui finalmente. Benvenute a tutte. Sappiamo che venite un po’ da tutta l’Italia. Ancora una volta ciò che è rimasto in noi vivo della bella esperienza del Centro Virginia Woolf, il nostro femminismo, ci ha fatto muovere, prendere aerei, treni, ci ha fatto spostare, come una volta, e ora siamo qui. E quello che dovremo fare è proprio cercare di capire e mettere in parole cosa vuole dire questo nostro desiderio di essere insieme qui oggi.
Dare conto, insomma, di questa impresa.
Da parte nostra, e parlo a nome anche di Franca Chiaromonte che è qui accanto a me, nei nostri piccoli appelli quindicinali, non vi abbiamo dato certezze ma tante domande, abbiamo interrogato la nostra storia nei suoi momenti alti, ma anche nei suoi fallimenti, abbiamo raccontato grandi gioie e anche grandi delusioni.
Siamo alla ricerca di un senso da dare non solo alle defaillances della nostra storia ma anche a quello che ci capita oggi. Perché pensiamo che tutto quello che sta capitando intorno a noi è frutto anche di nostri errori, è anche nostra responsabilità. Non siamo pessimiste eppure pensiamo che mai così poco le donne hanno contato nella storia di questo paese.
Pensiamo di trovarci in una situazione di debolezza politica mai sperimentata dalla nostra generazione. Eppure qualcosa si presenta come novità forte, una donna è per la prima volta Presidente del Consiglio, in questo stesso momento sta giurando con il suo governo al Quirinale. Non è una di noi, non condividiamo i suoi valori, ce ne farà passare delle belle,
ma è inutile far finta di niente. Il piano simbolico lo registra. E con questo apro e chiudo sulla Meloni. La Meloni è un problema, ma oggi qui ci interessa parlare del nostro problema che è enorme.
Da qui il desiderio di tornare a pensare insieme, perché pensare insieme ha sempre prodotto una grande energia e di questa ne abbiamo oggi un enorme bisogno.
Però non vi aspettate proposte, perché non ne abbiamo, speriamo di trovarne.
Oggi abbiamo voglia piuttosto di fare il punto di dove siamo, dire i nostri dubbi, raccontare le nostre difficoltà, le contraddizioni e tutto ciò che, secondo la nostra esperienza, si mette di traverso per un mondo possibile alle donne, tutto ciò che fa ostacolo. Certo, per fare questo, ci vuole forza, ma nessuna ha mai dubitato della nostra forza, ma che finora si è misurata,
questa è a volte la nostra sensazione, più nel fare fronte a un mondo ostile e combatterlo, piuttosto che nel progetto di cambiarlo. Anche se la vita di ciascuna di noi è molto cambiata e siamo state anche molto felici, tuttavia abbiamo la certezza che il lavoro non sia finito.
Raccontarci tutto questo con sincerità, questo è il programma di questo nostro incontro. Facciamo insieme una mappa dello stato delle cose. Dove siamo, come siamo, come ci sentiamo.
Ricordiamoci che le donne hanno reso migliore questo paese e possiamo continuare a farlo.
Per parlare di tutto questo in libertà abbiamo deciso di non fare alcun collegamento in streaming, di non registrare nulla di quanto ci diremo.
Siamo state molto criticate per questo, lo capiamo, accettiamo la critica, ce ne scusiamo, ma per noi viene prima la garanzia della sincerità e della parola libera. Quindi dobbiamo tener presente, noi che siamo qui, che stiamo partecipando a una esperienza unica e irripetibile.
Oggi abbiamo delle figure di donne in posizioni apicali, una visibilità grande.
