Compagne

Compagne

Sono tante le considerazioni che affiorano durante la lettura del piccolo saggio appassionato di Livia Turco, che ricostruisce nel dettaglio la storia delle “compagne” che hanno fatto il Partito Comunista Italiano, fin dalla sua nascita, e ricordandone le battaglie da una generazione all’altra.

Un libro sotto il segno del femminile, incalzato e assediato dal maschilismo da sempre imperante nello specifico del nostro paese.

“Una storia che ha avuto il sostegno del pensiero lungimirante di Antonio Gramsci e poi di Palmiro Togliatti e di Enrico Berlinguer. Che ha segnato i congressi del partito. Che è sempre stata considerata dagli uomini comunisti centrale nei documenti, ma marginale nei fatti. Che ha visto le comuniste avere sempre a cuore il legame con le donne nella società e il gioco di squadra, una vera sorellanza che ha lasciato il segno nella vita di tante, ma che non si è posta in modo adeguato la scelta della leadership nel partito. Allora esattamente come oggi.”

Ecco. Il punto di partenza e quello di arrivo.

Le prime carature femminili avranno i nomi di Camilla Ravera, Teresa Noce, Rita Montagnana (prima moglie di Togliatti), Rina Picolato, Pia Carena.

La stessa Ravera raccoglierà una frase profetica di Gramsci, pur molto attento al ruolo delle donne in un tempo che già le vedeva ai margini… “Sulla questione femminile gratta gratta un comunista e anche lì ne viene fuori un reazionario” …

Nel 1926 sarà la stessa Ravera a guidare il partito in clandestinità con il nome di Miceli, dopo l’arresto di Gramsci. Nominata segretaria nel ’27 venne in seguito arrestata nel ’30.

Figure fondamentali nella lotta antifascista e partigiana, patendo il carcere e il confino, le donne attraversarono da protagoniste gli anni più duri, quelli del regime fascista e poi della guerra.

Nel 1943 nacquero i “Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà”, i Gdd. Fondatrici furono Lina Fabbri (PCI), Ada Gobetti (Partito d’Azione) e Pina Palumbo (PSI), ma aderirono anche donne cattoliche e della DC. Ma a Ada Gobetti quel nome non piace e nel suo diario scriverà: Perché “difesa” della donna e perché “assistenza”? …

La risposta è chiaramente sottintesa.

I Gdd coinvolsero almeno 70.000 donne e nel giugno del ’44 furono riconosciuti come “parte integrante della resistenza”. Le comuniste furono le più attive e numerose.

Forse le cifre rendono meglio l’idea di quel che fu la partecipazione femminile alla lotta: 70.000 appartenenti ai Gdd; 35.000 partigiane e combattenti; 4.600 donne arrestate, torturate e processate; 623 cadute in combattimento o fucilate; 2.750 deportate nei campi di concentramento tedeschi; 19 donne insignite della Medaglia d’oro, 17 della Medaglia d’argento.

A guerra finita le donne iscritte al PCI sono 80.000. I Gdd confluiranno nell’UDI (Unione Donne Italiane), che si era costituita nell’ottobre 1945.

La battaglia per il diritto di voto alle donne non sarà la prima a mobilitarle, a guerra finita, con un’adesione trasversale.

Delle 226 candidate nelle liste elettorali per il voto al referendum istituzionale del giugno 1946 monarchia/repubblica, quelle del PCI sono 68, il maggior numero. Di queste, 9 saranno le elette, tra loro Nilde Iotti, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Nadia Gallico Spano, Maria Maddalena Rossi, Teresa Mattei.

Ma quando fu costituita la Commissione dei 75 per lavorare a redigere il testo della Costituzione, da sottoporre poi all’Assemblea costituente, solo 5 di loro furono chiamate a farne parte, e cioè Nilde Iotti, Maria Federici, Lina Merlin, Teresa Noce e Angela Gotelli.

Nomi su nomi…nomi conosciuti, nomi sconosciuti, che faticheranno sempre molto di più dei loro colleghi di partito ad essere considerate e riconosciute, da allora e poi nel corso degli anni. E sempre giudicate, e in qualche modo condannate.

