Il pensiero di Ildegarda, seppure molto lontano nei secoli, ci parla ancora oggi perché è un pensiero sapienziale, un pensiero che non si separa dalla vita, ma ne accompagna e ne riflette gli aspetti di trasformazione, collegando consapevolmente le esigenze cognitive della ragione e le dinamiche concrete del vivere e così producendo una conoscenza che ha il suo fulcro nella relazione dell’essere umano con il mondo in tutti i suoi aspetti materiali e spirituali. In Ildegarda questa sapienza si esprime nella modalità profetica, intendendo con profezia non la divinazione del futuro, ma la trasmissione di un messaggio simbolico che proviene da una realtà più grande dell’io.
Ildegarda ne rende intuitivamente comprensibile il significato presentandosi come “la piccola tromba” attraverso cui si esprime la parola divina.
Tema centrale di tutta l’opera ildegardiana è la reintegrazione dell’armonia originaria della creazione, che essa vede spezzata, secondo il mito biblico, dalla caduta dell’angelo ribelle e dai successivi tentativi di questi di rivalersi su Dio attraverso gli esseri umani, nel peccato originale e nelle successive manifestazioni del male nella storia. La reintegrazione avviene attraverso il riconoscimento della presenza divina in tutta la creazione, e questo riconoscimento – che porta a concepire una specie di ritorno alla condizione goduta nel giardino dell’Eden – si esprime in maniera pregnante nel termine viriditas.
La viriditas, qualità che immaginativamente rinvia proprio alla bellezza del paradiso perduto e che si manifesta per Ildegarda sia nell’ambito dei corpi che in quello spirituale, deriva dall’energia infuocata, ignea vis, attraverso cui la trinità divina opera nel creato, prerogativa speciale della terza persona, lo Spirito santo. La creazione, fin nelle sue minime espressioni è animata infatti dalla linfa vitale, che proviene dal fuoco della vita divina e nella creazione si esplica fino a compiersi nella vita divino-umana del Cristo incarnato.
Al momento della creazione dell’homo, dalla terra fu tratta una terra diversa: l’essere umano. Tutti gli elementi erano al suo servizio poiché percepivano che era vivo e collaboravano con lui in tutte le sue attività, e lui con loro. La terra forniva la sua viriditas, a seconda della specie, della natura, dei comportamenti e di tutto l’ambiente umano. (Il libro delle creature, p. 39)
Così Ildegarda esprime con immediatezza l’interazione fra mondo naturale ed essere umano nel prologo della Physica, uno dei due scritti nei quali ci è stato tramandato il suo sapere naturalistico, dividendo in una parte “enciclopedica” (la Physica appunto) e in una parte medica (Cause et cure, sottinteso: delle malattie) l’opera alla quale essa aveva dato il significativo titolo di Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum, ovvero Libro degli aspetti impercettibili delle nature diverse delle creature. Perché anche la conoscenza del mondo naturale, come quella della storia e della psiche umana – che sono oggetto rispettivamente delle prime due opere profetiche, Scivias (Apprendi le vie) e Liber vite meritorum (Libro delle scelte di vita) – deriva per Ildegarda dalla “visione”, ovvero dalla capacità di vedere l’invisibile nel visibile, o meglio, attraverso il visibile.
Il sapere di Ildegarda si basa di fatto su una intuizione simbolica della realtà storica e naturale, che essa avverte come un dono divino dal quale le deriva il compito, cui non può sottrarsi, di annunciare al mondo le verità che così le sono rivelate. È una modalità di conoscenza capace di tenere insieme molteplici fonti e dimensioni del sapere, che Ildegarda comunica sia nella forma di visioni, commentate da una vox dall’alto cui intreccia la sua propria voce (nelle tre opere profetiche – le due già indicate e il Liber divinorum operum o Libro delle opere divine – e in molte delle sue epistole), sia nella forma più semplice e diretta degli scritti naturalistici, sia infine attraverso la sintesi poetica nelle liriche da lei stessa musicate che compongono la raccolta Simphonia armonie celestium revelationum (La sinfonia armoniosa delle rivelazioni celesti) e nell’Ordo virtutum (Il rituale delle virtù), il dramma di Anima che, alle prese con le tentazioni diaboliche, chiede aiuto alle Virtù.