Le grandi istituzioni europee, per esempio sono nelle mani di donne. Mai successo prima. Abbiamo rotto il famoso tetto di cristallo? Certamente si, ma la sensazione non piacevole è che i cocci sono nostri, come dice il proverbio. Chi rompe paga. La sensazione è che, non ovunque, ma in alcuni luoghi importanti ci si faccia pagare per la nostra libertà. Dove? ce lo direte voi. Voi, noi siamo il mondo, tra di noi ci sono insegnanti, avvocate, mediche, giornaliste, casalinghe, giudici, sindacaliste, politiche, che speriamo parlino a partire da sé senza dover difendere o rappresentare nessuno, impiegate, funzionarie, giornaliste, disoccupate.
La regola per tutte è partire da sé, vecchia formula femminista che ha avuto
un’efficacia straordinaria.
Cominciamo quindi da noi. Il noi non è papale, è un vero noi, intendo me e Franca.
Io e Franca Chiaromonte siamo state una coppia, non una coppia sentimentale anche se ci vogliamo molto bene, siamo state una coppia politica, che significa che abbiamo prodotto azioni politiche, non solo parole. Se cerchiamo per noi una definizione, quella che ci rappresenta di più, quella che ci spiega agli occhi del mondo, quella che ci connota in modo
più radicale è la definizione di femminista. Io e Franca siamo profondamente femministe. Che vuol dire che il femminismo per noi non è stato qualcosa di aggiuntivo, di domenicale, è stato qualcosa che ha permesso la nostra intelligenza, alla lettera, ci ha fatto capire il mondo, ci
ha dato un punto da cui poter guardare e pensare.
Questa magnifica opportunità ce l’ha data il pensiero della differenza, vedere finalmente e accettare la differenza dell’essere donna nel nostro corpo, nella nostra esperienza di vita e nella storia che ci ha prodotto. Il pensiero della differenza ci ha permesso di uscire dalla trappola dell’idea dell’uguaglianza, idea di uguaglianza apparentemente, ma solo apparentemente, via di liberazione da una condizione sottomessa. La mia generazione, più che quella di Franca, ha creduto a questa idea. Ma essere uguali agli uomini era un ideale assolutamente astratto, che non teneva conto della realtà. Gli uomini, per conto loro, non hanno mai creduto a questa idea, essere uguali alle donne ai più, nel profondo, ha sempre fatto orrore. Naturalmente nessuno è disposto a dirlo. Certo ci sono delle eccezioni.
Parlando in modo così spietato dell’ uguaglianza come falso progetto, è chiaro che non sto parlando dei diritti che in quanto tali spettano a tutti non per essere donne o uomini ma per la dignità, che ogni essere che viene al mondo, ha.
Quando si comincia a pensare il mondo dalla differenza, non si torna più indietro, quel pensiero non ci lascia ed è per tutta la vita. Ma non è una fede, è quello che noi chiamiamo “materialismo estremo”, che appartiene solo a noi donne. Chissà la cura dei corpi e della vita quotidiana a cui l’ordine patriarcale ci ha destinate per secoli, ma soprattutto l’essere madri, o poterlo comunque essere, avere avuto l’opportunità di guardare l’umanità così da vicino, ci ha permesso una conoscenza profonda degli umani che gli uomini non hanno.
Da questo pensiero e forti di questo pensiero Franca ed io abbiamo fatto molte cose. Per la disgrazia di Chernobil, abbiamo organizzato una manifestazione e un covegno, non semplicemente contro il nucleare, ma per ragionare su quello che a nostro avviso la civiltà di cui facevamo parte stava pericolosamente perdendo: il senso del limite. E’stato una profonda
critica all’idea di un progresso senza condizioni, senza limiti, da parte delle donne. Oggi profondamente attuale. E in questa esperienza abbiamo aperto un terreno comune di scambio tra le donne del femminismo e le donne del Partito Comunista, in certi ambienti molto criticato. Ma noi volevamo incontrare altre donne e fare del pensiero della differenza un
pensiero comune, allargare i confini del femminismo.