Così se si aveva un’esperienza extra coniugale (o una gravidanza extra coniugale), mentre era nella norma minimizzare nell’universo maschile della politica, in quello femminile comportava l’esclusione, come nel caso di Teresa Mattei, che Togliatti escluse dalla Costituente.

Bisognò arrivare agli anni del femminismo e di Carla Lonzi per prendere coscienza del vero sconvolgimento che andava operato nell’ambito della cultura patriarcale imperante.

Così si attraverseranno gli anni che portarono al referendum sul Divorzio (1974) e all’approvazione della legge 194 sull’aborto (1978). E sarà sempre lottando strenuamente, dentro e fuori il Parlamento, che si arriverà al 1996 e alla legge 66 “Norme contro la violenza sessuale”, in cui finalmente si stabilisce che il reato di stupro è un delitto contro la persona e non contro la morale.

Nel novembre del 1986 la Direzione nazionale del PCI approva la “Carta della donna”, un progetto che prevedeva una sorta di patto tra donne che si sentivano “soggetto fondante” della sinistra, allo scopo di realizzare un cambiamento e costruire una società futura attraverso la lente della differenza di genere e la relazione tra donne. Fu una carta itinerante che attraversò l’Italia intera.

Tante le donne coinvolte, tanto lo sforzo comune profuso…la carta sarebbe dovuta entrare nel PCI e cambiarlo. Ma alle elezioni politiche del giugno 1987, mentre fu raggiunto lo scopo del 30% di donne elette, il PCI ottenne solo il 26%. Nella riunione della Direzione del PCI Livia Turco dirà “Il PCI ha perso, le donne hanno vinto”, e sarà significativa come risposta la battuta sarcastica di Giancarlo Pajetta “Le disgrazie non vengono mai sole” …

Successivamente, con la svolta di Occhetto nel congresso del marzo 1989 e l’annuncio della nascita di una nuova formazione politica, le inevitabili divisioni che seguirono sanciranno non solo la fine del PCI, ma anche quella dell’unità politica delle donne ed in un certo senso del programma della Carta delle donne.

Le parole di Livia Turco alla fine del libro sono emblematiche:

“Abbiamo vissuto una stagione intensa, di grande passione politica. Abbiamo scoperto che la relazione tra donne crea complicità e amicizia, comporta nuove esplorazioni di noi stesse. Crea anche molto dolore. Non è un pranzo di gala. Ma è la strada vincente. Abbiamo capito troppo tardi l’importanza di imparare a praticare la disparità, diventare capaci di sceglierci, di misurarci più esplicitamente con il potere e di giocare la partita in prima persona.

Sentirci leader, e non solo alleate del leader”…

Come non andare col pensiero ai nostri giorni e al disincanto che permane dopo l’elezione della prima Presidente del Consiglio donna, ma di destra e che disdegna la coniugazione al femminile del proprio ruolo, o alle grandi aspettative, in larga parte già deluse, sull’elezione di Elly Schlein come segretaria del Partito Democratico. E quante sono le donne del PD che conoscono veramente la storia delle vere radici di questa formazione politica e delle donne immense che l’hanno creata, abitata e vissuta?

Il testo della Turco fa una ricostruzione appassionata e in parte dolente della storia del PCI, facendo riflettere su quante competenze femminili importanti e carismatiche non siano state sempre valorizzate al meglio, ma anzi osteggiate, ed in seguito in molte dimenticate od oscurate ad arte.

Il risultato è sotto gli occhi, sgomenti, di tutte/i.

Ma forse è ancora Carla Lonzi, che pure la Turco cita, a mostrarci il problema e la via…

“Le donne osano mostrare il risultato del loro pensiero, ma non il dramma della loro vita. Neppure a se stesse. A me invece interessa proprio in che modo, attraverso quali passaggi di esperienze, quali gesti, tono, decisioni, conflitti, si arriva a quelle conclusioni… Se si cerca la quadratura del cerchio, ossia se si accetta una forma precostituita cui adattare la propria forma, l’espressione di se non prende corpo…” (Armande sono io, Scritti di Rivolta Feminile, Milano 1992)

Brunella Campea