I motivi sviluppati nel grande affresco costituito da tutte le opere ildegardiane sono: la comprensione del senso della storia (creazione, caduta, redenzione, fine dei tempi), la funzione della chiesa e dei sacramenti (Scivias); la comprensione della vita umana nei suoi aspetti psicologici e nelle sue scelte etiche, le virtù come partecipazione degli esseri umani alla vita divina da cui le virtù stesse provengono (Liber vitae meritorum); la comprensione dell’integrazione fra vita cosmica, in cui opera lo Spirito santo, e vita umana come collaborazione all’opera divina (Liber divinorum operum); e infine la sapienza pratica della reintegrazione, mediante la vita regolata dalla virtù della misura e capacità di giudizio, discretio, come insegna la Regola di San Benedetto, il nutrimento e la cura della salute (Liber subtilitatum nelle sue due parti), la pratica del canto.
Il tema della viriditas è uno dei fili che percorrono tutti gli scritti ildegardiani. Difficile da tradurre in italiano, se si vuole evitare il brutto calco “viridità”, forse la traduzione più prossima sarebbe l’arcaico termine “verzura“, poiché oltre all’immediata equivalenza con “verdura” e tutto ciò che è “verde” possiede anche il significato allegorico di “vitalità, vigore”, già presente nell’uso latino classico. Tuttavia, la gamma di significati che il termine assume nelle pagine di Ildegarda è ancora più ampia perché conserva a livello immaginale la matrice vegetale e vitale del termine in ambiti diversi, non soltanto del mondo materiale ma anche in ambito spirituale e teologico, a partire da una concezione analogica dei diversi livelli della realtà. In queste pagine, come ho fatto usualmente negli altri miei lavori su Ildegarda, ne darò traduzioni diverse a seconda del contesto, indicandole con l’uso del neretto, per evitare un uso troppo insistito del termine latino. Prima di Ildegarda il termine viriditas era stato utilizzato anche in senso allegorico, pur senza particolare rilievo, da altri autori cristiani, e nei secoli successivi ricompare talora nei testi d’alchimia per segnalare uno dei mutamenti di colore della materia nell’opus della trasmutazione. Ma nessuno, a mia conoscenza, lo utilizza nella gamma di significati e con la pregnanza che si riscontra nelle pagine ildegardiane e che trova riscontro nell’uso simbolico del colore verde nelle miniature dello Scivias, eseguite su progetto e con la supervisione della stessa Ildegarda.
Il testo della Physica sopra citato costituisce il punto di partenza per una breve ricognizione che mostrerà la funzione che il termine viriditas svolge nei testi ildegardiani, come indicatore dell’integrazione possibile di alto e basso, materiale e spirituale, immanente e trascendente. Nel prologo della Fisica, sintetizzando in pochissime parole l’atto finale della creazione narrato in Genesi I 26-27, Ildegarda mostra l’essere umano (homo) fatto di terra e terra esso stesso, «una terra diversa». Si deve sottolineare che la parola homo è sempre da lei utilizzata nel suo significato generico di umanità, di essere umano nella sua duplicità sessuata («maschio e femmina li creò», Gen. I.27). Così l’umanità, plenum opus dei, completamento dell’opera del creatore, come tutto il resto delle creature riceve dalla terra l’energia vitale e feconda che in essa si manifesta, essendovi stata immessa dalla forza cosmica del sole, il quale «spande il suo splendore su tutta la terra, per cui essa produce verzura e fiori» (Cause e cure p. 7, l. 23). Portatrice di vitalità, questa energia è presente negli altri elementi, aria e acqua, e nel cosmo intero come opposto della ariditas, della sterile improduttività; e proprio grazie a questa vitalità intrinseca tutti i frutti della terra sono nutrimento e medicina per il corpo umano. Il legame col sole, peraltro, è occasione per andare oltre il senso immediato della viriditas e coglierne il radicamento nell’ambito della trascendenza: «l’energia vitale è opera del Verbo ma essa non esisterebbe se non fosse trattenuta dal fuoco e dal calore; e ogni creatura senza sollievo sarebbe deserta, andrebbe in pezzi e cadrebbe in rovina se non fosse mantenuta salda dal fondamento della vita di fuoco dello Spirito» (Cc p. 22, l.15).