Quello che pensavamo era che la forza delle donne potesse solo formarsi attraverso la forza delle altre. Il passaggio della forza poteva avvenire solo tra simili. Che vuol dire che la forza di un uomo la potevamo solo ammirare ma non era transitiva per noi. Solo la forza delle donne è transitiva alle donne. Da qui uno slogan, che tutte voi ricorderete: dalle donne la forza
delle donne.
E così abbiamo affrontato quella grande esperienza che fu la Carta delle donne del Partito Comunista. L’idea è partita sempre da quel terreno, che già si era fatto comune a cui io e Franca lavoravamo: introdurre il pensiero della differenza in un partito politico, e che partito politico! Un partito dove il dogma era l’uguaglianza tra i sessi, naturalmente affermata ma non praticata. Il progetto riuscì grazie all’intelligenza e la disponibilità di Livia Turco, che condivise questo pensiero in modo radicale, coinvolse altre donne che fecero un lavoro enorme su tutto il territorio. Le donne cominciarono a praticare una sorta di separatismo ideale, sentirsi differenti fece sì che la loro storia di donne prese valore e senso. Fu un periodo
bellissimo, che dette frutti concreti non solo ideali. Il Parlamento si riempì di donne, come mai prima. Questa fu quella che noi definiamo un’azione politica.
Quale era l’ingenuità mia e di Franca? Quella di pensare che la vitalità, la sapienza del femminismo della differenza, quel sapere di sé delle donne, fosse facilmente esportabile ovunque. Contavamo sulla forza delle donne, la vedevamo come una forza inarrestabile, non facevamo i conti, con il muro di gomma che l’ordine del potere, con le sue regole dette e non dette, con la forza stessa del potere, che è sempre conservatrice, ci schierò di fronte. E non facevamo i conti anche con qualcosa che non ci aspettavamo, che era anche in noi stesse, una ritrosia verso il potere, una non volontà di leaderscip.
In questi anni abbiamo visto le donne arretrare. Questo sembra una falsità, perché oggi veramente le donne stanno ovunque, mostrano i loro talenti, ricevono riconoscimenti, sono apprezzate. Eppure ancora il mondo non è fatto per loro, non è a loro misura e non è ordinato da loro e viverci richiede sforzi immensi. Tanta presenza di donne riesce a nascondere a mala pena una realtà più cruda: le donne sono le più povere del paese, le più disoccupate, le meno servite le più sfruttate.
La povertà delle donne non è una disgrazia, è un progetto molto chiaro. A questa società ancora ad assetto patriarcale servono di più le donne povere che le donne ricche, e diciamo ricche per dire donne che possono vivere del loro lavoro. Il lavoro delle donne è stato sempre considerato aggiuntivo. Là dove le donne sono presenti più degli uomini, gli stipendi sono più bassi. Basti pensare alla vergogna della scuola italiana, dove un insegnante con il suo stipendio non arriva a mantenere la sua famiglia. Se vogliamo cambiare di senso a questa società, e do per scontato che questo sia il nostro desiderio, le donne devono guadagnare di più, molto di più.
Che partiti e sindacati prendano nota.
Di fronte all’estrema debolezza politica delle donne di questo momento, è giusto chiedersi cosa è successo. Noi ci diamo questa risposta: abbiamo perso il senso alto della differenza. La differenza rischia di essere interpretata nuovamente come debolezza che le donne stesse si impegnano a sanare, a proteggere in ossequio a un ordine ancora patriarcale di un’idea di donna debole e bisognosa. Il femminismo radicale si è perso in tanti femminismi che non riescono più ad avere un vero ascolto, né a produrre azioni politiche e se le producono restano senza conseguenze. Il femminismo radicale si è perso anche in tanti piccoli femminismi che procedono per piccoli obbiettivi, alla ricerca di piccoli finanziamenti per piccole ricerche, piccole imprese. Ci siamo imborghesite, abbiamo perso il senso forte alto della differenza.
E poi l’inimicizia, il sospetto che c’è tra noi, oggi rende perfino difficile comporre inviti per una piacevole cena a casa propria.
