Ogni volta che ho trovato un libro da cui attingere visioni e speranze per un possibile mondo migliore me lo sono tenuto vicino, a portata di mano e questo è uno.
E’ uscito in italiano negli Oscar Bestseller Spiritualità lo scorso anno e negli Stati Uniti nel 2013. L’autrice, Robin Wall Kimmerer, ci parla di un mondo basato sulla gratitudine e sulla reciprocità e delle sue esperienze di vita alla ricerca di quel “filo luminoso che tiene insieme il tutto”
Nel sottotitolo c’è già il messaggio di questo libro Saggezza indigena, conoscenza scientifica e gli insegnamenti delle piante, ovvero la storia di una biologa di ascendenza anishinabekwe che nella vita cercava ciò che veramente conta. Anishinabekwe è “il popolo delle origini” che comprende diversi gruppi nativi del Nordest americano.
E’ un libro su quel connubio fra scienza e spiritualità in cui l’umanità sta cercando vie di uscita dalla paranoia distruttrice da cui siamo affetti.
Al colloquio di ammissione al primo anno di università alla domanda “perché vuole iscriversi a botanica?” La giovane Robin rispose che voleva imparare per quale motivo Astro del New England (Aster_novae-angliae) e Verga d’oro del Canada (Solidago_gigantea), due piante selvatiche con fiori porpora l’una e gialli l’altra stavano così bene insieme e li si trovava sempre vicini nei campi. Naturalmente il consulente di facoltà rispose scandalizzato che la scienza non si occupava di tali facezie. “Nessuno chiedeva alle piante: cosa potete insegnarci? La domanda principale era: Come funziona?”
Dopo una brillante carriera – master, dottorato, incarico in facoltà – Robin Wall Kimmerer riconosceva il privilegio di disporre dei potenti strumenti della scienza ma si sentiva come quella giovane guida della foresta fluviale che conosceva tutti i nomi delle piante anche più sconosciute ma ai complimenti del botanico che accompagnava in una esplorazione rispose:
“Ho imparato i nomi di ogni arbusto ma devo ancora impararne il canto.”
Ma la magia della vita le offrì presto l’occasione di recuperare quel canto sul sentiero della sapienza indigena grazie all’invito ad una riunione di anziani nativi per parlare della conoscenza tradizionale delle piante “Una donna Navajo che non aveva mai messo piede in una facoltà di botanica, parlò per ore…ci raccontò le piante della sua valle” Ogni particolare, dove vivevano, quando fiorivano, chi le mangiava e chi costruiva il nido con i loro rametti e tanto, tanto altro ancora.
“Parlò di bellezza”
La bellezza è il motivo per cui le due piante, Astro e Verga d’oro, nascono sempre vicine l’una all’altra.
La spiegazione è scientifica, artistica ed estetica allo stesso tempo.
“Perché insieme sono tanto belle? E’ un fenomeno allo stesso tempo materiale e spirituale per il quale abbiamo bisogno di tutte le lunghezze d’onda, di una profonda percezione”.
La spiegazione scientifica è che l’occhio umano percepisce i colori attraverso i cosiddetti “coni”, ciascuno specializzato per assorbire la luce da diverse lunghezze d’onda. Uno dei coni percepisce in modo ottimale due colori: porpora e giallo, i due colori dei fiori delle piante in questione. Due colori complementari. Cioè uno opposto all’altro: basta il tocco di uno per far risaltare l’altro, come sanno bene gli artisti. E così
“Crescendo l’una accanto all’altra, entrambe le piante ricevono più visite da parte degli impollinatori… Scienza e sapienza tradizionale potrebbero essere porpora e giallo l’una per l’altra….Usandole entrambe la nostra conoscenza del mondo è più completa.”
E’ un libro pieno di storie antiche, riflessioni contemporanee e sguardi di giovani studenti, nuove metafore per una relazione “tra sapienza indigena e scienza occidentale”.
Un libro che ci fornisce elementi audaci che riusciranno a renderci capaci di immaginare “un futuro in cui la monocoltura intellettuale della scienza sarà rimpiazzata da una pollicoltura di conoscenze complementari.”
Nel tentativo di imparare la lingua dei suoi avi, il Potawatomi, l’autrice scoprì che si tratta di una lingua che considera “l’universo una comunione di soggetti, non una collezione di oggetti.” Oggetti sono ciò che è costruito dall’essere umano.
Di un tavolo in Potawatomi si chiede “che cosa è?” E si risponde è un tavolo. Ma di una mela si deve chiedere “Chi è quell’essere?” Essere: avere in sé il soffio della vita.
Ciò che Robin Wall Kimmerer cerca di insegnare ai suoi allievi è la grammatica dell’animazione cioè una grammatica per una lingua che riesca a far conoscere il mondo come un luogo di residenti non umani.
“Quando diciamo a un bambino che un albero non è un lui, ma un esso l’acero diventa un oggetto; mettiamo una barriera tra noi assolvendoci dalla responsabilità morale nei suoi confronti e aprendo la porta allo sfruttamento.”
E’ un libro che parla di saggezza dall’interno dell’ anima indigena, per indicare una strada verso quel rispetto della natura che è sicuramente una delle carenze più pericolose della nostra cosiddetta civiltà. Una carenza che ci ha privati di uno dei più grandi talenti umani: la gratitudine.
Robin Wall Kimmerer chiama le culture indigene, culture della gratitudine e della reciprocità.
“…la gratitudine ha il potere di dare vita a una catena di reciprocità. …. Se le mie figlie mi abbracciano per farmi capire che apprezzano ciò che faccio , mi viene voglia di stare alzata fino a tardi a cucinare biscotti per il giorno dopo. L’apprezzamento genera abbondanza.”
E’ un libro di delicati racconti “che possono rimarginare le ferite inferte al nostro rapporto con la terra” e far riflettere sulle tante e a volte inconsapevoli connivenze.
Il racconto di come traghettare orde di salamandre attraverso una strada trafficata durante il loro esodo verso i luoghi per la procreazione: in cerca forse della propria innocenza o forse di una assoluzione? O forse in cerca di un confronto con “una nostra innata xenofobia” che nella fattispecie si esprime nei confronti di esseri freddi, viscidi, quasi ripugnanti!
Ma anche racconti per insegnarci che tutto quello che dobbiamo sapere per vivere è già sulla terra e che il nostro compito non è cambiare il mondo ma imparare dal mondo ad “essere” esseri umani.
Come il racconto dell’avventura di vita di Franz Dolp, economista e poeta e attivista per il ripristino delle foreste primarie, e di come aveva piantato 13.000 alberi e dato vita ad una iniziativa singolare: il progetto chiamato Spring Creek Project capace di “unire la saggezza pratica delle scienze ambientali, la chiarezza dell’analisi filosofica e il potere creativo, espressivo della parola scritta, trovare modi alternativi di comprendere e immaginare nuovamente la nostra relazione con il mondo naturale”, un luogo di incontri, eventi, ispirazione, in cui trovare i modi per guarire i luoghi che amiamo.
Giusi Di Crescenzo