Il sole, col suo calore, è dunque l’intermediario cosmico della ignea vita che è propria dello Spirito, il quale la immette e la sostiene nell’intero universo. Ecco perché la verde fecondità della terra e di tutte le creature che la popolano, fino all’umana “terra diversa”, sono manifestazione della vita divina, come conferma un bellissimo e piuttosto noto passo che si legge nelle prime pagine del Liber divinorum operum, dove lo Spirito / Carità (manifestazione femminile del principio divino) così dice di sé:
Io sono la suprema infuocata energia […] Io, vita di fuoco della sostanza divina, fiammeggio sulla bellezza dei campi, riluco nelle acque e ardo nel sole, nella luna e nelle stelle, vivificandole con la vita invisibile che tutto sostiene. (Il libro delle opere divine, p. 139)
La viriditas è dunque la manifestazione visibile della vita invisibile ovvero dell’energia con cui lo Spirito sostiene tutto ciò che viene all’essere, come esplicita una singolare metafora arborea della Trinità: «con la radice si intende la persona del Padre, col frutto quella del Figlio, con la verde linfa lo Spirito santo, che non sono separati l’uno dall’altro, ma è un unico Dio» (Explanatio Symb. Ath., p. 123). Lo Spirito viriditas che, come abbiamo visto sostiene la vita della terra, sostiene allo stesso modo la vita spirituale umana: «i doni dello Spirito santo pervadono il cuore dell’uomo di verde vita, affinché porti buoni frutti» (Il libro delle opere divine, p. 1001).
Nel mondo umano, l’anima è linfa rispetto al corpo, «poiché il corpo umano cresce e progredisce grazie a lei» (LDO 395); fra gli stessi organi del corpo, il cervello fornisce a tutto il corpo sensibilità e vigore vitale, come il sole lo fornisce alla terra; e se tale vigore caratterizza particolarmente il corpo maschile, in quello femminile la viriditas si manifesta come fecondità attraverso la “fioritura del sangue”:
La fanciulla possiede la fecondità durante la crescita verso l’età della sua maturazione, ma non ha ancora la fioritura del sangue; tuttavia, nell’età della forza, quando le sue membra si sono consolidate, la fecondità fa manifestare la fioritura del sangue per poter concepire figli; e quando poi arriva al compimento dell’età matura il sangue diminuisce, sicché scompare anche la fecondità della fioritura del sangue (Cause et cure, p. 105).
La spiegazione naturalistica che regge l’attribuzione metaforica di viriditas allo spirito, «ogni radice ha in sé la linfa vitale da cui nasce il frutto» (Expl Symb.Ath., ibidem), non solo sostiene la fisiologia femminile, ma torna nelle attribuzioni poetiche della Vergine Maria con la pienezza del valore fisico e spirituale insieme che l’incarnazione richiede. O viridissima virga, o ramo verdissimo, «in te fiorì il bel fiore» (S 19), e «Le tue viscere si empirono di gioia / come l’erba bagnata da rugiada / s’imbeve della sua verde energia, / come fu fatto in te, / o madre della gioia.» (S 17). Nella fecondità verginale di Maria l’incarnazione, che per Ildegarda è il compimento della creazione, il “settimo giorno”, è strettamente connessa alla viriditas dello Spirito: «il Verbo infinito, che è nel Padre prima del tempo della creazione […] era destinato a incarnarsi nell’aurora della verginità beata grazie all’energia vitale della dolcezza dello Spirito santo» (Scivias p. 114), facendosi «Dio e uomo, e da lui germina il verdeggiare della santità» (Il libro delle opere divine, p. 819).
Viriditas è dunque in relazione sia con la forza, vis, che con la condizione virginale, nella quale Ildegarda vede la scelta di vita più alta per le donne (ma anche per gli uomini), intendendo la verginità come integrità psicosomatica e dunque bellezza, non riduttivamente come scelta di astinenza dal sesso: «la vergine permane nella semplicità e nell’integrità del paradiso, il bel giardino che mai si vedrà inaridito, perché la linfa degli steli dei fiori resta sempre immutata» (Epistola 52R). «O nobilissima vita feconda / che hai radici nel sole / e, luminosa e serena, / risplendi nella ruota / che nessuna altezza sulla terra / racchiude» (Symphonia 56): Ildegarda canta in questo modo la bellezza di tutte le donne, nascosta ma non cancellata dalla sottomissione all’uomo, come d’inverno la bellezza dei fiori sparisce alla vista, eppure rimane nascosta sotto la protezione della terra, fino a quando l’energia feconda che pervade tutto il creato, tornando a manifestarsi nella sua pienezza in primavera non la riporterà nuovamente alla luce. Le donne sono infatti le eredi di Eva, ultima e più perfetta delle creature, anche più dell’uomo, poiché questo venne creato dalla terra, mentre la sua compagna dalla carne già umana. Era dal corpo della donna che doveva prendere la sua “veste umana” il Verbo, incarnandosi, poiché «come il cielo contiene in sé le stelle nella loro purezza, così lei [Eva] pura e incorrotta conteneva in sé il genere umano senza dolore» (Cause et cure, p. 144). Il peccato sconvolse questo piano, che fu portato a compimento da Maria: perciò essa è insieme l’opposto di Eva e la sua realizzazione. E per questa ragione la viriditas nelle donne, come in Eva e in Maria, si manifesta nella bellezza e nella fecondità corporea e spirituale, non nella forza.