Quando raccontiamo che abbiamo guadagnato la legge sull’aborto mentre c’era la Democrazia Cristiana al governo, nessuno ci crede. Eppure è proprio così. L’abbiamo ottenuta contro tutti. Solo il Partito Radicale era con noi. Il Partito comunista era titubante, sono state le donne del Partito insieme alle donne dell’UDI a imporsi. La minaccia era: andarsene. La minaccia era l’abbandono.
C’era a quell’epoca un forte movimento femminista ben visibile. Si creò un circolo virtuoso tra le donne nelle istituzioni e le donne fuori dalle istituzioni. Così si vinse quella battaglia che sembrava impossibile.
Però bisogna dire che cosa era il femminismo a quell’epoca. Il femminismo era più che fuori dalle istituzioni, era distante, in quel tempo ci trovavamo in una sorta di sospensione della cittadinanza. Ci sentivamo estranee, ci sentivamo fuori, non eravamo di nessuno se non di noi stesse, impegnate a far saltare tutte le definizioni, tutto l’ovvio, tutto il falso naturale con cui la cultura dominante si impegnava a prescrivere come dovevamo essere.
Quel senso di estraneità ci rendeva fortissime. Se c’è un periodo in cui abbiamo assaporato il gusto della libertà, è stato quello. Eravamo tantissime e felici. Il movimento delle donne metteva paura.
Ci chiediamo: per ritrovare quella forza, ormai perduta, dobbiamo tornare a sentirci estranee? dobbiamo tornare a mettere paura? La ricetta potrebbe essere questa?
Per arginare la grande stagione del femminismo della differenza, che produceva tanta forza delle donne, la politica, le istituzioni, il potere si affrettarono a produrre quello che chiamiamo femminismo di Stato, l’orribile trappola delle pari opportunità. Il soggetto di questa politica, la
sua regina è la donna vittima, vittima della violenza maschile, se ne riempiono i giornali. La violenza diventa quasi unico tema politico. Si istituisce la giornata contro la violenza alle donne, mondiale. Il 25 Novembre è una sorta di perverso Halloween. Si celebra nei licei di tutta Italia uno strano carnevale, le ragazze si truccano con delle cicatrici, si fanno gli occhi neri. Manifesti ovunque per tutte le città con immagini da film dell’orrore, ragazze con bocche cucite con il fil di ferro, cranii aperti, bocche sanguinanti. Ogni amministrazione fa del proprio meglio, vacanza a scuola e diventa quasi una festa. Anche l’otto marzo, giornata per noi
della memoria, rischia di essere fagocitata da questo tema.
Possibile che non ci accorgiamo della perversa pedagogia che tutto questo nasconde? Pensiamo che quel cambiamento che stiamo cercando ce lo possa garantire la figura della vittima? Che la nostra libertà possa avere il senso di un risarcimento? Togliamocelo dalla testa, la figura della vittima è estremamente rassicurante per il sistema, dice che niente sta veramente cambiando. Eppure è il tema della violenza che oggi muove le donne dentro e fuori le istituzioni. Nessun progetto di cambiamento, nessuna visione di una vita migliore per noi, nessuna invenzione. Tutta l’energia sta nel difenderci. E perfino la giustizia a cui ci appelliamo, spesso ci rinfaccia la nostra debolezza con delle sentenze che fanno vergogna alla ragione. Tutto questo ci indebolisce terribilmente. Con questo non vogliamo dire che la
violenza non esiste, è un gravissimo problema che va affrontato, e a chi la cura va la nostra grande gratitudine. E’ un enorme problema, vogliamo solo dire che non è per noi un tema politico. E’ la nostra tomba.