Infine, come nel mondo dei corpi l’energia vitale di origine divina è veicolata dal sole e dalle forze del firmamento, nella vita spirituale umana è veicolata dalle virtù che, nella concezione di Ildegarda, sono teofanie divine – personificate nello Scivias, globi di fuoco nel Liber vite meritorum – capaci di sostenere e corroborare l’anima nella sua continua lotta contro la tentazione, dunque sono forze vitali e donatrici di vita spirituale, che derivano dalla viriditas del Dio incarnato, «legno verde che produsse il verdeggiare di tutte le virtù» (Il libro delle opere divine, p. 1071). Ad esempio, Misericordia dice di sé «nell’aria e nella rugiada e in ogni verde linfa sono germoglio dolcissimo» (Liber vite meritorum p. 16); e Pazienza «sono l’aria dolce piena di vita feconda che produce i fiori e i frutti di tutte le virtù» (ivi, p. 18); mentre Giustizia viene definita come la viridis viriditas nella materia creata dall’opera divina (ivi, p. 85).
«Immaginate che la donna immagini», ha scritto molti anni fa Luce Irigaray, indicando una via d’uscita dal pensiero patriarcale nella possibilità di dare libero corso alla capacità femminile di creare un immaginario diverso. Ildegarda, che vedeva interiormente nell’ «ombra della luce vivente», comunicando questa visione in immagini simboliche che hanno trovato anche espressione visuale nelle miniature dello Scivias, offre un esempio particolarmente suggestivo di questo “immaginare diverso”, esprimendo nel simbolo della viriditas la sua preziosa concezione dell’unità vitale, olistica, del mondo umano, cosmico e spirituale.
Nota bibliografica
Le edizioni delle opere di Ildegarda di Bingen a cui ho fatto riferimento sono le seguenti: Scivias, Brepols, Turnhout 1978; Liber vite meritorum, Brepols, Turnhout 1995 (tr. it. Come per lucido specchio. Libro dei meriti di vita, Mimesis, Milano 1998); Il libro delle opere divine, tr. it. con testo latino a fronte, Mondadori, Milano 2002; Physica, tr. it. Il libro delle creature. Differenze sottili delle nature diverse, Carocci, Roma 2014; Cause et cure, Akademie Verlag, Berlin 2003 (tr. it. Cause e cure delle infermità, Sellerio, Palermo 20192);
Explanatio Symboli Sancti Athanasii, in Opera minora vol. I, Brepols, Turnhout 2007.; Epistole, 3 voll., Brepols, Turnhout 1991-2001; Symphonia armonie celestium revelationum, in Opera minora vol. I, cit.
Al tema della viriditas ha dedicato alcuni studi la teologa tedesca Gabriele Lautenschlager; v. in particolare Viriditas. Ein Begriff und seine Bedeutung, in Hildegard von Bingen Prophetin durch die Zeiten, hrsg. E. Forster, Herder, Freiburg 1997.
Per una presentazione generale di Ildegarda rinvio al mio Ildegarda di Bingen Maestra di Sapienza nel suo tempo e oggi, Gabrielli, San Pietro in Cariano (VE) 2017, con bibliografia. Alle sue idee sulle donne e alla sua originale concezione dell’archetipo Eva/Maria ho dedicato uno studio successivo, Feminea forma. Le donne nello sguardo di Ildegarda, in Speculum futurorum temporum. Ildegarda di Bingen tra agiografia e memoria, a c. di A. Bartolomei Romagnoli e S. Boesch Gajano, ISIME, Roma 2019, pp. 171-194.
Il ciclo di miniature dello Scivias è riprodotto e ampiamente commentato da Sara Salvadori, Hildegard von Bingen Scivias. Viaggio nelle immagini, Skira, Milano 2019.
La frase di Luce Irigaray citata nel paragrafo finale è in Speculum. L’altra donna, Feltrinelli, Milano 1975, p. 129.