Ci viene da chiederci cosa abbiamo sbagliato? Cosa ancora stiamo facendo male? Cosa dovremmo fare per essere efficaci, per essere interlocutrici imprescindibili nelle scelte che determinano la vita di tutti e tutte. Oggi non lo siamo. Non ci inventiamo scuse. Abbiamo fatto tanto, è vero, ma i valori della nostra storia restano inascoltati e soprattutto non riusciamo a renderli determinanti. L’assetto del nostro paese è ancora profondamente patriarcale. E c’è da rattristarsi del fatto che la sua più potente cinghia di trasmissione sia la scuola, nonostante è praticamente in mano alle donne.
Ma forse non è così anche nei tribunali? nei partiti politici? In ogni luogo dove si prendono decisioni per tutti è in atto una resistenza profonda alla libertà delle donne, alla loro presenza libera.
La storia è ancora quella degli uomini, sono loro che fanno e disfano, dettano regole. Il mondo somiglia ancora a loro, molto poco somiglia a noi.
A ricordarcelo con chiarezza sta la guerra, questa guerra, così vicina ce lo ricorda ogni giorno. In guerra la virilità è un valore, non se ne fa un mistero, si celebra, produce eroi. Beato quel paese che non ha bisogno di eroi. Chi ha detto questo è certamente una donna, se non l’ha detto una donna, l’ha detto qualcuno che è stato capace di accogliere in sé il valore della nostra storia. Quanto sono diversi i racconti di guerra fatti dagli uomini, dai racconti di guerra fatti dalle donne. Là si può misurare, quasi toccare con mano, la presenza di due storie diverse, di due civiltà diverse che sono andate parallele nel corso della storia.
Ma oggi c’è da dire che anche noi abbiamo intrapreso una guerra. Quando si parla di denatalità, oggi un grande e vero problema della nostra società, si piazza in genere questo concetto in un non luogo, oppure se ne dà colpa alle donne, che sarebbero diventate edoniste ed egoiste. Abbiamo anche sentito dire questa bestialità: volete che le donne tornino a fare figli?
Togliete loro i libri. In realtà la denatalità, il non fare più figli è l’accusa più radicale, il giudizio più severo, che le donne possono fare alla società così come è oggi. Oggi una donna è libera, e la sua libertà fa sì che mettere al mondo un figlio non è più un destino ma è una scelta. Irresponsabile mettere al mondo un figlio a rischio di povertà, consegnarlo a un destino
di sopravvivenza e non di vita. Impensabile mettere al mondo un figlio se questo ti costringe a una vita impossibile.
La nostra è una guerra speciale, non è come quelle degli uomini dove vince chi fa più morti. La nostra guerra oggi è non fare più vivi. Questo è molto amaro. E’un giudizio terribile, radicale, che la società deve imparare ad ascoltare e cercare rimedio. Ma è solo una buona politica che può porvi rimedio.
A guardare la distribuzione dei soldi che arrivano e arriveranno per questo famoso sostegno e rinnovamento del nostro paese, non ci sembra di rintracciare nessuna volontà di cambiamento. Lo vediamo dai progetti assenti sulla scuola, sui servizi, sulla sanità, sulla vivibilità. Ancora una volta quello che ci si prospetta è una tempesta perfetta: crisi economica, crisi energetica, crisi climatica, crisi epidemica e aggiungiamo anche un governo
di estrema destra. Tutto questo, lo sappiamo, peserà soprattutto sulle nostre spalle.
Paradossalmente, in questa drammatica situazione le donne politiche della cosiddetta sinistra potrebbero avere la loro grande occasione se lo volessero, se fossero capaci di uscire da una logica e imporne un’altra e uscire da questo silenzio inespressivo. L’insuccesso elettorale, l’estrema debolezza, l’assenza di una prospettiva, sentirsi dire solo che “faremo opposizione” che, nella situazione in cui ci troviamo, è proprio il minimo sindacale, il grado zero della politica, aprono uno spazio che le donne potrebbero occupare. Sarebbe il momento che le donne si facciano avanti con la loro storia
Ma per farlo pensiamo che sia obbligatorio uscire in fretta dalla narrazione della nostra debolezza, tanto cara a quello che abbiamo chiamato femminismo di Stato. Per cambiare è necessario darsi conto della forza che abbiamo, quella ci ha fatto sopravvivere a una storia pesante di negazioni, esclusioni, di umiliazioni. E anche riconoscere il valore a quella forza del giorno per giorno, quella forza speciale che non è quella della guerra che uccide, ma è quella che cura, che presta attenzione, che consola, che accoglie. Noi veniamo da lì. Questa è stata la nostra storia. C’è chi se ne vergogna perché la considera una storia misera, invece è una grande storia, che dobbiamo imparare a raccontare soprattutto alle nostre
ragazze.
Pervertire la nostra forza in debolezza, teniamolo presente, è stato il sinistro capolavoro del patriarcato. Bisogna tapparsi le orecchie e uscirne in fretta.
Per cambiare è necessario anche uscire dalla ossessione dei diritti. Tutto non può essere trasformato in diritti. La politica dei diritti toglie l’immaginazione, impedisce la creatività necessaria per creare una società diversa. Non può esserci rivoluzione senza immaginazione, e la nostra è una rivoluzione. “Vi è un cattivo modo di credere di avere dei diritti e un cattivo modo di credere di non averne” dice Simone Weil. Teniamoci cari quelli che abbiamo e adoperiamoci che siano rispettati.
E per ultima nominiamo la cosa più importante. Niente potrà cambiare veramente finché non capiremo il senso e il valore del nostro esserci.
Finché non riusciremo a guardare all’umanità come il contadino guarda a un campo di grano, come si guarda una propria opera. Senza questo senso di signoria, questo senso di sé profondo, nulla potrà cambiare.
Franca e io ancora crediamo che se esiste un soggetto che potrebbe riportare la politica a essere un servizio, un dovere, un impegno e non un mestiere, perché a questo stiamo assistendo, sono le donne, se fossero capaci di far parlare la loro storia, i loro sentimenti, la loro esperienza e mettessero da parte connivenze, timidezze, paure. E se imparassero a
essere disobbedienti
In questi giorni abbiamo guardato al coraggio delle donne iraniane non con ammirazione ma con profonda gratitudine. L’azione libera di una donna ha una grandissima forza, la sua parola libera produce libertà. Qui ne abbiamo sentito la mancanza Consideriamo come prima necessità una forte ripresa del tema della differenza e un’elaborazione attualizzata del concetto di estraneità, che in altri tempi tanta forza ci ha dato. Modulare differenza e estraneità nelle situazioni presenti e tornare a progettare.
Oggi si sente parlare tanto di Dio, Patria e Famiglia. Se ci sono stati tre nemici giurati delle donne sono proprio stati questi. Ai tempi del Virginia Woolf le donne che credevano in Dio, e ce ne erano, si chiedevano: se veramente Dio è buono e giusto perché ha messo metà delle sue creature a fare le serve all’altra metà? E ancora: come fare ad amare la Patria se la Patria nel lungo corso della storia quando ha chiamato, ha portato via i figli e troppi li ha riconsegnati cadaveri. Per la famiglia si discuteva tanto, le donne hanno tanto raccontato. E alla fine tutte sapevamo che per una donna la famiglia poteva essere un inferno. Così il lavoro che si faceva era dare un senso nuovo a questi vecchi concetti. La Patria, senza confini, erano i luoghi amati, la famiglia erano coloro che ci amavano e che amavamo. E Dio, anche l’idea di Dio doveva cambiare, si era alla ricerca di un Dio veramente buono e giusto e che soprattutto ci somigliasse. Via le maiuscole, quindi. Questo era il nostro lavoro: desacralizzare per rendere tutto più umano e vero. Anche questo dobbiamo continuare a farlo oggi più che mai
Grazie.
E’ necessaria una ripresa politica delle donne
Alessandra Bocchetti Franca Chiaromonte
Mentre il cielo si sta annuvolando
Roma Cinema Farnese
22/23 Ottobre 2022
Intervento di apertura